Musica tridimensionale e segreti riflessi col Kekko Fornarelli Trio al Teatro Forma

by Antonio Tuzza

Il 21 dicembre scorso si è conclusa al Teatro Forma di Bari, la tournée autunnale del pianista Kekko Fornarelli con il suo trio formato da Dario Congedo alla batteria e Federico Pecoraro al basso elettrico. Il concerto è incentrato sull’ultimo album “Abaton”, lavoro che ha ospitato l’orchestra ARTE(MI)SIA, un ensemble d’archi di quindici musiciste, scritti e diretti dal violinista M° Leo Gadaleta.

Già nel foyer si percepisce che l’evento è piacevolmente mondano, frizzante, c’è aria d’attesa; in questa atmosfera da vigilia anticipata, si incontrano amici e conoscenti in altrettanta trepidazione. L’aspettativa è alta: Fornarelli è ottimo musicista e compositore, circondato da ottimi musicisti, e questa volta l’inclusione degli archi aprirà orizzonti timbrici nuovi ed entusiasmanti per il Kekko Fornarelli Trio. Il gruppo proviene da una impegnativa tournée di presentazione di “Abaton”, che li ha visti suonare in Spagna, Romania, Germania.

Sin dall’inizio le atmosfere del concerto sono suggestive, rendono la musica tridimensionale: suono, luce e movimento. Quelle atmosfere ti portano a ritornare bambino per scoprirti adulto, ti fanno tenere ben salda fra le dita la tua sfera di Escher e guardare il tuo segreto riflesso.

Così partono le dinamiche decise del brano Joys Shop, con un bel suono che tiene in pugno la sala grazie ad una esecuzione densa e ben rodata, tanto che sembra trasformare il trio in un sestetto. Il dialogo tra Fornarelli, Congedo e Pecoraro è sempre aperto, sempre ricco di spunti che ogni musicista restituisce all’altro per rendere ancor più viva l’esecuzione.

Dal secondo brano entra l’orchestra Arte(mi)sia. E qui il suono si espande magicamente. Se già i pezzi in trio erano una esplosione a stella di energia, le timbriche degli archi della irrefrenabile fantasia compositiva di Gadaleta hanno colorato la base ritmica con tonalità tenui e leggere, pennellate sonore rarefatte fino a passaggi più decisi e aggressivi. Gadaleta, violinista egli stesso, ha stile ricco che ha fatto sfilare in passerella le articolazioni meno consuete degli archi: glissandi, tremoli, pizzicati stesi su una partitura quasi senza spazi vuoti sul pentagramma, fino a spingerli a momenti decisamente più rock con gli archi suonati in sedicesimi come fossero distorte chitarre elettriche.

Apnea, è il cuore pulsante del concerto, il moto di ritorno dell’onda del piacere, il singhiozzo di luce e movimento. Gli accordi complici degli archi sono sensuali e leali, dànno spazio e profondità al mare.

Sul palco c’è anche un musicista invisibile, “occulto”: l’elettronica. Pad, loop, ed effettistica dal sapore ambient, a volte morbidi, a volte stridenti e dissonanti, fanno da collante a tutto l’arrangiamento senza mai invadere il prioritario spazio esecutivo dei musicisti. A tratti l’effetto è estraniante, in quanto a questi tappeti sonori è affidata una dimensione onirica, disturbante e discreta che richiama uno spazio ambiguo ed antitetico rispetto ai timbri e alla esecuzione strumentali; quasi uno spazio mentale sotteso nel quale si snoda la narrazione tematica e armonica degli strumenti musicali veri e propri, piano basso e batteria. Congedo e Pecoraro sono partner sensibili e decisivi per Fornarelli, insieme capaci di creare con scioltezza quasi un “genere” Fornarelli, ovvero un bilanciato cross over di jazz, rock, jungle, drum’n’bass e sperimentazione alternato ad atmosfere rarefatte e momenti delicatissimi. Nel suo momento, Pecoraro ci invita a varcare la porta verso il suo mondo bassistico, ispirato e visionario: l’ascoltatore è rapito e avvolto tra passaggi più lirici, più veloci, e più caratterizzati dalla effettistica lunare dei suoi pedali.

Quella del Kekko Fornarelli Trio + Orchestra Arte(mi)sia è musica che sembra andare ben oltre la semplice produzione di senso (già dote rara), anzi essa si ferma un passo prima di suggerire un significato; è musica che dice, che parla e racconta. La narrazione si sviluppa sempre da centri tematici fondamentalmente semplici, dai quali però il discorso musicale salpa coraggiosamente lasciandosi alle spalle le coste rassicuranti della consuetudine tonale e armonica, per mirare a  nuovi orizzonti, per nuotare in acque più“blue”, meno praticate e più profonde. È una scrittura meditativa, intima, una navigazione e una immersione alla ricerca di se stessi e oltre se stessi; il compositore nuota nella sua musica a volte a grandi bracciate nelle acque calme, a volte tenendosi a galla a fatica tra le onde della burrasca, sempre nella umana e spasmodica ricerca di un nuovo approdo, o di un odisseo ritorno in patria. E questa ricerca è possibile solo se si è disposti, ontologicamente, anche ad accettare di trovare qualcosa che non ci piace, che scuote dentro, che divora, ma che al tempo stesso fa crescere. Le alte onde si abbattono sulla platea, la allagano, e l’acqua sale lentamente fino ad esserne completamente sommersi, e fino a scoprire con grande stupore di riuscire a respirare in modo naturale anche sotto le calde acque di questi racconti brevi di Fornarelli. Fondamentalmente i brani sono questo: ispirati cortometraggi dove ogni ascoltatore “osserva” le sue immagini e la sua storia: dote da compositore di musica per film. Una musica che sembra non voler dare risposte, piuttosto porge questioni a chi la ascolta, soprattutto durante i passaggi personali di Fornarelli, un pianismo sempre essenziale e asciutto. Egli svela il raro dono delle “poche note”, della musica che non ha bisogno di dire troppo, le basta raccontare con poca voce – e poche note – la sua intimità e condividerla generosamente con chi ascolta.

In chiusura, sale sul palco il cantante Roberto Cherillo, partner di Fornarelli nel progetto musicale Shine. Qui, pur nello stesso stile, entriamo nel terreno della canzone, nel quale la scrittura di Fornarelli sembra essere tranquillamente a suo agio. La voce di Cherillo è strumento in mezzo agli altri, lontana dal lirismo del belcanto e perfettamente inserita nel equilibrio musicale di tutto il concerto.

Il Kekko Fornarelli Trio si è preso una meritata pausa. È stato un autunno impegnativo, come ha raccontato tra un brano e l’altro lo stesso pianista. Egli ha ricordato suo padre, venuto a mancare in maniera quasi fulminea, raccontando come l’elaborazione di quel lutto sia stata la scintilla della scrittura di uno dei suoi brani. Ha raccontato come sia amara l’esperienza del “nemo profeta in patria”, e di quanto il momento del riscatto sia possibile solo nel lavoro in team, il team della etichetta Eskape, motore editoriale di tutti i suoi ultimi lavori.

Insomma, pubblico entusiasta, e non solo per la musica. La riuscita di questo evento pensato in grande e atteso da tempo, è la dimostrazione di quanto la sincera e onesta fidelizzazione della propria audience sia parte decisiva e fondamentale del lavoro del musicista consapevole, maturo, lungimirante; questo può accadere solo se l’artista riesce a dare generosamente se stesso nelle forme della musica e nell’attenzione ad ogni singolo fan considerato non (solo) come possibile acquirente, ma soprattutto come persona: una forma di generosità tutt’altro che scontata, e raramente rintracciabile dalla maggioranza dei musicisti.

Violini I: Serena Soccoia, Eliana de Candia, Flavia Quaranta, Miriam Campobasso, Liliana Troia

Violini II: Arianna Di Savino, Annamaria D’Angelico, Gabriella Altomare, Simona Storelli

Viole: Ester Augelli, Luciana Palladino, Francesca Indellicato

Violoncelli: Anila Roshi, Anna Fasanella   Contrabbasso: WU Hsueh-Ju

Ha collaborato Agnese Lieggi

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