Grazia Di Michele e il femminile nel raccontare e raccontarsi. «Ho riportato alla luce il repertorio di Marisa Sannia»

by Antonia Priscilli

Carmen Consoli. Erica Mou. Paola Turci. Ma anche Carla Bruni in Sarkozy: sono numerose le ragazze con la chitarra che hanno un debito con Grazia Di Michele. Una certa delicatezza nel canto, testi intimisti che non richiedono interpretazioni urlate, l’accompagnamento della chitarra per esaltare la suggestione del brano: l’interprete romana ha dato vita a un vero e proprio stile. Chissà che cosa pensa quando si imbatte nelle performance di queste cantanti, se rivendica la maternità di certi gesti, se rivede nella loro musica lieve lei stessa che affascina l’Italia con “Le ragazze di Gaugin” o “Solo i pazzi sanno amare”.

«Seguo un gruppo di 22 cantautrici da qualche anno, inizialmente cercavo di comporre un quadro della canzone d’autrice in questo momento e ho scoperto delle artiste straordinarie ma sono dovuta andare a cercarle. Loro mi somigliano per l’amore che ci mettono nella composizione, nello sguardo attento alle proprie emozioni e al mondo che ci circonda, per quel modo “femminile” di raccontare e raccontarsi, sono sicura che ce la faranno tutte ad affermarsi. Credo che Carmen Consoli sia molto vicina alle mie corde, la seguo e la stimo molto per la sua poetica e la sua coerenza».

Grazia Di Michele è l’autrice di un gioiello musicale, “Poesie di Carta – Marisa Sannia, la voce del vento e del mare”, un evento multimediale che riporta luce sulla cantautrice sarda Marisa Sannia, scomparsa nel 2008, e sul suo repertorio. In un mondo che sembra dimenticare tutto e tutti, e soprattutto in fretta, questa operazione è davvero rara e preziosa.

«Ho pensato che non conoscendo io stessa un repertorio prezioso come quello degli ultimi lavori discografici di Marisa, fosse importante riportarli o portarli all’attenzione delle persone, quelle che l’hanno conosciuta poco o che non conoscono affatto la sua vita artistica. Un album splendido, “Rosa de papel”, uscito postumo, in cui Marisa ha musicato alcune poesie di Federico Garcia Lorca, è stato un autentico colpo di fulmine che ha acceso un faro sulle opere precedenti. Ho riascoltato i suoi album “Nanas e Janas e Melagranada”, in cui aveva musicato i versi di due poeti sardi, Francesco Masala ed Antioco Casula e poi le sue composizioni, e ho riscoperto l’autrice, la cantante, l’interprete e la musicista sensibile e raffinata che avevo intuito. Ho deciso di chiamare la famiglia, affinché mi aiutasse a riallacciare il filo delle cose, e mi mettesse in contatto con Marco Piras, suo storico collaboratore e amico oltre che arrangiatore di questi meravigliosi album. Sono andata a Sassari per incontrare Marco e da qui è partito questo progetto che amo moltissimo e che stiamo portando in tour».

La poesia di questo lavoro risiede anche nel fatto che si tratta di un’operazione di recupero, che riporta alla luce canzoni che rischiavano di essere dimenticate. Quindi c’è ancora posto, in un mondo come l’industria musicale italiana, per progetti come questo?

«Certo che c’è posto, il pubblico ha risposto in modo caloroso ed è stato presente e numeroso nonostante la Pandemia e il Festival di Sanremo nelle ultime date. C’è bisogno di immergersi nella poesia, di fermarsi ad ascoltare, di farsi toccare da emozioni profonde. C’è un pubblico per ogni canzone».

A proposito di pubblico, in questo caso televisivo: che cosa le è rimasto dell’esperienza ad Amici di Maria De Filippi? “L’impegno, la responsabilità, il divertimento. L’orgoglio nel vedere sbocciare la personalità artistica di alcuni allievi. È stata un’esperienza forte e utile anche per me stessa”.

Oggi si parla molto di diversità, è un tema che molti sfruttano per ottenere il gradimento di un pubblico più ampio. Lei lo ha fatto con una canzone stupenda e cantata con Rossana Casale, “Gli amori diversi”, e può dirsi davvero un’antesignana visto che era il 1993.

«Io ho parlato di diversità già nel mio primo album “Cliché”, in cui con mia sorella Joanna, con la quale scrivevo canzoni, parlavamo di temi sensibili, era il 1979, e ho continuato a farlo anche al Festival di Sanremo del 2015, quando con Mauro Coruzzi abbiamo presentato “Io sono una finestra”, per raccontare il pregiudizio, il tema dell’identità di genere. Non si può dire che ho seguito un’onda o una moda».

Si è appena concluso un rito al quale nessun italiano si sottrae, soprattutto chi dice di non guardarlo: prendendone le distanze, gli attribuisce importanza. Lei ha partecipato quattro volte al Festival. Che cosa rappresenta per un artista questa kermesse? È ancora un punto di arrivo?

«Può essere un punto di arrivo o di partenza, un test, un’occasione, l’unica occasione, un lancio, un rilancio, un opportunità di lavoro per i concerti, una scommessa, un’ubriacatura mediatica, il tutto per tutto, il niente per niente».

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