Il vento e la stella. La ragazzina che vinse la guerra contro l’orrore

by Enrico Ciccarelli

Non so voi, ma io non riesco a vedere nulla che riguardi la vicenda di Anne Frank senza un moto di commozione e di sdegno. Dentro l’orrore senza fine dell’Olocausto, questa ragazzina martire cui è stato impedito di fiorire si staglia con impressionante, colossale nettezza. Se «Le mie prigioni» costarono all’Austria più di una guerra perduta, il diario dell’adolescente ebrea segregata, deportata e uccisa nell’ambito di uno sterminio burocratico e pianificato, sterilizzato, occultato preventivamente dai suoi stessi artefici a beneficio delle infamie negazioniste dei posteri, segna un punto di non ritorno nel buio della specie.

Nella storia umana c’è un prima ed un dopo Anne Frank, e non certo perché prima o dopo ci sia stata scarsità di ferocia, di eventi crudeli, di lutti e di lacrime.

È perché la piccola figlia di Otto, mettendo su carta i suoi sorrisi, i suoi sogni ingenui, la sua anima che non conosceva razze né guerre, ma solo i primi fugaci palpiti del cuore, le incomprensioni da non ancora donna verso sua madre, il suo Edipo irrisolto, ci ha lasciato l’impressionante monumento di ciò che resiste nella tempesta, di una leopardiana ginestra di fronte all’atroce banalità del male.

Non stupisce quindi che sia stato intenso e commovente, lo spettacolo «Il vento e la stella», vernissage dell’VIII Stagione di Musica Felix, la rassegna musicale curata da Dino De Palma per la Fondazione Apulia Felix presieduta da Giuliano Volpe. A causa degli imminenti lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’Auditorium Santa Chiara, la rassegna si svolge nell’accogliente spazio del Conservatorio «Giordano» grazie ai buoni uffici del direttore Benedetto Montarulli e del presidente Saverio Russo.

Il grimaldello narrativo che «Il vento e la stella» utilizza per raccontare la segregazione, seguita da deportazione e assassinio, di Anne è Miep Gies, la donna, dipendente e fidata collaboratrice di Otto Frank, che si incaricò di nasconderli nella soffitta dell’azienda di Amsterdam che lo stesso Frank aveva affidato ai suoi collaboratori a causa delle leggi dell’occupante nazista. Fu lei a trovare il diario di Anne e a consegnarlo al padre, unico sopravvissuto della famiglia.

La bella drammaturgia di Giovanna D’Amato si è avvalsa delle musiche dell’Orchestra Ico131 della Basilicata, composte da Enzo Izzi e Angela Freno, rispettivamente direttore d’orchestra e inteprete di Anne. A Miep Gies dà invece corpo e presenza Katia Ricciarelli.

Il grande soprano veneto conferisce all’anima salva di Miep la sua incantevole timbrica e una partecipazione emotiva totale, che i suoi numerosi aficionados considerano tratto caratteristico delle sue esibizioni. Se Anne è l’ingenuità dolente, Miep è la vibrante indignazione di chi assiste impotente all’assenza di Dio. Uno spettacolo trascinante, struggente, eccellente per sobria incisività. Completato da un secondo tempo che ha visto la prima esecuzione assoluta del brano di Nicola Samale «Terezin –  un Eden satanico» dedicato all’atroce «stazione di passaggio» verso lo sterminio.

Trarre bellezza dall’orrore. Opera tanto simbolica quanto titanica, che conferma che la giovane Anne non era un’illusa quando scrisse di credere, malgrado tutto, «nell’intima bontà dell’uomo». Specchio dolce e spietato che ci costringe a guardarci dentro, non solo come individui ma come specie. Con il terrore e il raccapriccio di trovare in noi stessi non solo i tratti osceni dei carnefici, ma quelli ancora più abietti di chi vendette alla Gestapo la famiglia Frank per riscuotere la taglia, dell’equivalente di due dollari statunitensi del tempo, per ogni ebreo di cui si favoriva la cattura. Perché non esistono Termopili sulle quali non spunti prima o poi un Efialte.

Un felice esordio per un cartellone che terrà compagnia ai Foggiani&friends con altri sette appuntamenti (tutti di sabato, tutti con inizio alle 19) fino al 29 aprile.

Nel video l’intervista a Katia Ricciarelli

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