Le molte vite della pianista e direttrice d’orchestra Vanessa Benelli Mosell: “Rendere la musica classica popolare è la mia sfida”

by Nicola Signorile

L’ultima allieva di Stockhausen è un’italiana orgogliosa di esserlo. “Il nostro paese è la culla dell’arte e della cultura, dall’estero è più evidente, noi tendiamo a dimenticarlo”. Vanessa Benelli Mosell, pianista e direttrice d’orchestra originaria di Prato, lo sa bene: vive all’estero da anni e, a 30 anni, ha già vissuto molte vite. Bambina prodigio, a tre anni muove i primi passi al pianoforte con Alberto Alinari a Firenze, poi il Mozarteum di Salisburgo nella classe di Boris Bloch, a 7 anni viene ammessa all’Accademia Pianistica Internazionale di Imola, nel 2005 il Diploma d’Onore dell’Accademia Chigiana di Siena, in seguito tre anni di studio al conservatorio di Mosca con Mikhail Voskresensky, nel 2012 si laurea presso il Royal College of Music di Londra.

Talento musicale precoce, grande presenza scenica, bellezza naturale e cura del look, calca i palcoscenici più ambiti, dalla Scala al Philharmonie Berlin, dirige, tra gli altri, la Wiener KammerOrchester e il Divertimento Ensemble. Una globetrotter con le idee chiare, divulgatrice e ed esploratrice di mondi musicali con un approccio innovativo che guarda al grande pubblico e allo svecchiamento dell’austero mondo della classica. La incontriamo alla vigilia dell’uscita, il 13 novembre, del quinto disco per Decca Italia, intitolato Casta Diva.

Vanessa, questa volta si parla di opera.

Esatto. Il disco è dedicato all’opera italiana e alle sue rivisitazioni per pianoforte. Fa parte della mia autobiografia, mia madre a 3 anni mi portava a teatro per vedere l’opera. Mi ha affascinato sin da bambina. Ho fatto parte di un coro di voci bianche, collaborando a varie produzioni. L’ho apprezzata ancora di più lavorando con costumisti, musicisti, e tutti i professionisti coinvolti. Quelle esperienze mi hanno introdotto al mondo della musica e al palcoscenico. Ho capito che potevo portare la musica al pubblico con il mio strumento. Tre anni fa ho pensato di racchiudere la mia identità in un disco che sposasse l’opera e il pianoforte: arie, temi, ouverture, anche molto noti, che ho selezionato in base alle trascrizioni migliori disponibili come quelle di Liszt”.

L’Italia resta il suo punto di riferimento culturale?

Ho lavorato e studiato molto all’estero, ma non ho mai smesso di sentirmi italiana. Sono contenta e orgogliosa di poter rappresentare la cultura italiana nel mondo. Gli italiani sono molto esterofili, spesso si viene apprezzati più fuori dai confini nazionali. Dovremmo imparare a mettere in valore un settore che, ricordiamolo, crea anche tanta ricchezza e lavoro”.

Perché una bambina si avvicina a uno strumento per anni considerato maschile?

L’ho sentito a scuola. Scappavo dalla sala giochi dell’asilo per andare ad ascoltare una suora che insegnava a suonare il pianoforte ai bambini delle elementari. Non me ne sono più separata”.

Oggi pianiste e direttrici d’orchestra hanno conquistato spazi, anche mediatici, importanti, sta cambiando qualcosa?

Sono moltissime, è vero. Almeno in questo campo andiamo verso la parità”.

Ha mai subito esclusioni o discriminazioni?

Devo dire che non ho mai vissuto niente del genere, avrei reagito molto male. Anche se penso che per farsi rispettare le donne non debbano mai assumere atteggiamenti aggressivi”.

Il suo mondo sta a piccoli passi uscendo dalla nicchia. Molti lo considerano elitario o polveroso. Come si rende pop la musica classica?

Rendere la classica popolare per me è una sfida. Lo scopo della musica è toccare il cuore di ognuno di noi, arrivare alla sensibilità di molti è un potere enorme. Ma è necessario uscire dai piccoli recinti. Superare l’atteggiamento conservatore che inibisce questo approccio. Non è solo una questione di forma, c’è chi nel nostro ambiente si reputa ambasciatore unico della musica. Spesso non sono musicisti, ma persone che hanno il potere di invitare artisti e programmare. E spesso, soprattutto in Italia, appartengono a un’altra generazione”.

Mi sta dicendo che parteciperebbe al festival di Sanremo?

Mi piacerebbe molto essere su un palco così popolare. Sarebbe l’occasione di parlare di un altro genere di musica. Credo che un festival pop dovrebbe aprirsi alla classica, come noi cerchiamo di fare con la musica leggera. Un’apertura da entrambe le parti per far scoprire qualcosa di bello a chi non lo conosce: il fine è sempre il pubblico”.

Pop e musica colta a braccetto?

Perché no, la musica classica deve incontrare il pubblico della mia generazione. In questo senso, è importante utilizzare le nuove tecnologie e la comunicazione come accade per la musica leggera. Il mondo della musica purtroppo in Italia è molto politicizzato e vecchio stile, pieno di retaggi del passato. Il pubblico però è più avanti rispetto a chi deve proporre e programmare musica, in Asia e in America la situazione molto diversa”.

Lincoln Center, Palazzo dell’Unesco, Louvre, La Scala: come ci si prepara ad affrontare palcoscenici così?

Mi piace prepararmi al meglio in modo da essere il meno preoccupata possibile quando salgo sul palco. Voglio essere sicura di me, di fare quello so fare in un modo diverso da tutti gli altri. E’ quello che ti rappresenta, che ti rende unico come artista, una modalità di espressione libera che ti dà confidenza davanti a qualsiasi pubblico”.

Che influenza ha avuto Karlheinz Stockhausen, compositore fondamentale per la musica del XX secolo?

È stato un grande artista che ha segnato le mie scelte di vita e il mio repertorio musicale. Averlo conosciuto così presto mi ha dato la possibilità di assorbire il più possibile da quell’incontro, dalle sue lezioni e dall’atmosfera che si respirava nella sua fondazione a Kurten. Ho avuto modo di accedere al suo universo, di approfondire la musica contemporanea. Gli devo molto. Ho dedicato i miei primi due dischi al maestro: ho cercato di diffondere il suo verbo, di esplorare. Trovo giusto non soffermarsi solo sul passato, ma conoscere e dialogare con le opere dei compositori di oggi”.

Che peso ha l’immagine nella sua vita?

Accettarsi è la prima cosa. Prendersi cura del proprio corpo è una forma di rispetto di sé. Credo che lo sia anche sul palco, di fronte al pubblico, mostrarsi al meglio che si può. Curare la propria immagine è parte dell’essere una donna nel 2020, non voglio travestirmi da uomo per essere rispettata”.

Come va con i social?

Per la mia generazione l’uso dei social è naturale, fa parte della nostra vita. Non usarli sarebbe snob. Per un artista diventa un modo di comunicare con il pubblico, crea un link con chi ti segue e viene a vederti, non sempre è facile incontrarli dopo i concerti. In questo modo gli artisti condividono molto di più rispetto al passato, sono più trasparenti”.


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