Nirvana, il diario di una fan a 35 anni dal primo album Bleach

by Marianna Dell'Aquila

Quando trentacinque anni fa, il 15 giugno del 1989 uscì Bleach, il primo album dei Nirvana registrato in studio, io ero alle soglie dell’adolescenza e, lo ammetto, la voce roca di Kurt Cobain, i suoi testi tormentati e quel mood un po’ cupo ancora non facevano molta presa su di me. In quel periodo il mio rapporto con la musica era profondamente legato alla Pop Music britannica e a quella americana. Amavo spassionatamente John Taylor dei Duran Duran, i passi di Micheal Jackson e i look di Madonna. Guardavo MTV a tutte le ore del giorno sperando che trasmettessero i miei video preferiti e compravo le prime riviste che parlavano delle mie pop star del cuore.

Ci sono voluti però appena due anni perché arrivasse il mio primo grande colpo di fulmine musicale. Si intitolava Nevermind ed era il secondo album dei Nirvana. Uscito nel 1991, fu per me la rivelazione di un altro mondo, una svolta senza ritorno: la scoperta del grunge. Incominciai ad ascoltare i Pearl Jam e i Soungarden, i Bush e gli Stone Temple Pilots. Mi muovevo in un universo che incominciai a scoprire come un’assetata nel deserto. L’incontro con quel nuovo tipo di musica fu anche il pretesto per allargare i miei orizzonti e per scoprire cosa ci fosse stato prima. Così incominciai a capire meglio anche David Bowie, i Genesis di Peter Gabriel e i Talking Heads. Fu proprio grazie a questa curiosità che mi riavvicinai con meno scetticismo al primo album dei Nirvana, Bleach. Nel tempo avevo sviluppato un’attitudine alla musica grunge ed ero sicura che l’avrei capito e apprezzato di più. Così fu.

Ancora oggi, forse a causa del successo mondiale di Nevermind e successivamente di In Utero, Bleach viene considerato un album minore dei Nirvana. Certamente quando uscì l’album non ottenne il successo sperato, ma già conteneva i tratti distintivi del grunge e soprattutto della band. La copertina era stata realizzata utilizzando un’immagine con effetto negativo scattata durante un concerto. La fotografia era stata fatta dall’ex fidanzata di Kurt Cobain, Tracy Marander, alla quale il cantante avrebbe dedicato una delle canzoni più conosciute dell’album, About a girl. Il titolo invece venne in mente a Kurt Cobain dopo aver visto a San Francisco un manifesto per la prevenzione contro l’AIDS. Lo slogan recitava “Bleach your works” e consigliava a chi faceva uso di eroina di passare della candeggina sulle siringhe prima di utilizzarle. Non tutti sanno, infine, che fu proprio quest’album a contribuire alla diffusione della “moda grunge”. Per promuovere i Nirvana e tutto il genere grunge, una catena di discount creò appositamente una linea di abbigliamento a basso costo caratterizzata da camicie da boscaiolo a quadroni e di jersey, proprio come quelle che Kurt Cobain indossava abitualmente.

L’album è composto da undici tracce che contengono gli elementi più distintivi dei Nirvana, dall’impronta musicale ai testi brevi e spesso di comprensione non immediata. Sono testi in cui Kurt Cobain incomincia a raccontare più apertamente la sua visione della vita e delle emozioni: parla di amore in About a girl e Swap Meet. In Blew (il primo brano dell’album), School e Paper Cuts parla del disagio claustrofobico provato durante gli anni vissuti ad Aberdeen, la cittadina dove era stato da ragazzo senza riuscire mai ad integrarsi. Affronta il tema del rapporto con i genitori nel testo di Scoff e di come sia difficile essere uomini nei tempi moderni in Mr. Moustache. L’ultimo brano di Bleach si intitola Sifting e di questo brano, chissà perché, Kurt Cobain non ne ha mai parlato. Il testo sembra un atto di ribellione contro una società in cui è difficile adeguarsi e seguirne le regole.

Della storia dei Nirvana si è detto e ridetto tutto e già sappiamo com’è andata a finire. E’ proprio alla luce del triste finale della vita di Kurt Cobain e della sua band, che la canzone più significativa di tutto Bleach sembra essere Floyd the barber. Il testo infatti racconta di come Kurt Cobain immaginasse di essere ucciso dal barbiere Floyd, uno dei protagonisti della sitcom americana degli anni ‘60 The Andy Griffith show (in cui aveva recitato un giovanissimo Ron Howard). La curiosità, non confermata, è che quando fu ritrovato il corpo di Kurt Cobain nella sua abitazione, la polizia raccontò di aver trovato la tv accesa e sintonizzata proprio su un canale che trasmetteva in loop le puntate di quella sitcom. Se fosse vero, sarebbe stata l’ultima immagine vista da Kurt Cobain prima del suicidio avvenuto a Seattle il 5 aprile del 1995.

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