I 50 anni del Pacha di Ibiza. Dal flower power alle tendenze globali

by Claudio Botta

E’ stato il volano dell’immagine di Ibiza nel mondo, con le sue due iconiche ciliegie visibili già dall’uscita dall’aeroporto. E come l’isola, dalla nascita nel 1973 ha vissuto cinque decenni di cambiamenti, trasformazioni, rivoluzioni. Il Pacha non è mai stato un semplice club, anche se all’avanguardia, anche se punto di riferimento della musica e dell’intrattenimento planetari, il top assoluto per qualunque aspirante dj, contenitore sempre più sofisticato di proposte e tendenze: ha espresso l’anima di un luogo che non è mai stato e non sarà mai una semplice meta di vacanza e di divertimento, e un variegato concentrato di sfondi e paesaggi ideali per influencer da social, ma un’oasi di libertà, di creatività, di espressione e affermazione della propria identità senza paura di giudizi e pregiudizi, dove il confine tra normale ed eccentrico è inesistente, dove culture, lingue e stili di vita si confondono e mischiano in armonia o disordine non importa, e producono un esempio di coesistenza possibile in un mondo lacerato da guerre, conflitti, paure, tentativi di affermazione della propria sovranità, demonizzazione dell’altro e del ‘diverso’ inteso – e frainteso – in tutte le sue possibili accezioni.

Un sogno, un’utopia realizzata lontanissima dalle intenzioni e dalle motivazioni che spinsero i fratelli Ricardo e Piti Urgell nell’estate 1967 ad aprire a Sitges, a 40 km a sud di Barcellona, il primo Pacha della storia: volevano soltanto “divertirsi ed incontrare belle ragazze” nonostante le rigidità imposte dalla dittatura franchista e il flower power (il potere dei fiori, simbolo del movimento hippie che dagli Stati Uniti e da una generazione tradita dalla guerra in Vietnam) in embrione. Anche il nome scelto era in sintonia con la loro dichiarata volontà di bella vita: il termine ‘pascià’ infatti indicava nell’impero ottomano i primogeniti del sultano, gli alti funzionari e chi si era distinto sul campo di battaglia, e aveva quindi accesso a un’esistenza dorata e ricca di privilegi. Una palpebra socchiusa con ciglia lunghe e arricciate il primo logo, realizzato in bianco e nero dal grafico Jordi Vila,ispirato da una foto dell’attrice Carmen Sevilla. Il successo crescente e l’esplosione della rivoluzione giovanile anche in Europa, partendo dalla Francia, spinsero i due imprenditori a comprare, nel giugno del 1973, un appezzamento di terra nella zona portuale di Ibiza, diventata il cuore della controcultura nel vecchio continente, dopo l’arrivo dei gruppi di hippie californiani alla ricerca di una terra promessa in alternativa all’India o al Marocco. Importando così i propri valori, i riti, le mode, incuriosendo e ispirando musicisti, creativi, stilisti, modelli/e, artisti che venivano a scoprire con i primi voli charter della storia la magia dell’isola sospesa in un equilibrio solo apparentemente impossibile tra trasgressione e spiritualità, tra notti vissute senza mai fermarsi e dormire, e giorni di sole e di silenzio.

 Il primissimo Pacha era l’unica costruzione presente da quella parte del porto, un casolare tipico – una finca – bianco circondato da vegetazione selvaggia (oggi la Marina Botafoch è diventata la zona più esclusiva dell’isola), aveva una pista da ballo con dei cuscini intorno, aveva quindici dipendenti e una donna delle pulizie. Non prevedeva alcuna distinzione tra celebrità e persone comuni, perché tutti erano immersi nella stessa atmosfera e legati dall’amore per la musica e dalla voglia di non obbedire e sottostare a regole rigide, nessuna differenza di censo, status e aspetto fisico (elemento fondamentale per il successo del Pacha: ancora oggi non esistono dress code o selezioni all’ingresso, l’unica discriminante è il biglietto d’ingresso). E le successive, continue trasformazioni di quel casolare, ad opera dei fratelli Urgell e con gli ispirati progetti del loro amico architetto Jordi Goula, hanno traghettato la discoteca e il brand nei decenni successivi, con l’arrivo dei promoter stranieri (dal 1986), serate e festa a tema (quella più nota ed immancabile nella programmazione è appunto il Flower Power, che fino a qualche anno fa ha visto in consolle lo stesso Piti Urgell, la stessa valigia di vinili della serata inaugurale). Tendenze musicali esplose in tutto il mondo, come l’house e la techno in tutte le loro sfumature. I migliori dj internazionali – dai cachet stellari – che si sono alternati e continuano ad alternarsi in consolle, impossibile fare un elenco. In parallelo, il successo del logo ha dato vita a campagne di marketing altrettanto innovative e globali, e le attività sono cresciute con l’apertura di nuove discoteche nel mondo e la capacità di andare oltre l’intrattenimento notturno, puntando quindi – per rimanere solo a Ibiza – sul lussuoso El Hotel a poche decine di metri dal club, sull’etichetta discografica, sul magazine, sulle linee di abbigliamento e accessori, sul resort Destino e sul ristorante e club Lio, decisamente più elitari in linea con le esigenze di una clientela sempre più attenta e dal budget consistente.

Non deve quindi stupire la valutazione astronomica di 500 milioni di euro del brand e delle varie diramazioni e iniziative nel mondo, fatta dalla proprietà – diventata una holding di assoluto spessore internazionale – nel settembre 2016, quando è filtrata sulla stampa la volontà di vendere. Né tantomeno l’acquisizione per 350 milioni, il 2 febbraio dell’anno successivo, da parte del fondo di venture capital Trilantic Capital Partners di tutte le attività del gruppo, dalla discoteca all’hotel, dal resort al ristorante e club, dai media multimediali ai franchising in Spagna e all’estero, oltre allo storico locale di Sitges dove tutto è iniziato. Un investimento imponente che ha garantito continuità alla storia del Pacha in tutte le sue declinazioni, ma che tre anni dopo ha dovuto confrontarsi con la pandemia e i suoi effetti deflagranti sulla salute, sull’economia, sul turismo, sulla qualità della vita a livello globale.

Le restrizioni adottate dal governo spagnolo e da quello delle Baleari sono state drastiche e rigorose, per preservare la popolazione e non congestionare l’unico ospedale, e nel 2020 e 2021 club e discoteche sono state chiuse, nonostante l’indotto miliardario e senza tenere conto dell’andamento dei contagi, per l’impossibilità di una qualsiasi programmazione e per i numeri rilevanti da gestire. Soltanto nell’estate 2022 è arrivato un graduale ritorno all’attesa normalità, e la voglia di ritrovarsi insieme a migliaia di persone non è stata appannata da paure e disagi. Tuttavia quello che è successo ha lasciato comunque un segno profondo, e alla fine della scorsa estate non ha sorpreso gli addetti ai lavori la volontà di vendere da parte anche di Trilantic, punto di partenza della trattativa ancora 500 milioni, ma sarà difficile trovare un acquirente disposto a chiudere a quella cifra. 

Ma nel 2023 c’è un cinquantenario da celebrare, e la primavera/estate sarà quindi per il Pacha una lunghissima stagione di feste in grande stile, come e più di sempre. Aperta ufficialmente il 28 aprile (in parallelo, giornata conclusiva dell’International Music Summer) con il megaparty di Solumun, il dj di origine bosniache diventato una superstar mondiale proprio al Pacha (dove da anni è resident in grado di richiamare migliaia di persone di ogni età in una delle serate chiave della settimana, la domenica), e che continua e continuerà con una serie di appuntamenti ormai tradizionali e assolute novità, perché il passato non può essere e non sarà mai una zavorra per impedire al futuro di affacciarsi a Ibiza.

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