I primi 40 anni di Every breath you take, il capolavoro di Sting

by Claudio Botta

20 maggio 1983, una data impressa a caratteri cubitali nella memoria di milioni di fans nel mondo: viene infatti pubblicata Every breath you take, primo singolo del quinto album dei Police in lavorazione, Synchronicity, destinato a diventare il loro più grande successo e una pietra miliare della storia della musica. Un brano e un disco fortemente legati al difficile periodo che stava vivendo Sting, il leader carismatico, frontman, bassista e autore di gran parte del repertorio della band. Sposato dal 1976 con l’attrice irlandese Frances Tomelty, due figli (Joseph ed Eliot, oggi entrambi musicisti), si era innamorato – ricambiato – della migliore amica di lei, Trudie Styler, loro vicina di casa a Bayswater, West London: e i sensi di colpa non abbastanza schiaccianti per soffocare un sentimento sempre più evidente lo portarono a cercare un riferimento nella psicanalisi di Carl Gustav Jung, e in particolare nella sincronicità, la psiche e la materia considerati come due aspetti differenti di una unità non divisa, della stessa e unica cosa. Parallelamente, nonostante la popolarità planetaria, i milioni di dischi venduti e i tour sold out, anche i rapporti all’interno della band erano segnati da forti tensioni, in particolare durante le registrazioni in studio per le differenti estrazioni e vedute tra Sting e il batterista (e cofondatore) Stewart Copeland, tali da minare la serenità dei tre componenti e compromettere il loro futuro insieme.

Per questo Sting (letteralmente ‘pungiglione’, il soprannome derivato da una maglietta a righe orizzontali gialla e nera – i colori delle api – che Gordon Mattew Sumner era solito indossare in concerto) si rifugiò ai Caraibi prima, in Giamaica poi. E a Ocho Rios, un villaggio di pescatori nella costa settentrionale dell’isola nota per la musica reggae (che ha fortemente influenzato l’artista inglese), nella villa – oggi un lussuoso resort – e alla scrivania dove Ian Fleming, celebre autore della saga di James Bond, aveva scritto Goldeneye, venne fuori di getto il testo del brano. «Mi sono svegliato nel cuore della notte con quella frase in testa, every breath you take (ogni respiro che fai, ndr), mi sono seduto al pianoforte e la scrissi in mezz’ora. La melodia in sé è molto generica, è un insieme di centinaia di altre, ma le parole sono interessanti. Suonava come una canzone d’amore, quasi confortante. Ma all’epoca non mi rendevo conto di quanto fosse sinistra. Credo che stessi pensando al Grande Fratello, alla sorveglianza e al controllo», il suo racconto. Il testo, infatti, appare romantico e dolce soltanto se letto in modo superficiale come una dichiarazione d’amore così potente da andare oltre la fine stessa di un legame. Soprattutto interpretato al nostro tempo, segnato da ricorrenti episodi di stalking, rivela invece una natura ossessiva, incapace di elaborare razionalmente quanto sta accadendo, gelosia, possesso, stati d’animo contrastanti e cupi. Ma la sua orecchiabilità, la bellezza e l’intensità della musica che lo accompagna (altro motivo di scontro tra Sting, che optava per una melodia semplice – come nella demo in otto tracce registrata utilizzando un organo Hammond negli Utopia Studios di Londra – e Copeland, alla ricerca di suoni più sofisticati) lo hanno reso immediatamente una hit, con il faticoso equilibrio raggiunto mesi dopo nelle sessioni finali di registrazione tra il dicembre 1982 e il febbraio 1983 agli Air Studios di Monserrat, un’isola delle Antille. «Sting aveva scritto una canzone molto buona, ma non c’era la chitarra. C’era questo organo Hammond che suonava come Billy Preston, e non certo come i Police. Abbiamo trascorso circa sei settimane a registrare solo i rullanti e il basso. Era una semplice, classica sequenza di accordi, ma non riuscivamo a trovare un accordo su come farlo. In quel periodo stavo lavorando a un disco con Robert Fripp, e provando a suonare i duetti per violino di Béla Bartók avevo elaborato un nuovo riff. Quando Sting ha detto “vai e falla come ti pare”, ce l’ho suonato sopra, e subito abbiamo capito che avevamo qualcosa di speciale» il ricordo del chitarrista Andy Summers. Mentre per Stewart Copeland «questa è la miglior canzone di Sting con il peggiore arrangiamento. Credo che lui avrebbe dovuto fare questa canzone con un altro gruppo, sarebbe stata migliore della nostra versione, tranne che per la parte brillante di Andy. È un’opportunità totalmente sprecata per la nostra band. Anche se ne abbiamo vendute migliaia di copie, ed è il più grande successo che abbiamo mai avuto» (questa estate sarà finalmente in Italia con il suo tour Police Deranged for Orchestra e l’arrangiamento da lui proposto si allontana parecchio dall’originale).

Un ulteriore traino – grazie alla continua rotazione sulla neonata MTV – è stato lo splendido video diretto dal duo Godley & Creme, girato in bianco e nero con sfumatura blu navy e liberamente ispirato allo short movie Jammin’ the Blues di Gjon Mili del 1944, taglio cinematografico molto suggestivo, i Police che eseguono la canzone in una decadente sala da ballo buia accompagnati da un pianista e una sezione di archi, sullo sfondo un uomo che lava una finestra, Sting che esegue la sua parte al contrabbasso e non al basso, primi piani sapientemente alternati per accompagnare e sottolineare l’intensità crescente. Per il cofondatore della casa discografica A&M Jeff Ayeroff il costo stimato va dai 75mila ai 100mila dollari per 5 milioni di album venduti: un ritorno “fenomenale”, senza poi considerare i Grammy, gli altri premi, i riconoscimenti, l’ingresso nelle classifiche dei migliori video di tutti i tempi, e l’incredibile numero di un miliardo di visualizzazioni su YouTube certificato da Billboard nell’ottobre dello scorso anno.

Every breath you take è una canzone che Sting non ha mai smesso di eseguire in concerto, nonostante lo scioglimento dei Police, e che secondo stime attendibili ha alimentato e continua ad alimentare un quarto delle sue entrate per i diritti d’autore (cifre nell’ordine di 30-40 milioni di dollari). Comprensive anche della campionatura di Puff Daddy che I’ll be missing you, altro enorme successo dedicato a Notorius B.I.G., una delle star della scena hip hop assassinato nel 1997. Un brano senza tempo, in qualunque versione venga proposto (al Live Aid a Wembley, nel luglio 1985, Sting lo eseguì in chiave acustica accompagnato da Phil Collins). Anche se la vita del suo autore, che non ha mai troppo amato il suo più grande successo, è andata decisamente avanti: dopo il divorzio da Frances il rapporto con Trudie (sposata nell’agosto 1992, entrambi gli sposi vestiti da Gianni Versace, loro grande amico) è sempre stato solidissimo, hanno avuto quattro figli, gli ultimi due nati in Toscana, dove trascorrono gran parte del loro tempo lontano dai tour mondiali nella tenuta Il Palagio, a Figline Valdarno, dove producono ottimo vino e olio. Nessuna nostalgia dei Police (nonostante il sold out negli stadi di tutto il mondo per la reunion tra il 2007 e il 2008), e il primo singolo da solista dal titolo inequivocabile: If you love somebody set them free (“se ami qualcuno lascialo libero”). L’esatto contrario di Every breath you take, I’ll be watching you (“ogni respiro che fai, io ti guarderò”).

Sting in concerto a Venezia

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