Morgan, l’insofferenza e l’SOS per lo stato comatoso della musica oltre lo sbrocco e gli insulti

by Claudio Botta

Lo scontro acceso tra Morgan e qualche spettatore, accorso a Selinunte (provincia di Trapani) lo scorso 26 agosto per assistere allo spettacolo ‘Battiato. Segnali di vita e di arte,’ ha catalizzato l’attenzione dei media per la deriva di insulti (da stigmatizzare e condannare) che ha scatenato l’ennesima bufera sull’artista brianzolo. In pochissimi, e tra loro va citato Enrico Silvestrin, ex vj di Mtv e grande esperto in materia, si sono soffermati sulle cause che hanno scatenato quella reazione spropositata, e sullo stato (comatoso) della musica italiana attuale, tale da alimentare una crescente tensione tra gli addetti ai lavori e continui scazzi (dissing) con protagonisti insoliti per quel tipo di ribalta.

Morgan si stava producendo in una performance, per un pubblico pagante. E’ stato interrotto più volte perché non era in linea con le aspettative di qualcuno, qualcuno che si è sentito autorizzato a sfondare la ‘quarta parete’ che divide artista e pubblico: una dinamica parente stretta da quella che si sviluppa sui social, quando la possibilità di seguire un personaggio pubblico viene (troppo) spesso fraintesa con un azzeramento di qualsiasi distanza, e soprattutto per il via libera a un confronto/dibattito forzato e non richiesto senza considerare piani di partenza diversi, se non addirittura opposti: cultura, professionalità, esperienza, talento, sensibilità. Il quarto d’ora di celebrità per chiunque profetizzato da Andy Wahrol non lo si deve più conquistare, lo si prende direttamente, ed è più facile attraverso insulti e/o contestazioni. Magari protetti dall’ anonimato sui social, dal buio e da quelli seduti accanto, dietro e davanti a te in una platea. Accade perché la soglia del rispetto e del pudore si è abbassata sempre più, così come il livello della cultura e della musica in Italia, sempre e solo, ormai, modellato sui social. Con l’avvento dello streaming, l’industria discografica è infatti in via d’estinzione: cd e vinili sono diventati oggetti per collezionisti, contano le visualizzazioni, e le maggiori visualizzazioni si hanno nelle stories di Instagram e nei reels di Tik Tok, una manciata di secondi appena. Ecco quindi che lo sforzo non viene concentrato nemmeno più sul testo e sulle melodie dell’intera canzone, ma sul ritornello o l’inciso ad effetto a cui lavorano in tanti: così nascono ‘ho visto lei che bacia lui che bacia lei che bacia me’ di Annalisa (Mon amour), ‘questa non è Ibiza, Festivalbar con la cassa dritta, ti sto cercando ma è nebbia fitta’ dei Kolors (Italodisco), ‘le telefonate, ore ad aspettare poi mi da occupato perché chiami anche tu, bolle di sapone sotto il tuo balcone’ di Fedez, Articolo 31 e ancora Annalisa (Disco Paradise).

E la qualità che fine ha fatto, in queste dinamiche? Il sasso nello stagno, con anni di colpevole ritardo, ha provato a lanciarlo il giornalista Gino Castaldo su l’Espresso, ma avendo citato soltanto Annalisa, la popstar italiana del momento, è stato bollato come un bollito nostalgico del bel tempo che fu. Così come accaduto a Samuele Bersani, oggi 52enne, 4 Targhe Tenco e 2 Premi della Critica al Festival di Sanremo in carriera, cantautore scoperto da Lucio Dalla e che pubblica album – e non singoli – a distanza di anni l’uno dall’altro: un suo post di commento ironico e impietoso su una esibizione penosa in concerto di un noto trapper per l’autotune staccato ha scatenato la reazione immediata e scomposta del (probabile) diretto interessato, Sfera Ebbasta, e difese d’ufficio imbarazzanti: essere intonati e sapere (almeno) cantare non è più necessario e forse richiesto. Così come è stata archiviata come patetica la riflessione di Paolo Meneguzzi (cantante di un certo successo nei primi anni 90) sul presente. Occorrerebbe farla una profonda riflessione, invece, perché dopo decenni di cantautori di altissimo livello, di più città (Genova, Roma, Bologna, Milano, Napoli) e generazioni, e artisti pop comunque meritevoli di considerazione, di autori e interpreti brillanti, siamo entrati in un vicolo cieco. I big richiamano ancora pubblico in concerto ma vendono pochissimo, al punto che le nuove uscite sono ormai centellinate. La musica in tv è legata esclusivamente ai talent, X Factor e Amici, e al Festival di Sanremo. Le proposte delle radio sono omologate e legate a personaggi e pezzi imposti da lanciare. Nel mare magnum di internet, di Spotify e delle altre grandi piattaforme, si ha accesso a qualunque musica in ogni angolo di mondo, ma mancano delle guide autorevoli in particolare per i giovani, dei filtri in grado di indirizzare gusti e stimolare curiosità e interessi, accendere passioni.

Per questo, va almeno riconosciuta ai Manuel Agnelli e ai Morgan la passione con cui hanno interpretato il ruolo di giudice e talent scout a X Factor, lo straordinario lavoro di divulgazione musicale, la loro cultura trasmessa anche in altre (rarissime e preziose) produzioni televisive, oltre che con la loro musica. Il loro ribellarsi alla mediocrità. Il loro porsi volutamente fuori dalle mode imperanti, in direzione ostinata e contraria per citare Fabrizio De André. Bisognerebbe andare oltre lo “sbrocco”, la superficie, e scendere in profondità, e qui una responsabilità enorme la hanno pure i giornalisti e le testate a loro volta piegati alle logiche delle views e delle polemiche, condizionati dai rapporti con gli uffici stampa e le case discografiche ed emittenti radiofoniche (spesso un’unica proprietà), con i promoter dei concerti. Riesumare la qualità e il merito, “fare cultura” per far crescere ed educare la prima generazione per cui la musica non è elemento di formazione, identità, appartenenza, ma puro intrattenimento, da scoprire casualmente attraverso Tik Tok o qualche serie tv.

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