Dopo 12 anni torna la “Marcella” di Umberto Giordano

by Fabrizio Simone

Nel 2007, in occasione del centenario, Marcella, ottava opera di Umberto Giordano, è stata riportata in vita, a Martina Franca (Festival della Valle d’Itria) e a Foggia, dopo ben 69 anni d’assenza: nel lontano 1938 andò in scena per l’ultima volta, al Teatro alla Scala di Milano, con due grandi interpreti (Magda Olivero, morta a 104 anni nel 2014, e Tito Schipa). Umberto Giordano sarebbe morto esattamente 10 anni dopo. 

Da allora il silenzio è durato solo 12 anni: il 28 novembre 2019, infatti, è andata in scena, presso il Teatro Giordano di Foggia, nell’ambito della stagione lirica 2019 di “Opera in Puglia”, organizzata dalla Cooperativa OLES (Orchestra Sinfonica di Lecce e del Salento) e finanziata dalla Regione Puglia con la collaborazione del Teatro Pubblico Pugliese.

L’Orchestra Sinfonica del Conservatorio “U. Giordano” ha offerto una prova sbalorditiva, complice anche la direzione puntuale ed assolutamente rigorosa del M° Marcello Mottadelli. Desideriamo rivederlo nel nostro teatro. Magnifica, in particolare, la sezione dei fiati (che delizia gli assoli dei fagotti).  Molto bene anche il Coro del Conservatorio “U. Giordano” nel corso del primo episodio. Non male i due protagonisti, il soprano Daniela Schillaci (Marcella) e il tenore Max Jota (Giorgio). Lei si divincola senza grandi difficoltà (tranne quando bisogna emettere alcuni acuti) in una parte che regala ben poche gioie all’interprete e al pubblico, lui regala una stupenda interpretazione dell’unico numero realmente riuscito e memorabile dell’opera, la romanza Dolce notte misteriosa (aggiunta solo nel 1938 per Tito Schipa), ricevendo applausi sinceri. Benissimo anche il baritono Luca Grassi e il soprano Alessandra Di Giorgio, per quanto confinati in ruoli secondari.

La scenografia di Giovanna Giorgianni è la vera attrazione della serata, soprattutto nel primo episodio. Sembrava davvero di rivivere i fasti degli anni’20 tra boa piumati e le vetrate luccicanti di un ristorante parigino alla moda (Vedova allegra docet). La serata si è conclusa con una lunga ovazione del pubblico a tutto il cast, dalle comparse al regista (Antoniu Zamfir), premiando il grande talento degli interpreti, che riconosciamo senza grande difficoltà.

Marcella è un’operina minore, si sa (la sua durata non supera 1 ora e 20 minuti). È nata senz’ali e la sua musica non potrà mai spiccare il volo. Rivela sicuramente una certa maestria (la brillante orchestrazione cattura facilmente l’attenzione del pubblico ma ciò non basta) e un’attitudine di Giordano all’appropriazione di stilemi altrui (il puccinismo esasperato alla lunga stanca e appare inutilmente lezioso – il discorso vale anche per il mascagnismo ostentato con sfacciataggine e convinzione), ma i fronzoli di maniera e l’estrema delicatezza appesantiscono una partitura debole, sfociando spesso nelle consuetudini di numeri musicali che faticano a rimanere impressi nella memoria perfino dello spettatore più attento e del melomane accanito. Sulla scarsa importanza di quest’opera opera giordaniana – anche la musica suonata dall’orchestrina nel corso del primo episodio è un’offesa all’illustre tradizione dei café-chantant per via dell’evidente inconsistenza –  gravano, inoltre, il sentimentalismo a buon mercato dell’intreccio e un libretto zeppo di luoghi comuni all’epoca (“Io soffrerei il martirio vedendoti d’un’altra e ne morrei” oppure “Ah, gioia e vita dei pensier miei! Se ti perdessi, io morirei!”). Marcella potrà pure essere un’elegia (come notò qualche critico), ma è un’elegia malriuscita, soffocata da una raffinatezza quasi pedante.

Una prova è offerta dal finale dell’opera: inconcludente come pochissimi altri esempi nell’intera storia del melodramma (ha lasciato di stucco quasi tutti in sala).

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