In Utero compie 30 anni, ma il mito dei Nirvana resiste al tempo e alle mode

by Claudio Botta

A 30 anni di distanza dalla sua pubblicazione (27 settembre 1993) In Utero, il terzo e ultimo album in studio dei Nirvana, la celebre copertina realizzata da Robert Fisher -una donna stilizzata con ali come la Nike di Samotracia-, alimenta ancora rimpianti per il suicidio di Kurt Cobain e la scia luminosa e oscura al tempo stesso che ha lasciato nel firmamento musicale ben oltre il grunge, genere di nicchia asceso a popolarità planetaria e diventato espressione tormentata e disperata di una generazione. La conclusione di una parabola folgorante iniziata nel 1989 con l’album d’esordio Bleach, che ha raggiunto il suo punto apicale con Nevermind e arriva al termine con una dozzina di tracce registrate in appena due settimane al Pachyderm Studio di Cannon Falls, in Minnesota, produzione affidata a Steve Albini a garanzia di un suono naturale e non artefatto.

Un lavoro omogeneo, musica che sconfina nel punk e nell’heavy metal, testi ispirati dalla malinconia, dalla rabbia, dal disorientamento di Cobain, l’enorme successo impossibile da gestire e anche solo da accettare, con conseguenti e laceranti sensi di colpa; la fragilità e l’orgoglio in contrapposizione, le forze sempre più flebili, le emozioni e le percezioni alterate, la fuga nell’eroina in una direzione senza uscita e senza ritorno. La canzone manifesto è All apologies: Tutte le sue scuse per essere così come è, una persona che non riesce a essere felice, ad accontentarsi, che si interroga continuamente sul senso più profondo dell’esistenza e non dà alcuna importanza agli aspetti materiali, che ovunque vada non riesce a sentirsi in pace con se stesso («Sunburn freezer burn», bruciato dal sole, bruciato dal freddo, si resta bruciati sempre), che anche in amore alla fine si arrende, ma nessuno vince davvero e si è trascinati insieme nella rovina («Choking on the ashes of her enemy», soffocata dalle ceneri del suo nemico). L’ammissione che soltanto nel sole (metafora di qualcosa di altro/altro, un sentimento mai provato e così tanto desiderato, una divinità, un’altra dimensione) arriva la sensazione di completezza («In the sun, in the sun I feel as one», Nel sole mi sento tutt’uno), ben diversa da una vita vissuta nella considerazione generale soltanto senza deragliare da determinati binari (la famiglia, il matrimonio: «Married») e che scivola inesorabilmente nella ripetitività, nella banalità, nella lenta anticamera della morte («Buried»). Il finale rassegnato e sincero, cantato con Dave Grohl, ripetuto come un mantra: «All in all is all we are», alla fine è tutto ciò che siamo, e allora che senso ha continuare ad angosciarsi?

Altre perle sono Heart-Shaped Box, il racconto del suo amore con Courtney Love così segnato da incredibili saliscendi emotivi e dall’eroina, nonostante la nascita di Frances Bean (nell’agosto 1992, sei mesi dopo il loro matrimonio alle Hawaii). Oppure, altra chiave di lettura emersa negli anni facendo riferimento a un passaggio del testo, una reazione dettata da una profonda sensibilità ad immagini di bambini malati di cancro. E’ una delle più amate dai fans anche per il video diretto da Anton Corbjin , all’epoca reduce dal grandissimo successo della collaborazione professionale con i Depeche Mode per Enjoy the silence e con gli U2 per One, e per il romanzo (La scatola a forma di cuore, pubblicato in Italia nel 2007) di Joe Hill, figlio di Stephen King, scritto ascoltando i Nirvana.

Drammatica e toccante è Pennyroyal Tea, con riferimento a un’erba usata nell’antichità come contraccettivo e abortivo, e che in dosi eccessive può danneggiare organi vitali come fegato e reni. Altra metafora inquietante sul mal di vivere («I’m so tired I can’t sleep», sono così stanco che non riesco a dormire), senza più alcuna autostima («I’m a liar and a thief», sono un bugiardo e un ladro), senza più nascondere il desiderio più grande: «Give me a Leonard Cohen afterworld/So I can sigh eternally», dammi un aldilà alla Leonard Cohen così che possa sospirare in eterno. Il successivo 18 novembre, il palco allestito all’interno dei Sony Studios di New York per registrare l’esibizione unplugged dei Nirvana per MTV (poi trasmessa il 16 dicembre) sarebbe stato addobbato per espressa richiesta di Kurt con lampadari di cristallo, candele e gigli, come per una veglia funebre: la performance con 14 canzoni, 6 delle quali cover, entrerà nella storia, regalando agli spettatori insolitamente composti e silenziosi, alla platea televisiva e a milioni di appassioni uno dei momenti live più intensi di sempre. Il cardigan verde oliva con 5 bottoni indossato da Cobain, marca Manhattan e una vistosa bruciatura di sigaretta all’altezza della tasca destra, è stato venduto all’asta nell’ottobre 2019 per 334mila dollari. La chitarra acustica Martin D-18E del 1959, invece, in un’altra asta battuta a Beverly Hills nel giugno 2020 è stata acquistata dal magnate australiano Peter Freedman, fondatore di Rode Microphones (un’azienda di microfoni professionali) per la cifra record di 6 milioni di dollari, due milioni in più della Black Fender Stratocaster utilizzata da David Gilmour nei più celebri album e tour dei Pink Floyd.

30 anni dopo, il mito dei Nirvana è quindi più vivo che mai. Sono in arrivo le ennesime ristampe celebrative che, nell’edizione più ricca, includono oltre a numerose bonus track, memorabilie come le riproduzioni di pass e biglietti, le tracce di due concerti, il primo datato 30 dicembre 1993 e che si tenne al Great Western Forum di Ingleswood, Los Angeles; il secondo del 7 gennaio 1994 nella loro Seattle, alla Center Arena, l’ultimo show in assoluto negli Stati Uniti, tre mesi prima del ritrovamento del corpo di Kurt senza vita nella residenza al 171 del Lake Washington Boulevard. Un suicidio annunciato (un mese prima a Roma, la mattina del 4 marzo, Courtney lo aveva trovato sul pavimento della loro suite all’Hotel Excelsior in overdose, determinata dall’assunzione di 50 pillole di Roipnol ingerite dopo avere bevuto champagne a cena, ma nemmeno in quell’occasione era scattato il campanello d’allarme) ma non per questo meno sconvolgente. E riascoltare il suo testamento in musica (ogni pezzo merita un attento ascolto) ispirato e sincero, o trasmetterlo a nuove generazioni, è il modo migliore per rendere omaggio a un’anima fragile che ha preferito bruciare in fretta piuttosto che spegnersi lentamente (citando un verso della canzone Hey hey, my my di Neil Young nella lettera d’addio).

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.