Elton John, un regalo per i fans per il cinquantesimo compleanno di Rocket Man

by Claudio Botta

La pandemia, tra i tanti disastri prodotti, ha determinato una sospensione del tempo nelle vite di ognuno di noi e nei calendari, negli appuntamenti impossibili da programmare con assoluta certezza e i rinvii diventati regola e non eccezione, in particolare in ambito artistico. E così tante ricorrenze sono slittate, nonostante la loro importanza. Come l’uscita soltanto il 24 marzo della nuova versione rimasterizzata e ricca di sorprese di un disco epocale, Honky Château di Elton John, pubblicato per la prima volta il 19 maggio 1972: la celebrazione del cinquantennale slittata di quasi un anno, quindi, anche per strategie di marketing, per evitare l’eccessiva sovraesposizione del Sir impegnato nel lunghissimo tour d’addio (il Farewell Yellow Brick Road The Final Tour, unica tappa italiana a San Siro il 4 giugno dello scorso anno, biglietti esauriti dopo qualche giorno di prevendita) e inaspettatamente di nuovo in vetta alle classifiche grazie a due indovinatissimi mashup di suoi successi, Cold Heart (con la fusione riarrangiata di Sacrifice, Rocketman, Kiss the Bride e Where’s the Shoorah), inciso con la nuova stella del pop Dua Lipa nell’album di duetti registrato durante le Lockdown Sessions; e Hold Me Closer (una versione disco di Tiny Dancer, uno dei suoi tanti capolavori, incisa con la rediviva Britney Spears).

 Honky Château è il settimo album (il quinto in studio) dell’enfant prodige inglese, virtuoso pianista amante delle contaminazioni, che aveva già avuto la consacrazione a rockstar la sera del 25 agosto 1970 a Los Angeles, trascinando ad appena 23 anni i 300 spettatori impazziti del celebre Trobaudour volando sui tasti di uno Steinway & Sons, lo sgabello scalciato via, nella prima delle sei sere di fila del suo primo tour americano. Tre anni prima aveva incontrato per la prima volta il diciassettenne Bernie Taupin, dopo aver entrambi risposto a un annuncio – pubblicato sulla rivista musicale NME – della Liberty Records alla ricerca di artisti e cantautori emergenti. Un ottimo musicista in difficoltà con la stesura dei testi, e un ragazzo dalla sensibilità non comune già in grado di comporre versi significativi, ma che non sapeva scrivere musica: una coppia annunciata, destinata a entrare nella leggenda della musica, un’alchimia naturale incredibile se si considera che ognuno dei due lavorava per conto suo, in ambienti e momenti diversi. Avevano già una serie di hit in catalogo prima di registrare il nuovo disco di Elton all’estero (allo Château d’Hérouville, vicino Parigi, che aveva già ospitato – tra gli altri – i Pink Floyd, David Bowie, Iggy Pop), ma mancavano la definitiva consacrazione mondiale e una definizione più marcata di stile ed immagina: obiettivi centrati grazie a una canzone meravigliosa, Rocketman, una di quelle che da sole valgono un’intera carriera. L’idea di partenza abbozzata da Taupin durante un viaggio in auto nel 191, direzione Lincolnshire per andare a trovare la sua famiglia: «Avevo da poco riletto Il gioco dei pianeti di Ray Bradbury, la sua raccolta di racconti di fantascienza del 1951. Il mio preferito è sempre stato L’astronauta (The Rocket Man), la storia di un uomo che trascorre tre mesi alla volta nel suo razzo lontano dalla moglie e dal figlio. È combattuto, vuole essere a casa con la famiglia, ma nello stesso tempo adora vivere tra le stelle. Alla fine, il suo razzo precipita nel sole», il suo racconto. Ma il 20 luglio 1969 l’Apollo 11 aveva portato per la prima volta l’uomo sulla Luna, accompagnato sulla BBC nelle lunghe ore della diretta da una canzone uscita nove giorni prima, Space Oddity, di David Bowie (il quale l’aveva scritta ispirato dal film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick): così Bowie non ha per nulla apprezzato un’altra canzone a tema interstellare, peraltro prodotta dalla stessa persona, Gus Dudgeon. Ma sempre il paroliere in diverse interviste ha ammesso di aver deciso di scrivere il brano dopo aver ascoltato la prima Rocket Man, una canzone del 1970 scritta da Tom Rapp dei Pearls Before Swine, che non aveva avuto successo. Una canzone resa straordinaria dalla melodia e dall’interpretazione di Elton John, che nel testo coglie analogie con la sua vita on the road, inquieta ed eccitante al tempo stesso, la voglia e la paura di un punto di riferimento vero. «Questo ragazzo normale è bloccato lassù e vorrebbe anche essere a casa. Più volte mi sono sentito così sul palco: mi piaceva starci, ma volevo tanto tornare a casa e, nello stesso tempo, sapevo di non essere più in grado di vivere una vita normale», le sue parole. «Sono felice di essere diventato un cantante, è la cosa che amo fare di più al mondo. Ma all’inizio interpretare un personaggio che ti sei inventato può essere molto pericoloso e farti perdere di vista chi sei davvero».

 Il singolo ebbe subito un grande successo, sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, e lo ha costantemente mantenuto nel tempo, anche attraverso riuscite e intense cover (come quella di Kate Bush inserita in Two Rooms, un album tributo da parte dei colleghi inglesi), anche se la tragica morte di Lady Diana Spencer e la toccante versione di Candle in the wind nel funerale celebrato nell’abbazia di Westminster ha portato il brano inizialmente dedicato a Marilyn Monroe a raggiungere l’incredibile numero di 40 milioni di copie vendute (gli incassi devoluti interamente al Fondo istituito in memoria della principessa), spodestandola dalla vetta in termini puramente commerciali. In differenti versioni, ha accompagnato le scene madri della serie tv Californication, con David Duchovny mattatore nel ruolo dello scrittore Hank Moody, trasmessa per sette stagioni e prodotta da ShowTime. Ma è talmente iconica e rappresentativa dell’anima della rockstar britannica da aver dato il titolo al fortunato biopic che nel 2019 ha ridato ancora una volta slancio alla sua carriera, e rimandato ancora una volta l’addio alle scene – almeno live – per dedicarsi alla famiglia, al marito David Furnish e ai figli Zachary (nato nel 2010) ed Elijah (classe 2013), gli eccessi e dipendenza da cocaina e alcol archiviati da decenni ormai, l’impegno a favore della lotta all’Aids sempre tra le priorità, e la sua Fondazione ogni anno pronta a destinare enormi somme di denaro per la ricerca e l’assistenza ai malati e alle loro famiglie.

La nuova versione di Honky Château, pubblicata in diversi formati (cd e vinile nero e/o colorato, oltre allo streaming), contiene oltre ai brani originari dell’album, quelli registrati dal vivo – sempre nel 1972 – alla Royal Festival Hall di Londra e, soprattutto, 9 outtakes provenienti dalle sessioni di registrazione dell’epoca: rarità che faranno impazzire i collezionisti, e che porteranno un significativo contributo per ricostruire la genesi di un capolavoro, che rappresenta da allora uno dei picchi emotivi – il più alto, per chi scrive, ndr – di un qualsiasi concerto di Sir Elton John.

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