Fabio Mastrangelo: una vita per la musica, tra successi, progetti e impegni internazionali futuri. Il direttore italiano più famoso in Russia si racconta

by Livio Costarella

Se nella vita di un artista i traguardi si costruiscono giorno dopo giorno, la musica è una di quelle discipline che necessita di una cura continua. Insegnando a chi la studia e la pratica ad averne rispetto, e a non abbandonarla mai, accettando continuamente nuove sfide.

È ciò che da sempre compie con risultati straordinari Fabio Mastrangelo, direttore d’orchestra e pianista formatosi tra Bari (la sua città natale), Ginevra e Londra, ma che poi ha acquisito grande notorietà internazionale, prima in Canada ed ora in Russia, dove vive da più di vent’anni. Oggi Mastrangelo è uno dei direttori d’orchestra più ricercati in Russia e nel mondo: di sicuro il direttore italiano più famoso nella Russia moderna. Basta scorrere il suo curriculum degli ultimi anni per accorgersene: dal 2013 è direttore artistico del Teatro di Stato di San Pietroburgo «Music Hall», oltre a essere direttore principale di due dei suoi collettivi: l’Orchestra Sinfonica «Northern Symphony» e l’orchestra da camera «Northern Symphonietta». Allo stesso tempo, il maestro è direttore principale dell’Orchestra Filarmonica di Stato di Yakutsk «Simphonica ARTica», e direttore artistico dell’orchestra da camera di solisti «Camerata» dello Stato di Novosibirsk Filarmonica.

Ricopre inoltre gli incarichi di direttore artistico del Festival Internazionale Estivo all’Aperto di San Pietroburgo «Opera per tutti» e del Festival Musicale Estivo di Togliatti «Tremolo». Stiamo insomma parlando di una delle personalità musicali più importanti del panorama internazionale, un vanto per la Puglia nel mondo, che non ha mai dimenticato le sue radici. Anzi, continua ad essere una risorsa preziosa per la sua terra. Come nell’occasione della riapertura del Teatro Petruzzelli di Bari, il 4 ottobre del 2009, diciotto anni dopo l’incendio del 1991: fu proprio Mastrangelo a dirigere la Nona Sinfonia di Beethoven, con l’allora Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari (oggi Orchestra della Città Metropolitana). Abbiamo intervistato il maestro, tracciando un bilancio della sua storia e di alcune delle più importanti prospettive future che lo attendono.

Maestro Mastrangelo, partiamo dagli esordi: com’è nata la sua passione per lo studio, prima del pianoforte e poi della direzione d’orchestra?

«Un pianoforte (un ottimo Petrof verticale, tutt’oggi in uso) era già nella mia casa, prima che io nascessi, in quanto mio padre Guglielmo era un ottimo pianista amatoriale. Sono dunque cresciuto passando davanti e giocando intorno a quello strumento. Uno dei pianisti preferiti di papà era il grande interprete mozartiano Paul Badura-Skoda, del quale possedeva diversi dischi 33 giri, come si usava all’epoca. Di nascosto avevo imparato a far funzionare quel “piatto” e spesso, mentre papà non era a casa, ascoltavo, rapito dalla bellezza del suo suono, le interpretazioni di Badura-Skoda. Sonate di Mozart, Beethoven, Haydn, miniature di Liszt, Chopin, Schumann. Ripercorrendo a ritroso quegli anni (avevo quattro anni quando quella attività “eversiva” iniziò) mi sembra chiaro che quegli ascolti clandestini giocarono un ruolo fondamentale nell’appassionarmi alla musica. E soprattutto nel farmi innamorare dello strumento.

Molti anni dopo, avendo già ripetutamente goduto dell’ascolto dal vivo di concerti tenuti da Badura-Skoda a Bari, si realizzò uno dei tanti sogni che, in realtà, non era individuale in quanto lo condividevo con mio padre. In occasione di una masterclass del grande pianista viennese a Bari ebbi modo di giovarmi di una lezione tête-à-tête proprio con lui. All’evento presenziammo in tre: Paul Badura-Skoda, mio padre (nel ruolo di ascoltatore) ed io. Scelsi di eseguire la sonata “Les adieux” op. 81a di Beethoven e il Mephisto Waltz di Liszt. Trascorremmo insieme più di due ore di pura musica e scambio di idee. Indimenticabile. Se mi avessero detto a 4 anni che un giorno avrei incontrato il “tipo” che suonava sui dischi di papà, e che, per di più, sarei stato io alla tastiera, non ci avrei mai creduto!

Eppure, nonostante la mia immensa passione per il pianoforte, allo scoccare dei 20 anni, inaspettatamente, iniziò una sorta di spinta verso la direzione d’orchestra da parte di persone a me molto vicine, umanamente e musicalmente. Inizialmente un “incidente” al Petruzzelli, dove ero all’epoca maestro sostituto. Il grande Kristan Missirkof, leggendario direttore del coro del teatro, ritardò ad una prova di Rigoletto. Non essendoci nessun altro disponibile fui letteralmente scaraventato a dirigere coro e strumenti “sul palco” non avendo mai prima di allora sollevato un dito per dirigere. La cosa a me ignota era che nel frattempo Kristan era arrivato e avrebbe potuto benissimo mettersi a dirigere lui, come previsto. Invece, notata una certa predisposizione gestuale del sottoscritto, se ne rimase in disparte ad osservare.

Alla fine della prova mi tirò in disparte e mi fece un discorso molto serio, seppur pacatamente, in cui mi disse che secondo lui ero nato per fare il direttore d’orchestra. Nel frattempo, avendo vinto il relativo concorso, ero stato ammesso alla classe di perfezionamento e virtuosismo di Maria Tipo al Conservatorio di Ginevra. Al primo incontro, nel quale eseguii alcuni Studi e la Seconda Sonata di Chopin, oltre alla Sonata in do maggiore op.2 di Beethoven, la Tipo mi dice: “Ma sei sicuro di non voler fare il direttore d’orchestra?” Gliene chiesi il perché e lei mi rispose: “Perché l’unico strumento in grado di realizzare appieno il tuo mondo sonoro interiore è l’orchestra. Il pianoforte non possiede la sufficiente ricchezza timbrica che tu cerchi. Pensaci”. Allo shock iniziale seguì una seria riflessione che, dopo qualche mese, si estrinsecò in un incontro con Donato Renzetti a Napoli in occasione di un concerto della Tipo al San Carlo, che lei stessa provvide ad organizzare».

Chi sono i maestri che sente particolarmente di ringraziare nel suo percorso di formazione e perché?

«Per il pianoforte la mia guida più stabile è stato Pierluigi Camicia, con il quale ho compiuto l’intero percorso al Piccinni di Bari e dal quale ho appreso l’importanza del cantare al pianoforte. Poi, appunto Maria Tipo, a Ginevra e Muriel Chemin, che mi preparò al concorso. Ma anche Seymour Lipkin a New York con il quale trascorsi un’intera estate nel 1985. Era all’epoca al Curtis Institute di Cleveland (uno dei più prestigiosi conservatori degli USA) e, mentre ero con lui, fu invitato ad insegnare alla Juilliard School. Mi offrì una borsa di studio alla Juilliard, ma dopo l’esperienza di 4 mesi solo a New York, preferii rimanere in Europa. Poi Aldo Ciccolini e il breve ma intenso incontro con Badura-Skoda. Per la direzione d’orchestra Gilberto Serembe (all’Accademia di Pescara) che, praticamente, mi mise la bacchetta in mano! Michel Tabachnik, Pierre Hétu e Richard Bradshaw (all’università di Toronto). Boris Brott, del quale fui assistente ad Hamilton per un lungo periodo a cominciare dal 1992. Ma anche le straordinarie masterclass con Leonard Bernstein, Karl Österreicher, Neeme Jarvi, Jorma Panula. Quindi gli studi in Russia con Alexander Kantorov, Vladimir Stačinsky e Alexander Skulsky. Tuttavia credo che le due personalità che più di ogni altro hanno dato un significativo contributo alla mia formazione siano stati Yuri Temirkanov e Valéry Gergiev, dei quali sono stato lungamente assistente a San Pietroburgo».

Dal 1993 al 2002 lei è stato Direttore Stabile dell’Orchestra Hart House Chamber Strings, della University of Toronto. Oltre che fondatore dell’Orchestra da Camera Virtuosi di Toronto (1996), di cui ha mantenuto la direzione artistica e stabile fino al 2003. Cosa ricorda dell’esperienza canadese e dell’organizzazione e produzione musicale del Nord America?

«La parola chiave è “organizzazione”. Credo che quella sia stata la lezione più importante imparata e interiorizzata in Canada. La gestione del tempo di prova prima di un concerto, o in preparazione di una produzione operistica. Lezione importantissima per un giovane direttore. Oltre a questo, ritengo fondamentale il vantaggio di aver vissuto in una metropoli come Toronto dove ho potuto seguire le prove di alcuni dei più importanti direttori al mondo che si succedevano alla guida della Toronto Symphony Orchestra: Seiji Ozawa, Sir Andrew Davis, Yukka Pekka Saraste. Per non parlare della Canadian Opera Company, con la quale la Facoltà di Musica della UofT (University of Toronto) aveva un legame molto forte grazie a Richard Bradshaw, che ne era allora Music Director».

Dal 2002 lei è residente a San Pietroburgo. E in tutti questi anni è diventato il direttore d’orchestra italiano più famoso nella Russia contemporanea. Ci parli della sua liaison con la Russia, nella quale continua a rivestire prestigiosi incarichi tra diverse orchestre e teatri. Quanto è importante la musica in quel Paese e perché ha scelto di vivere e lavorare lì?

«La storia del mio amore nei confronti della Russia è in realtà iniziata molto presto e ha preceduto di molto la mia prima visita a San Pietroburgo, che avvenne nell’estate del 1999. Papà era una specie di fanatico della Russia e, in parte, dell’Unione Sovietica. A casa c’era molta letteratura russa, ovviamente nella traduzione in italiano. Pushkin, Lermontov e anche Dostojevskij. Oggetti del folklore russo che papà acquistava tramite conoscenti facenti parte dell’associazione Italia-URSS. Oltre ad esserne lui stesso membro, a partire dalle scuole medie annualmente acquistava una tessera anche per me. Cosa che mi consentì di ascoltare grandi artisti provenienti dall’URSS come Gilels, Berman, Tretjakov. Nella mia esperienza diretta la Russia ha immediatamente rivestito un ruolo molto significativo per quanto riguarda sia la vita personale che professionale. Vi ho riscontrato una più precisa coincidenza di merito e risultati. Una nozione che un po’ dappertutto nel mondo è andata parzialmente perduta. Proprio per questo vado molto fiero del fatto che le mie cariche in Russia sono state guadagnate tutte “sul campo” e per merito. Attualmente, inoltre, ritengo che per quanto riguarda il mondo musicale classico (mi riferisco a musica sinfonica, opera, balletto) la Russia sia leader indiscussa. Dopo un lockdown di circa 3 mesi la Russia ha riaperto teatri e sale da concerto, non interrompendone mai più l’operatività. Questo è un segnale molto forte. Ecco perchè ormai sarei incapace di pensare al mio futuro senza la Russia».

Che differenze sostanziali riscontra nell’insegnamento della musica, tra Italia e Russia? E nell’organizzazione dei teatri?

«Su questo ho un’esperienza molto diretta. Mio figlio Stefan, che a dicembre compirà 12 anni, è già al 6o corso del sistema scolastico musicale russo, avendo intrapreso il suo percorso di studi pianistici all’età di 6 anni. Secondo il sistema vigente, che in parte ricalca quello sovietico (che tutti i musicisti locali rimpiangono!), una volta terminato un ciclo iniziale di 10 anni, lo studente che si sia particolarmente distinto può accedere al Conservatorio. Si tratta di un sistema organizzato con grande serietà e precision. Che, inevitabilmente, porta i suoi frutti. Non so se Stefan sceglierà di seguire la carriera musicale o meno. Ma la sua preparazione già al momento è molto ferrea e se paragonata alla mia, alla stessa età, mi sembra senz’altro più avanzata. E questo a prescindere dall’incidenza che sullo sviluppo artistico di un individuo può avere il talento che, va da sé, è elemento imprescindibile per una carriera musicale.

Per quanto riguarda l’argomento dell’organizzazione dei teatri potremmo in teoria dedicargli un’intera intervista. Nello spazio limitato che ci consente il formato di questa chiacchierata enuncerò i dettagli più salienti. Innanzitutto la filosofia sottesa ai due sistemi è completamente diversa. Laddove il teatro d’opera in Italia segue il sistema della cosidetta “stagione”, in Russia tutti i teatri (molti dei quali sono “teatro d’opera e balletto, dettaglio di non secondaria importanza) funzionano secondo il principio del “repertorio”. La differenza è abissale. Basti dire che in Russia una produzione di un determinato titolo può andare avanti anche per 20 o 30 anni (ne sono testimone oculare!).

Come mai succede questo? Perchè nel corso di un mese di programmazione tutti i giorni si tiene in teatro uno spettacolo diverso: cosa inimmaginabile in Italia. Che esso sia opera, balletto o, meno frequentemente (in teatro), concerto sinfonico. Dunque al fine di assicurare una sufficiente varietà al cartellone in una settimana potremmo ascoltare da martedì a domenica (il lunedì, in genere, si osserva giornata di riposo) 6 spettacoli diversi. Ovviamente questo significa che una qualsiasi produzione, che si tratti d’opera o di balletto, una volta entrata in repertorio ci rimane per un lungo periodo. In Italia si mettono invece in scena produzioni che dopo un determinato numero di repliche (poniamo il caso, da 5 a 10) vengono abbandonate. Un’importante conseguenza derivante dalla differenza tra i due sistemi è che in Russia anche una produzione molto costosa ha sempre modo di ammortizzarsi. Ovviamente la realizzazione di un sistema come in Russia non potrebbe prescindere da alcuni momenti fondamentali. L’esistenza di un nutrito gruppo di solisti stabili (parlo sia di cantanti che di ballerini) che si affiancano alle masse artistiche (orchestra, coro, e balletto)».

Il Comune di Bari, la sua città, le ha conferito tre anni fa un’importante onorificenza. Lei si è anche dato molto da fare nel primo periodo della pandemia, nel marzo 2020, per aiutare la sua Regione. Quale legame continua ad avere con la sua terra?

«Come è solito ricordarmi il caro amico Prof. Villani (ordinario di biochimica medica) tutto nella vita dipende dal DNA! Il legame che esiste con la mia terra è insito nel mio DNA e niente e nessuno potrà mai cancellarlo. Detto questo, è naturale che sentire la vicinanza dei propri concittadini fa sempre molto piacere. Così come, nel momento del bisogno, non bisogna far mancare il proprio aiuto. Sia Antonio Decaro che Michele Emiliano mi hanno ripetutamente dimostrato la loro stima e questo è per me fonte di grande soddisfazione. Ovvio che da parte mia non può che esserci estrema disponibilità quando si tratta di dare una mano».


Le piacerebbe realizzare qualcosa di importante in Italia? E se sì, cosa esattamente? Ci sono dei progetti in corso?

«Da settembre 2021, per un periodo complessivo di quattro anni, ricoprirò l’incarico di primo direttore ospite del teatro “Carlo Felice” di Genova. Questa è un’importante carica che, se da una parte mi consentirà una frequentazione più regolare del suolo natio, dall’altra mi offre l’occasione di “propagandare” in Italia titoli del repertorio operistico russo che, ahimé, da noi hanno raramente attecchito. Ho infatti proposto alla Città di Genova la creazione di un “Centro di Cultura Russa” grazie al quale dovrebbe potersi realizzare questo mio desiderio. Devo sottolineare di aver trovato in Claudio Orazi, sovrintendente della Fondazione Teatro “Carlo Felice”, un attento e devoto alleato che ha subito sostenuto questa mia proposta filo-russa. C’è però un altro progetto che, come si suol dire, bolle in pentola. Il festival “Oltre Lirica” che due straordinari artisti pugliesi, Angela Cuoccio e Gianni Leccese, hanno creato dal nulla con enorme abnegazione e determinazione. Anche in merito ad “Oltre Lirica” l’infausta epidemia non ha avuto effetti particolarmente negativi. Segno che si può vincere qualsiasi battaglia! In realtà mi sono particolarmente appassionato a questa iniziativa e su invito di Angela e Gianni mi sono molto avvicinato al progetto che, proprio durante il periodo di lockdown, abbiamo discusso a fondo, immaginandoci e programmandone uno sviluppo molto avvincente. Per ragioni scaramantiche (gli artisti, si sa, sono così!) non voglio addentrarmi troppo in dettagli che al momento sono idee da realizzare. Ma spero di poterne parlare compiutamente al più presto».


Ci parli dei suoi programmi artistici dell’immediato futuro. Quali teatri, opere o concerti la attendono nei prossimi mesi?

«Nonostante il perdurare della situazione di emergenza legata al Covid-19, ad eccezione dei mesi aprile-giugno 2020, la mia attività artistica non ha subito battute d’arresto. Diciamo che tra settembre di quest’anno e luglio 2022 sono già in programma un centinaio di apparizioni in giro per la Russia e, se vorrà Iddio, per il mondo. In particolare sono felice dell’imminente debutto a Tel-Aviv e in altre città israeliane, oltre al ritorno alla Tonhalle di Zurigo e, non meno, del ritorno al Petruzzelli per una produzione di “Cenerentola” di Rossini. Al mio teatro pietroburghese a fine settembre inaugureremo una nuova produzione de “Il flauto magico” di Mozart. A Mosca accompagnerò in diverse occasioni Maria Guleghina, Khibla Gerzmava e Elīna Garanča. Inoltre siamo attesi con la St. Petersburg Northern Sinfonia a Nizza e Montecarlo, per dei concerti finanziati tramite il programma federale “Russian Seasons”. Mentre a marzo saremo alla Dubai Opera con Placido Domingo».

Riceverà a breve anche un’onorificenza da Vladimir Putin? Ce ne parli.

«Si, è vero. In realtà la comunicazione che tale onorificenza sia stata concessa mi è già giunta. “Per ordine del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin del 25 agosto 2021, al maestro Fabio Mastrangelo viene riconosciuto un ringraziamento personale per l’attività fin qui svolta nella Federazione Russa”. Un enorme soddisfazione, non lo nascondo. Comunque in quanto ad onoroficenze non posso lamentarmi. Infatti dopo che mi era stato conferito il cavalierato qualche anno fa, da marzo 2021 posso fregiarmi delle insegne di Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia, onorificenza controfirmata dal Presidente Mattarella su iniziativa di Pasquale Terracciano, Ambasciatore d’Italia presso la Federazione Russa».

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