Lucio Dalla, l’80esimo compleanno di un mito che ha tanti discepoli ma nessun erede

by Claudio Botta

E’ morto improvvisamente, la mattina del 1 marzo di undici anni fa a Montreaux, dove la sera prima aveva tenuto un concerto. Ma il cuore di Lucio Dalla non ha mai smesso di battere, nei ricordi, nelle commemorazioni, nei tributi in musica e non dei tanti talenti che ha scoperto, lanciato e rilanciato. Da Ron (Rosalino Cellamare), che 17enne ha avuto in regalo dal suo mentore – e dall’autrice del testo Paolo Pallottino – un brano come ‘Il gigante e la bambina’, l’inizio di un sodalizio artistico e affettivo che ha attraversato una lunghissima parte delle loro vite, e ha ispirato e prodotto capolavori come ‘Piazza grande’, ‘Cosa sarà’, ‘Attenti al lupo’ (un milione e mezzo di copie vendute); a Luca Carboni, che ventenne lasciò una sera nell’osteria Da Vito a Bologna una cartellina contenente dei testi, e venne immediatamente richiamato per iniziare una collaborazione con gli Stadio prima e per avviare uno splendido percorso solista poi.

Da Gaetano Curreri, che con la band ha accompagnato Dalla in tanti concerti, tour e dischi (compresi gli epocali Banana Republic con Francesco De Gregori, e Dalla/Morandi) dalla seconda metà degli anni Settanta, e lo ha avuto come produttore, autore, corista in tanti brani e album; a Samuele Bersani, che 21enne raggiunse Dalla in un camerino per fargli ascoltare un provino, e si ritrovò ad aprire ogni sera i suoi concerti (era il tour che accompagnava ‘Cambio’, 1991) con quello che sarebbe diventato il primo successo, ‘Il mostro’, la porta spalancata verso una carriera costellata da hit memorabili e premi Tenco.  Dall’amico di sempre Gianni Morandi, finito in un cono d’ambra negli anni Settanta e a cui Dalla ha regalato una seconda vita artistica, trascinandolo letteralmente su un palco insieme e riaccendendo riflettori che non si sarebbero più spenti; e Francesco De Gregori, che dopo la durissima contestazione e il processo vero e proprio subìto durante il concerto al Palalido di Milano nel 1976 aveva annunciato di non cantare mai più in pubblico, ma ritrovò fiducia grande popolarità grazie al tour di Banana Republic; e Antonello Venditti, che incontrò Dalla in un periodo buio della sua vita, al punto da pensare al suicidio e venne concretamente aiutato e risollevato (‘Ci vorrebbe un amico’ è ispirata e dedicata a lui).

Manca fisicamente, ma continua ad essere presente. Nei luoghi dove ha vissuto. Bologna, dove la palazzina in via D’Azeglio crocevia di incontri ed esperienze all’insegna dell’arte e del divertimento, a pochi passi da quella ‘Piazza grande’ che ha reso universale, è diventata un museo gestito dalla Fondazione curata dagli eredi (al citofono la precedente targhetta era ‘Comm. Domenico Sputo’, lo pseudonimo che usava anche nelle collaborazioni non accreditate), sulla facciata il murales realizzato con una rete metallica, la sua immagine mentre suona il sax circondato dalle amatissime rondini. Alle isole Tremiti, dove la sua villa a San Domino è oggi gestita da una società immobiliare di Campobasso e può essere fittata da giugno a ottobre, con gli arredi originari, il pianoforte e la sala d’incisione che hanno visto nascere un intero album, ‘Luna matana’, e tanti precedenti gioielli che sono entrati nella storia della canzone italiana: ‘4 marzo 1943’, la sua data di nascita usata come titolo dopo la censura dell’originario ‘Gesù Bambino’, testo di Paola Pallottino, presentata al festival di Sanremo nel 1971; ‘Piazza Grande’ (1972, testo di Gianfranco Baldazzi e Sergio Bardotti, ispirato a un senzatetto realmente conosciuto, così come i tanti che Dalla ha aiutato nella sua vita, anche organizzando per loro cene e pranzi in occasione delle festività) e ‘Com’è profondo il mare’ (1977, la sua svolta autorale, già a livelli stratosferici fin dall’esordio). A Milo, in Sicilia, dove Franco Battiato lo convinse negli anni Novanta a comprare una casa a poche decine di metri dal suo buen retiro. A Manfredonia, l’amatissima città della sua infanzia e adolescenza, frequentata con la mamma sarta e modista di cui era cliente – tra le tante – anche la madre di Renzo Arbore, e dove gli è stato dedicato il teatro comunale. A Napoli, città cui era legatissimo, e che ha reso ancora più conosciuta nel mondo con il ritornello “te voglio bene assaje” di ‘Caruso’, la canzone scritta in 72 ore dopo un’avaria alla sua barca che lo costrinse a un soggiorno non programmato a Sorrento, nella stessa suite dell’hotel dove il celebre tenore aveva trascorso gli ultimi mesi della sua vita.

Mancano nuove sue canzoni, ma quelle che ha lasciato sono un patrimonio collettivo destinato ad attraversare epoche, mode, generazioni, stili, mantenendo intatti l’impatto emotivo e la freschezza, la capacità di essere apprezzate da chiunque, classiche e modernissime insieme, alto e basso coniugato in maniera variegata e perfetta. Quelle realizzate e incise nei tre coraggiosi album segnati dalla collaborazione con il poeta bolognese Roberto Roversi. Quelle della straordinaria trilogia aperta da ‘Com’è profondo il mare’ (oltre al brano omonimo, la malinconica ‘Quale allegria’ e l’irriverente ‘Disperato erotico  stomp’), proseguita dall’omonimo ‘Lucio Dalla’ (un greatest hits in pratica, aperto da ‘Cosa sarà’ e contenente gemme come ‘Stella di mare’, la struggente ‘Anna & Marco’, ‘L’ultima luna’, e in chiusura ‘L’anno che verrà’, l’incipit “caro amico ti scrivo…” replicato milioni di volte) e chiusa da ‘Dalla’, ideale passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta, 600mila copie vendute, e altra raccolta di canzoni incredibili come ‘Balla balla ballerino’, ‘Il parco della luna’, ‘La sera dei miracoli’, ‘Meri Luis’, ‘Cara’ (testo scritto dall’amico filosofo Stefano Bonaga, anche se non accreditato) e la toccante ‘Futura’, scritta in una notte del 1979 a Berlino, nella piazza di fronte il Checkpoint Charlie, il posto di blocco che divideva le truppe americane da quelle sovietiche negli anni della Guerra Fredda. Quelle dedicate alle leggende dello sport (da Tazio Nuvolari ad Ayrton Senna, passando per Roberto Baggio, che ha indossato anche la maglia del suo Bologna). Quelle dedicate ai suoi ricorrenti angeli, e alle amatissime rondini (il suo ultimo compagno di vita, Marco Alemanno, ha letto il testo della canzone in chiusura del funerale celebrato in una basilica di San Petronio gremita in ogni ordine di posto).

Mancano e continueranno a mancare la sua curiosità, il suo poliedrico talento così bonariamente invidiato dal compagno giovanile di jam session Pupi Avati, il suo cambiare continuamente pelle (tra le sue incursioni non è mancata la lirica), le sue battaglie contro la guerra e in difesa dell’ambiente (in tanti ricordano la sua partecipazione alla grande manifestazione a Termoli, il 7 maggio 2011, contro l’autorizzazione concessa dal ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo per effettuare trivellazioni nell’Adriatico). E mancheranno la sua semplicità, la sua ironia, il suo non far pesare la propria grandezza, la sua disponibilità, il suo generoso non risparmiarsi mai e spendersi totalmente per sostenere talenti meritevoli (la sua ultima partecipazione al festival di Sanremo è stata un mese prima della morte, per accompagnare il giovane Pierdavide Carone, in gara con il brano ‘Nani’ da lui prodotto).

Ma se “aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce./ Aspettiamo senza avere paura, domani”, è anche grazie a lui.  Buon compleanno, Lucio.

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