«L’emancipazione passa anche dal linguaggio. Cominciamo a dire Maestra». Covid, prospettive e quote rosa: intervista a Gianna Fratta

by Michela Conoscitore

È una delle poche direttrici d’orchestra al mondo, pianista e docente del Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia: bonculture l’ha raggiunta telefonicamente a poche ore da un volo per Teheran, dove la vulcanica Gianna Fratta si stava recando per lavoro. Orgoglio foggiano e pugliese, prima che italiano, l’instancabile direttrice d’orchestra ci ha concesso un’intervista in cui abbiamo dialogato del suo percorso, della propria unicità nell’ambito lavorativo in cui da anni riversa passione ed energia, e sulle problematiche di genere che, nonostante tutto, sono presenti anche nel mondo della musica:

Quale titolo devo usare, Maestro o Maestra?

Questa è una bella domanda. Io direi che dovremmo cominciare a dire ‘maestra’, perché il linguaggio modifica la realtà, e la realtà modifica il linguaggio. Se iniziassimo ad utilizzare per le professioni, soprattutto quelle apicali, la versione femminile sarebbe un bel contributo all’emancipazione anche linguistica.

Il mondo della musica e le donne: quali sono le dinamiche che governano questo rapporto?

La musica, come attività, non è assolutamente legata al genere essendo intellettuale. A mio avviso, dovrebbe essere una domanda da non farsi, se non fosse che c’è bisogno di farla (afferma ridendo)! Se in alcuni settori c’è una completa uguaglianza di genere, in cui le donne hanno le stesse opportunità degli uomini, nel mio settore che conosco benissimo, anche numericamente e non penso soltanto alla direzione d’orchestra, ma anche per la composizione, ciò non si verifica. Al 98%, forse anche di più, tutti i compositori che si ascoltano sono uomini. Nelle istituzioni musicali italiane, ai ruoli direttivi, le donne sono praticamente assenti, sono poche le direttrici stabili o artistiche, o sovrintendenti nei teatri ed enti lirici. Quindi il problema di genere c’è, e sarebbe da affrontare. Per quanto siano processi molto lenti.

A questo punto è necessario parlare di quote rosa anche per la musica?

Io sono contro le quote rosa, anche negli altri settori, perché impongono un dato numerico che prescinde dalle competenze. Si inizia a parlare di liste di donne, io stessa ho ricevuto telefonate in cui mi hanno chiesto di candidarmi in politica e nonostante il mio dichiarato disinteresse per l’ambito mi sono sentita rispondere che non era importante, perché avevano soltanto bisogno di nomi femminili. A conti fatti, le quote rosa non sarebbero poi così importanti per la musica, effettivamente sono poche le donne che si interessano alla direzione d’orchestra, per esempio, sarebbe quindi inutile pretendere una loro maggiore presenza. Dico che le donne, semplicemente, debbano avere le stesse opportunità degli uomini. Se in futuro la presenza femminile nella musica aumenterà, ben venga. Io sono per la quota grigia, quella che abbiamo in testa. Per le quote rosa un po’ meno, le trovo impositive soprattutto dal punto di vista numerico, non contemplano la qualità.

Quando ha deciso di intraprendere il percorso che poi l’avrebbe portata a diventare direttrice d’orchestra?

Da piccolissima, quando ancora vivevo al nord con i miei genitori. Studiavo pianoforte al conservatorio di Milano, e loro mi hanno raccontato che la prima volta che sentì un’orchestra suonare dal vivo, invitata proprio dal mio maestro di pianoforte, dissi loro che non sarei voluta stare al posto del maestro ma al centro, dove c’era quel signore con la bacchetta. A otto anni, non sapevo ancora che quello era un mestiere sentitamente maschile, come ben sappiamo da bambini tutti i sogni sembrano possibili.

Quali sono i primi aggettivi che le vengono in mente per descrivere il suo lavoro di direttrice d’orchestra?

Innanzitutto è un lavoro responsabilizzante, poi emozionante sicuramente. Competitivo, è un ruolo importante da ricoprire, numericamente siamo pochi e i direttori d’orchestra non possono, come i professori d’orchestra, chiedere un’audizione per essere testati, perché senza orchestra non puoi dimostrare nulla. Un po’ magico, nonostante sia un lavoro estremamente tecnico, possiede una componente totalmente imponderabile legata al carattere, aspetto molto strano per un lavoro tecnico. Sempre riferendomi ai professori d’orchestra, possono avere anche un carattere non facile e diventare, comunque, dei grandi perché non devono relazionarsi ad altri. Le competenze umane ed organizzative per il direttore d’orchestra, invece, sono essenziali. Senza, non otterrebbe risultati. In questo penso che ci sia un po’ di magia. Il mio lavoro, dal punto di vista musicale, non è solo conseguente a quel che so fare.

Direttrice, associa la carriera concertistica a quella di docente presso il Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia. Cosa significa per lei insegnare e cosa cerca di trasmettere ai suoi allievi?

Insegno da molto tempo, e amo moltissimo farlo. Lo faccio con grande impegno, e lo considero un atto di generosità perché io devo tutto ai miei maestri. Sono quello che sono grazie ai maestri con cui ho studiato. Alcuni di loro mi hanno cambiato la vita, quindi so quanto è influente la figura del maestro nella musica. Si trascorrono moltissime ore a studiare insieme. Una grande responsabilità la loro, perché sono in grado di determinare il futuro di un giovane, è un bel peso da portare sulle spalle. Ma sono molto soddisfatta perché tanti di quei alunni che si sono diplomati con me, adesso vivono di musica e di questo sono contenta. In qualche modo ciò mi fa comprendere che ho trasmesso loro la disciplina che gli sta permettendo di vivere felicemente di musica.

Lei possiede una conoscenza ovviamente vastissima della musica classica, ma qual è la sua opera preferita, anche da dirigere?

Una domanda un po’ difficile: come opera lirica la Tosca di Giacomo Puccini, per le composizioni sinfoniche penso tutte le sinfonie di Beethoven. Dei capolavori.

Quanto ha tolto questa pandemia, nel corso di quest’anno, agli artisti?

Tantissimo, ha tolto la possibilità di confrontarsi con il pubblico. Ma, soprattutto, ha tolto la possibilità di avere una meta. Noi musicisti dobbiamo studiare tutti i giorni, perché altrimenti le mani non ‘funzionano’ più, ma quando non hai un obiettivo all’orizzonte, un’alzata di sipario che ti aspetta diventa complesso. Non è una necessità fanciullesca, tutti abbiamo bisogno di avere una meta, e quando non la vedi per un anno, e assisti alla totale cancellazione dei concerti diventa difficile continuare ad esercitarsi per ore, ogni giorno, allo strumento. Subentra una sorta di frustrazione, ti inizi a chiedere perché lo stai facendo e quando tornerai a farlo davanti ad un pubblico. I giovani artisti ne stanno facendo maggiormente le spese, per chi ha carriere più strutturate è diverso. Parlo di chi era agli inizi, che aveva debuttato, quindi una prospettiva di cammino che gli è stata completamente cancellata. Questo lo trovo molto grave.

Direttrice cosa si può ancora fare a Foggia per la musica e per valorizzare il teatro Umberto Giordano?

Nonostante sia una città di provincia, del sud, ritengo Foggia molto attiva dal punto di vista musicale, soprattutto negli ultimi anni. Da quel che ho potuto constatare personalmente, ho notato un grande fermento: tante associazioni, si è ripresa la lirica che mancava da tanto, io stessa ho contribuito col mio apporto alle ultime stagioni. Tante realtà che rendono Foggia una città musicalmente attiva, come lo è l’assessorato alla Cultura della città. Al di là delle idee politiche, è stato fatto tantissimo per la musica e per il teatro Giordano. Purtroppo, il teatro è chiuso da un anno ma prima della pandemia aveva un numero di giornate di apertura impressionante, animate da jazz, lirica e sinfonica. Si stava completando un bel percorso di crescita, iniziato circa sei anni fa. Sento di lavorare in una città molto dinamica dal punto di vista musicale, e penso ad altre città del nord molto più passive da questo punto di vista. La qualità delle ultime stagioni liriche foggiane, e di musica civica presenti solo a Foggia e poche altre città come Milano, mettono in evidenza un bel contesto.

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