La lingua di Mozart

by Raffaella Passiatore

Wolfgang Amadeus Mozart.

Molti lo definiscono “Homo europeus”.

Amadeus era veramente imbevuto di cultura europea; attraversò l’Europa in lungo e in largo, studiò la musica e la letteratura “straniera” e, naturalmente, padroneggiò anche le ligue straniere. Già da bambino traduceva dal latino e parlava e scriveva il Francese e l’Italiano.

L’Italiano era (ed è) la lingua per antonomasia della musica; prescelta per il canto operistico e quindi tappa obbligatoria non solo per ogni musicista ma, all’epoca di Mozart, per ogni persona di cultura. Chi non avesse voluto passare per un barbaro doveva avere almeno un’infarinatura di tre cose: le lingue straniere (solitamente l’italiano e/o il francese), la musica (di solito il clavicembalo e/o il canto) e il ballo.

Considerando la difficoltà degli spostamenti in carrozza e l’assenza della moderna tecnologia, la compenetrazione culturale nell’Europa di allora mi sembra più raffinata e forse più profonda di oggi.

La tendenza verso la cultura o la moda di un certo Paese era dettata solo indirettamente dalla potenza economica dello stesso. Certo che era la corte più ricca a vantarsi degli artisti e degli architetti migliori, il fatto poi che questi fossero stranieri non ne sminuiva il prestigio, anzi! Un uomo del XVIII secolo, trasportato dalla macchina del tempo nella nostra epoca, cui si chiedesse il motivo dell’uso dell’Inglese come lingua internazionale ne cercherebbe le ragioni in una qualche eccellenza artistica non nel mero commercio.

L’italiano alla corte di Vienna si parlava correntemente, tanto che Metastasio durante il suo soggiorno nella capitale non ebbe necessità alcuna di acquisire nozioni di lingua tedesca.

Wolfgang Amadeus amava talmente l’Italiano da eleggerlo a “lingua segreta” con la sorella Nannerl.

Usava l’Italiano anche nello scambio epistolare; all’amica Aloisa Weber, alla moglie Konstanze, al padre; inframmezzandolo al Tedesco ed al Francese; con la sorella Nannerl intercalandolo al dialetto austriaco.

Tuttavia Mozart doveva aver dimestichezza anche con la tradizione italiana, visto che conosceva addirittura i nostri proverbi. Wolfgang scrive in una lettera al padre (cfr.54 -538- München, dem 15. November 1780):

À piano piano, si và lontano.

E il pubblico doveva conoscere bene anche il settore alimentare del nostro Paese se Mozart e Da Ponte inseriscono nel Don Giovanni riferimenti così precisi che, evidentemente, l’ascoltatore era in grado di apprezzare. Don Giovanni, per sedurre Zerlina, paragona la sua pelle ad un formaggio; una pelle evidentemente bianca e liscia come una giuncata cfr. Parmi toccar giuncata e fiutar rose.

Il paragone non deve stupire perché creato ad hoc. Essendo Zerlina una contadina certamente ne sapeva più di formaggi che di velluti e sete. Il paragone di Don Giovanni è assolutamente conforme all’ambiente di Zerlina.

Sempre il libertino Don Giovanni quando inneggia al vino non lo fa genericamente ma menzionando il Marzemino friulano: cfr.Versa il vino! Eccellente Marzemino.

Mozart affida a Zerlina due arie di esplicito erotismo, la prima con un certo riferimento sado-masochista. Nell’atto I, scena 16, quando la contadina cerca di farsi perdonare dal suo fidanzato Masetto si esprime con queste parole:

Batti, batti, o bel Masetto,
la tua povera Zerlina!
Starò qui come agnellina
le tue botte ad aspettar! …

Nel secondo atto, scena 6, Zerlina promette a Masetto -pestato a sangue- l’efficacia taumaturgica di un certo unguento…

Vedrai, carino, se sei buonino,
che bel rimedio ti voglio dar.
È naturale, non dà disgusto,
e lo speziale non lo sa far …

È un certo balsamo che porto addosso:
dare te’l posso, se’l vuoi provar.
Saper vorresti dove mi sta?
Sentilo battere…
… toccami qua!

L’erotismo dei libretti mozartiani diventa pornografia nello scambio epistolare privato.

Ecco cosa leggiamo nel Post Scriptum -in una commistione di latino e dialetto austriaco- di una lettera alla cugina Maria Anna Thekla, detta Bäsle. (511 Keyserheim, den 23.December 1778):

Cfr.

P:S: Scheis= dibitari der pfarer zu Rodempl

Hat sein köchin im arsch gelekt, ein andern zum Exempl:

Vivat- vivat

Vostre sincere Co

Il latino e il tedesco dialettale sono prima di tutto utilizzati per definire i personaggi, rispettivamente: il prete e la cuoca. Il latino sta alla religione come il dialetto alla sessualità. L’eccitazione sessuale che doveva provocare il testo (in Bäsle o in Wolfgang stesso che lo scrive?) è figlia di quella fantasia erotica che si alimenta del tabù religioso.

Ecco poi, con la firma in francese dove immagino che “Co” sia l’abbreviazione di “Cousin”, che Wolfgang ritorna compíto grazie alla distante eleganza del Francese.

Chi non sa il Tedesco sarà curioso di conoscere il significato della frase scritta a Bäsle. Dirò solo, per decenza, che il prete compie una certa pratica linguale nel posteriore della cuoca…

In questo caso Mozart usa tre idiomi in quattro brevi frasi. Ad ognuno dà una connotazione precisa ed una funzione.

(Sarò blasfema ma mi viene in mente la tecnica dell’assemblage plurilingue di Sanguineti!)

A quanto pare la cugina Bäsle gli era di grande ispirazione, vista una seconda lettera in cui compare questo scritto (39 -432- Mannheim, den 28. Februar 1778):

cfr. dreck. dreck!—dreck!- o dreck! .o süsses wort! –dreck! –schmeck! –auch schön!- dreck, schmeck!- dreck! –leck- o charmante! –dreck, leck! –das freüet mich! -dreck,schmeck und leck! –schmeck dreck, und leck dreck!

C’è una volontà quasi ipnotica, nella ripetizione di quelle tre parole; Dreck!: sporcizia! Schmeck!: gusta! Leck: lecca! Il punto esclamativo accentua la perentorietà del messaggio.

Nella stessa lettera a Bäsl leggiamo un gustosissimo gioco con i tempi del verbo essere. Anche se non ne capite il significato, provate a leggerlo e vedrete che effetto fonetico!

Cfr.

Ich bin, ich war, ich wär, ich bin gewesen, ich war gewesen, ich wär gewesen, o wenn ich wäre, o daß ich wäre, wolltegott ich wäre, ich wurde seyn, ich werde seyn, wenn ich seyn würde, o das ich seyn würde, ich wurde gewesen, ich werde gewesen seyn, o wenn ich gewesen wäre, o daß ich gewesen wäre, wolltegott ich wäre gewesen, was? -ein stockfisch.

Sono, ero, sarei, sono stato, ero stato, sarei stato, o se io fossi, o che io fossi, volesse dio che io fossi, se io potessi essere, sarò, ecc.

Con sfumature sempre più sottili e con un incalzare emotivo. Impossibile riprodurre l’effetto sonoro in italiano, dove l’iterazione della “w” è sostituita da quella della “esse” e non si riesce a conservare l’effetto ritmico del fonema, come invece nell’originale: “wa/wä/we/wü”.

C’è un uso molto libero del maiuscolo ed alcune parole sono strategicamente scritte unite; non credo si possa parlare di errori involontari.

 Avesse voluto Dio che fossi stato, cosa? Chiede finalmente Wolfgang, dopo la “drammatizzazione” della prima persona del verbo essere? La risposta è:  Ein Stockfisch: uno stoccafisso!

Mozart fa uso di onomatopee, come nella lettera alla moglie Konstanze (176 -1170- Wien, den 25. Juni 1791) dove la preposizione “bis” si contrae fino a diventare “bs” per riprodurre il glissare dei bacetti mandati in volo.

Oppure, in un’altra missiva sempre alla moglie (cfr.177 -1173- Wien, dem 2. Juli 1791), leggiamo:  

Lacci bacci tausend Ohrfeige, che tradotto equivarrebbe a: Lacci bac(c)i mille sberle. Secondo me, Mozart aggiunge la “c” a baci, semplicemente per gusto di assonanza con “lacci”. “Baci” era una parola molto usata e non mi sembra possibile che non sapesse scriverla correttamente.

Ancora (Cfr.181 -1182- Wien, den 6. juni 1791) a Konstanze, l’intraducibile gioco onomatopeico:

Stu! –Knaller paller- /schnip- schnap- schnur/ Schnepeperl./ Snai!-

(E, dopo Sanguineti, mi viene in mente la composizione dadaista Ursonate di Kurt Schwitters!)

E poi, lo strano diagramma di brevi linee (Nel diagramma originale ogni linea è doppia), quattro per nove, che appare nel Post Scriptum della lettera di Mozart alla moglie cinque mesi prima di morire (183 -1187- Wien, den 9.Juli 1791).

Traduco:

A N.N. riporta da parte mia quanto segue:

– – – – – – – – –

– – – – – – – – –

– – – – – – – – –

– – – – – – – – –

Cosa dice lui di questo? Gli piace? Non molto credo, sono espressioni molto dure! E difficili da capire- Adieu.

Sul destinatario di questo misterioso dispetto, si sono fatte molte ipotesi. Condivido l’opinione che sia indirizzata a Süssmayer, suo alunno di composizione, nonché probabile amante della moglie Konstanze e che, per paradosso della sorte o poca sensibilità della Signora Mozart, sarà proprio colui che terminerà l’incompiuto Requiem.

Amadeus Amava il gioco idiomatico, era un grande virtuoso della pronuncia al contrario d’intere frasi, con cui metteva a dura prova i suoi amici.

Ma fin qui abbiam scherzato; son quisquilie.

Le sue opere invece non scherzano.

Le sue opere pullulano di doppi sensi, paralleli matematici, allegorie e simboli.

Con l’uso delle lettere dell’alfabeto tedesco per indicare le note arriviamo, con un gioco di sostituzioni, a risultati abbastanza inquietanti.

È più di un sospetto l’appartenenza di Mozart alle logge segrete, soprattutto a sfondo politico.  L’analisi del Flauto Magico di Martha Ida Frese ne: Die Zauberflöte, wer war Sarastro, wer Tamino? ha dell’incredibile.

Secondo l’autrice, la musica ed il libretto dell’ultima opera di Mozart sono una gigantesca opera enigmistica; un mostruoso rompicapo cabalistico e tutto troppo complesso per essere frutto del caso o -dico io- di una inventiva mistificatrice della Signora Frese.

(Permettetemi una divagazione. Se però preferite continuare ad occuparvi di Mozart, saltate a fine parentesi.

La domanda che mi faccio è: fino a che punto il gioco enigmistico da parte dell’artista è cosciente?

Per esperienza, devo ammettere che ci sono rari momenti di gloria nei quali una poesia appare alla mente assolutamente pronta. Finita. Punto e basta.

Non c’è nulla né da aggiungere né da togliere. La metrica, la melodia, il verso, il contenuto, tutto combacia armonicamente senza averlo costruito coscientemente. Questa però non è la normalità; per nessun artista lo è, né tanto meno per i  così detti geni, ammesso che esistano.

La realtà quotidiana di ogni artista è un lavoro molto più strutturato e metodico di quanto si possa immaginare.

Sull’argomento, voglio raccontare un curioso caso di cui sono stata protagonista.

Al termine della presentazione della mia raccolta di poesie Terre Straniere a Salisburgo, nel 2005, mi si avvicinò un vecchio signore di cui taccio il nome.

Si presentò come professore in pensione, aveva insegnato Ebraismo presso l’Università di una certa città austriaca.

Era alto e magro, portava un cappotto scuro con il bavero di pelliccia ed in testa una bustina di astrakan. Mi colpirono, nonostante l’età, i capelli ed i baffoni nerissimi ed un vistoso anello all’anulare sinistro dalla pietra turchese.

Dopo i preliminari di rito e la richiesta di un autografo, aprì il mio libro a pagina ventidue. Come appresi più tardi, il 22 è un numero segreto iniziatico e sacrificale ed è la somma delle tre lettere archetipe della cabala: Alfa, Omega e Mem. Sulla fatale pagina ventidue era stampata la mia poesia dal titolo Astrologia, con testo a fronte in tedesco.

Il professore picchiettò un paio di volte su pagina ventidue con l’indice magro e rugoso, lesse ad alta voce la mia poesia e poi mi chiese guardandomi dritto negli occhi: « Lei come fa a sapere? Chi è stato ad iniziarLa?»

Non capivo che cosa intendesse e gli chiesi spiegazioni. Pensando che facessi la “gnorri”, il professore si limitò a dondolare il capo, e disse: «Capisco…»

Beato lui perché io, invece, non capivo assolutamente nulla.

Mi mise in mano il suo bigliettino da visita. Mi guardò intensamente e poi, a passo svelto, lasciò la sala.

Purtroppo la mia curiosità è irrefrenabile. Il giorno dopo lo chiamai, prendemmo un appuntamento. Presi il treno da Salisburgo il venerdì successivo e, dopo circa quattro ore di viaggio, arrivai nella cittadina della Niederösterreich in cui abitava il professore. Col taxi raggiunsi la villetta in cui viveva, un edificio abbastanza tetro che trasudava umidità e odorava di stracci bagnati e minestrina.

Ve la faccio breve. Il vecchio professore si rivelò essere nientedimeno che il Cavaliere dell’Ascia Reale!

Pare che la mia poesia Astrologia  -stampata proprio a pagina ventidue!- sia la descrizione, neanche troppo ermetica, di un rito iniziatico massonico.

Quando riuscii a convincere il Cavaliere dell’Ascia Reale che né avevo sbirciato da una serratura, né un qualche adepto mi aveva fatto una soffiata, la sua conclusione fu altrettanto stupefacente.

Si affrettò a chiedermi la data, il luogo e l’orario della mia nascita e si mise a calcolare la mia mappa astrale sotto i miei occhi.

M’informò in tempo reale che non c’era alcun dubbio; i numeri la dicevano tutta e anche lunga!

Era evidente che la mia intuizione poetica non era tutta farina del mio sacco. Il calcolo astrale dimostrava un raro caso di metempsicosi. Dio solo sa perché quel Gran Maestro massone del secolo passato avesse avuto la bontà di reincarnarsi

-sempre a mia insaputa- proprio nella sottoscritta. Si sa che le donne sono escluse dalla massoneria, quindi per essere punito a reincarnarsi in una femmina il Gran Maestro doveva averne combinate delle belle nella sua/mia vita precedente!

Questo l’aneddoto. Adesso la seconda domanda: perché ogni volta che in un’opera d’arte si trova una qualche sorta di enigmistica, si ricorre sempre alla spiegazione esoterica?

Secondo me, durante la stesura di un’opera, inevitabilmente avvengono quelli che i linguisti chiamerebbero “riflessi”. In letteratura sono dei riflessi non solo fonetici, ché sarebbe limitante, ma soprattutto concettuali o simbolici.

È fatale ma inevitabile che le lingue parlate, studiate e persino quelle dimenticate; tutto il letto, tutto l’ascoltato, tutto il visto ed il vissuto ritornino

-inconsciamente- nell’atto creativo con modalità straordinarie e non predisposte.

E come questo avvenga nella nostra psiche mi sembra un enigma già di per sé abbastanza intrigante da non doverne aggiungere altri.

Ma torniamo finalmente a Wolfgang Amadeus Mozart.)

In Austria, ho imparato a sillabare il mio cognome: Pi-a-es-es-i-a-te-o-er-e, e poi ad aggiungere subito: Hartes Pe: Pi dura, sì, perché gli austriaci difficilmente sentono la differenza tra la P e la  Weiches B e, inevitabilmente, rischierei di vedere il mio nome scritto Bassiatore.

In una lettera alla sorella (Allegato alla lettera di Leopold Mozart alla moglie; 6 -147- Wörgl, den 14. Dezember 1769) Wolfang scrive:

cfr. …dice, che canto sempre: Tralaliera,Tralaliera, e digli, che non è neceßario adeßo da cetar dei zuckeri nella suppa, stante non sono a salispurgo.

Esilarante la Scharfes Es al posto di: “ss” e poi “ck” al posto di: “cc” in: zuckeri e la confusione tra Hartes C e Weiches G di “cetar”, che sta per: gettar.   

Riflettete sulla metafora della frase e poi guardate come viene scritta la città natale di Mozart. Un errore il minuscolo? Ma, soprattutto, ancora un refuso lo scambio di quella “Bi” con una “Pi” ?

Oppure il Wolfgang, che detestava Salisburgo ed i salisburghesi sopra ogni cosa, lo ha fatto di proposito? Anche perché il significato della parola “spurgo” Mozart doveva conoscerlo.

La passione per la lingua italiana Wolfgang sicuramente la condivise con Da Ponte, suo amato librettista.

(Secondo un mio alunno, per avere un binomio tanto geniale quanto quello Mozart/Da Ponte bisognerà aspettare il sodalizio Lucio Battisti /Mogol. Considerando la popolarità della musica di Mozart ai suoi tempi, l’affiancamento non mi sembra poi così irriverente.)

I tre capolavori di Mozart e Da Ponte : Le nozze di Figaro, Così fan tutte e Don Giovanni pullulano di giochi linguistici e v’invito a soffermarvi sui libretti, ne scoprirete delle belle!

Bibliografia


J.Chevalier/A.Gheerbrant: Dizionario dei simboli. Universale Rizzoli 1986

M. I.Frese: Die Zauberflöte, wer war Sarastro, wer Tamino? Verlag Hohe Warte GmbH, Pähl/Oberbayern
G. Folena: L’italiano in Europa. Einaudi 1983

Frullini Andrea: Mozart e il divieto di successione. Raffaello Cortina Editore 2001.

Mozart/Da Ponte: Libretto Don Giovanni, il dissoluto punito. Dramma giocoso in due atti.  KV 527 Philipp Reclam Jun. Stuttgart 1986.

Mozart Briefe. Philipp Reclam Jun. Stuttgart 1987

R.Passiatore: Terre Straniere. Florestano Edizioni, Bari 2005

M. Schneider: Gli animali simbolici. Rusconi, Milano 1986

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