La musica è creazione di uno spazio. La missione di Pablo Sáinz-Villegas

by Claudia Pellicano

A volte capita di incontrare artisti che intraprendono la propria vocazione come un dono da mettere al servizio degli altri. La musica è uno di quei canali privilegiati con il potere di avvicinare persone e culture diverse, e Pablo Sáinz-Villegas sembra aver inteso il proprio percorso artistico come un’autentica missione. Considerato l’erede di Andrés Segovia, ad oggi è uno degli interpreti più autorevoli e acclamati della chitarra classica nel mondo.
Lo abbiamo intervistato in occasione del suo debutto romano all’Istituzione Universitaria dei Concerti della Sapienza.

Raccontaci di The legacy of music without borders, la fondazione che hai creato nel 2006. Qual è la sua funzione, e quali gli obiettivi per il futuro?

Tutto è cominciato quando avevo sette anni e sperimentato per la prima volta cosa significasse stare su un palcoscenico. Mia madre ebbe un’idea straordinaria, quella di farmi esibire in case di cura. Mi sono innamorato di quell’esperienza e da allora ho desiderato suonare per gli altri. Non solo stavo vivendo il mio sogno, vedevo anche le persone sorridere, il che mi ha fatto comprendere il potere della musica di rendere le persone felici. È parte del mio DNA e del mio scopo come musicista, ispirare, creare uno spazio di comprensione reciproca, un terreno comune dove le persone si incontrino. A San Diego, nel 2006, ho dato vita a questa fondazione con l’idea di suonare per i bambini, e ho cominciato a farlo. Finora mi sono esibito per più di quarantottomila di loro, in Messico e in California, mettendo idealmente in contatto due regioni tra cui intercorre una distanza di meno di cinquanta chilometri. L’obiettivo della fondazione è avvicinare e ispirare le persone, credere nei sogni, e promuovere valori di tolleranza e multiculturalità attraverso la determinazione e la passione che metto nel mio lavoro. La musica è la colonna sonora di queste iniziative, all’interno delle quali invitiamo anche esponenti di vari ambienti musicali che, attraverso la loro musica, condividono con noi la celebrazione dell’umanità. Per il futuro i nostri obiettivi sono naturalmente di continuare, e di portare la musica nelle scuole come viatico di valori e strumento educativo. Al momento stiamo finanziando un’organizzazione no profit negli Stati Uniti per sviluppare programmi di studio in queste zone. Creeremo un festival musicale a Sonoma come abbiamo già fatto in La Rioja, la mia Regione, sempre con lo scopo di far conoscere la musica ai più giovani.

Un istante prima e un istante dopo le tue esibizioni vivi dei momenti di intenso silenzio e raccoglimento che, perfino a un osservatore esterno, appaiono molto diversi. La mia, personalissima impressione è che tu ti “perda” in te stesso prima dell’esibizione, per poi ritrovarti, e alla fine come interiorizzare quello che hai sperimentato. Te la senti di condividere con noi alcuni dei pensieri e delle sensazioni che ti attraversano in quei momenti?

È interessante quello che dici, non sono mai stato particolarmente consapevole del processo che descrivi, ma ha senso: per me, la musica è creazione di uno spazio, è essere presenti in quello spazio riempito dal silenzio, dove la musica vive, si sviluppa, e si esprime. È stare in quel luogo e invitarvi il pubblico, le persone, a partecipare. Prima di cominciare a suonare sento questo spazio.
La musica si basa sul tempo, un tempo lineare; c’è comunque un processo molto interessante, quasi alchemico, nel quale il tempo si trasferisce e svanisce all’interno dello spazio. È metafisico, regala un barlume di eternità. È un concetto piuttosto filosofico, ma la mia intenzione è questa, creare uno spazio nel quale ritrovarsi tutti nello stesso istante. Quando suono, la musica mi sembra prendere dimensione, come un’architettura di cui visualizzo nello stesso istante tutte le forme: è come vedere un quadro nel suo insieme. E il momento in cui finisco di suonare per me è sacro, perché, in un certo senso, abbiamo riempito quello spazio con la musica e con la percezione e la testimonianza dei presenti. È davvero potente. Quando il brano finisce, abbiamo tutti fatto esperienza di questo viaggio, e alla fine possiamo incontrarci e “sentirci” a vicenda. Sono sicuramente due momenti molto diversi, sacri e quasi divini.

In Prova d’orchestra Federico Fellini ha umanizzato gli strumenti, attribuendo loro una personalità, perfino dei caratteri maschili e femminili. Qual è la personalità della chitarra?

Amo Fellini e il cinema italiano di quegli anni, e penso che ogni strumento abbia la propria personalità. La classificazione più basica dell’umanità è nella dualità tra maschile e femminile. Credo che la mia chitarra sia donna, che sia la natura del mio strumento, ma allo stesso tempo penso che ci siano chitarre maschili. Detto questo, la chitarra è un’estensione di me, della mia mente, del mio corpo, delle mie emozioni. Diventiamo un tutt’uno, è uno specchio e un’espressione della mia persona attraverso la musica. A volte mi chiedono se la mia chitarra abbia un nome, la risposta è no, darle un nome significherebbe separarla da me. Se mi sento in un certo modo, la chitarra amplificherà quell’emozione, se cambia, lo rifletterà. Non ha un’anima di per sé, e so che può suonare strano, e che sarebbe più romantico dire che ce l’ha, ma in definitiva è un’estensione di me.

Uno degli elementi delle dittature è la messa al bando della musica, ritenuta quasi “fuorviante”. Perché, secondo te? Quali sono il potere e la valenza di questa forma d’arte, in particolare?

Naturalmente la musica è molto potente, fa parte di quelle esperienze che non possiamo toccare con mano, ma che possiamo sentire. Ha un grande ascendente sulle masse, pensiamo soltanto a un concerto, di qualunque genere, dove nella folla vengono catalizzate le emozioni più diverse. Anche i dittatori, però, amano la musica, alcuni dei più noti quella classica, ed è pressoché impossibile trovare qualcuno che non la ami in assoluto, quale che sia il genere. Io vorrei che la musica potesse toccare il cuore di chi detiene il potere, modificarne le azioni, e il corso della storia.

Qual è il tuo rapporto con l’Italia e la nostra tradizione musicale?

La chitarra ha una grande storia in Italia, Mauro Giuliani e Giulio Regondi sono compositori molto importanti, hanno avuto un impatto nella mia formazione di musicista. Sono innamorato dell’Italia per via della sua arte, della musica classica, di Venezia e dei fratelli Gabrieli, di Giovanni Pierluigi da Palestrina, e adoro il periodo del Rinascimento e della musica, compresa quella religiosa che ha prodotto. Adoro la scultura, la pittura, c’è arte in ogni angolo d’Italia, il che è di grande ispirazione. E amo Roma perché il semplice passeggiarci o entrare nelle sue chiese regala delle sorprese. L’arte è immortale, è per questo che credo chiamino Roma “la città eterna”, e per me umanizza la società e l’esperienza che abbiamo della vita. La tecnologia apporta un contributo importantissimo, ma credo che più tecnologia avremo, più l’arte sarà fondamentale, perché la tecnologia è un’esperienza della mente, mentre l’arte un’esperienza del cuore. Occorre trovare un equilibrio, e l’universo ci riesce sempre. Più ci concentriamo sulla razionalità, maggiori saranno il valore, la saggezza e la bellezza dell’arte, che mi ispira e mi riempie nil cuore.

Alcuni dei nostri amici comuni di New York ti hanno descritto come uno sportivo, è così? Quali sono le tue passioni e i tuoi interessi, oltre alla musica? 

Amo la vita, lo sport, il calcio, ballare la salsa, ma anche la poesia, la natura, il silenzio e la meditazione. Mi piace tutto quello che per me è autentico e che posso condividere con gli amici, come bere un bicchiere di vino in compagnia. Per me è importante nutrire la mia parte spirituale, mi porta pace e saggezza. Amo le persone e la vita, che è un dono, a volte ci mette alla prova, ma questo ne fa parte, ci porta a imparare e a crescere. Per me significa godere dei bei momenti, ma anche vivere appieno quelli difficili.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.