Quando il giornalista Montale criticò la musica di Umberto Giordano

by Fabrizio Simone

Il ventottenne Eugenio Montale confida nel suo talento e nelle doti poetiche ma capisce che la poesia non può garantirgli un buon sostentamento – sempre attuale l’antico adagio carmina non dant panem – perciò inizia a scrivere recensioni e articoli per giornali e varie riviste letterarie (Omaggio a Italo Svevo risale al 1925).                        

Nel ’48 viene assunto come redattore del Corriere della Sera. Invia racconti, corrispondenze, reportage (segue papa Paolo VI in Terra Santa), recensioni e articoli sulla letteratura. Nel celebre palazzo di via Solferino divide la stanza e la scrivania con Indro Montanelli, il quale non riesce a nascondere l’antipatia verso il poeta che arriva sempre puntuale in redazione e che canticchia arie d’opera e fuma furiosamente mentre batte a macchina con un dito solo articoli di cui non è mai pienamente soddisfatto (a lui dedicherà uno degli epitaffi contenuti nel libro postumo Ritratti sott’odio).

Dal ’54 al ’67 Montale lavora come critico musicale del Corriere d’informazione, edizione pomeridiana del ben più prestigioso Corriere della Sera. Segue concerti e allestimenti operistici alla Scala, alla Piccola Scala e ai Festival di Spoleto e di Venezia. Finita l’esperienza al quotidiano milanese viene nominato senatore a vita dal presidente Saragat e trasferisce la rubrica di critico musicale sul Corriere della Sera. In campo operistico Montale ha gusti piuttosto semplici: predilige Verdi, Rossini, Puccini, l’opera francese (Gounod su tutti).

Nel corso degli anni Montale recensisce tre opere di Umberto Giordano: Fedora (1956), Andrea Chénier (1960) e Madame Sans-Gêne (1967).

Partiamo dall’ultima, la settecentesca Madame Sans-Gêne.

Il poeta ligure riconosce che Giordano “non fu, come molti credono, un musicista dozzinale, capace soltanto di vellicare i bassi istinti delle platee con i ben noti effettacci della scuola verista alla quale egli appartenne” d’altronde “il primo atto di Fedora e il secondo atto di Andrea Chénier sono due tours de force che destano ancora ammirazione; e la figura di Maddalena di Coigny non ha proprio nulla da invidiare alle più fortunate consorelle pucciniane”. Il problema di quest’opera sta nei suoi personaggi privi di “connotati musicali interessanti” tant’è che anche Napoleone Bonaparte “ha poco da dire, sebbene proprio nella prima parte del terzo atto l’opera trovi i suoi accenti più vivi”. Inoltre “la colorita ambientazione, un tocco di settecentismo meno felice di quello dell’Adriana di Cilea, i petardi, le castagnette, le carmagnole rivoluzionarie non sono sufficienti a sollevare l’opera da un’intonazione generale di monotonia. E se lo scrupolo di concedere il meno possibile alle convenzioni operistiche non ha impedito a Giordano di darci almeno due romanze, nessuna delle due può dirsi che aggiunga molto al piccolo carnet delle sue melodie”.

“non fu, come molti credono, un musicista dozzinale, capace soltanto di vellicare i bassi istinti delle platee con i ben noti effettacci della scuola verista alla quale egli appartenne” d’altronde “il primo atto di Fedora e il secondo atto di Andrea Chénier sono due tours de force che destano ancora ammirazione; e la figura di Maddalena di Coigny non ha proprio nulla da invidiare alle più fortunate consorelle pucciniane”.

Il problema di quest’opera sta nei suoi personaggi privi di “connotati musicali interessanti” tant’è che anche Napoleone Bonaparte “ha poco da dire, sebbene proprio nella prima parte del terzo atto l’opera trovi i suoi accenti più vivi”. Inoltre “la colorita ambientazione, un tocco di settecentismo meno felice di quello dell’Adriana di Cilea, i petardi, le castagnette, le carmagnole rivoluzionarie non sono sufficienti a sollevare l’opera da un’intonazione generale di monotonia. E se lo scrupolo di concedere il meno possibile alle convenzioni operistiche non ha impedito a Giordano di darci almeno due romanze, nessuna delle due può dirsi che aggiunga molto al piccolo carnet delle sue melodie”.

Critica sincera e necessaria: Madame Sans-Gêne è un’opera fuori moda e destinata a rimanere a lungo nell’oblio (o, in caso di ulteriori riprese negli anni a venire, a non godere mai di fortuna – cosa ben peggiore dell’oblio).

Su Fedora Montale ha le idee chiare: è il capolavoro di Giordano, il quale “è stato straordinariamente russo ed ha anticipato alcune delle possibilità dell’attuale drammaturgia musicale”. In particolare Montale apprezza il primo atto, “che fa perfetto riscontro al bellissimo secondo atto dello Chénier”. Per quanto riguarda l’Andrea Chénier, “in essa le melodie del ventinovenne Giordano hanno un colore e un chiaroscuro che si distaccano notevolmente da quelle pucciniane: sono nettamente più romantiche, più vicine al gusto del tardo Ottocento. Se talvolta l’enfasi prende la mano al giovane compositore (più tardi miracolosamente affinato nel primo atto di Fedora) non si può disconoscere la vitalità teatrale dello spartito e la conclusa, modernissima efficacia di tutto il secondo atto, di poco inferiore al mirabile secondo atto di Bohème ma non si può dar torto al giudizio popolare che fa di Chénier l’opera più apprezzabile del maestro foggiano”.

Giudizi pienamente condivisibili: Chénier e Fedora sono le due uniche opere che hanno consentito a Giordano di far parte del gotha della lirica. Le opere successive non presenteranno più la stessa ispirazione sincera e l’ingegno non riuscirà a supplire all’assenza di una vena melodica fluida e convincente.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.