Quel piccolo diavolo di Ivan Bessonov

by Fabrizio Simone

A guardarlo in viso, il diciassettenne russo Ivan Bessonov pare un discendente di Chopin. Sotto la folta chioma biondastra, però, non si nasconde un angelo in carne e d’ossa scaturito dalla fervida immaginazione di Melozzo da Forlì o del Beato Angelico, ma un piccolo diavolo capace di assoggettare qualsiasi pianoforte e qualsiasi partitura (anche se la propensione per la musica nazionale è evidente) senza il minimo sforzo. Davanti a questo figlio spirituale dei grandi romantici (tardoromantici inclusi), il pianoforte smette d’avere segreti e si lascia dominare liberando note che attendevano soltanto una riscoperta, perché da tempo risiedevano nell’aria aspettando il giusto tocco e la mano che le avrebbe ridato un senso.

Il giovane Bessonov ha già vinto il primo premio all’Eurovision Young Musicians 2018 di Edimburgo e suona con mostri sacri come Valery Gergiev, Vladimir Spivakov e Vladimir Fedoseev. È anche compositore, ma noi foggiani non abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare dal vivo nessuna composizione scritta di suo pugno.

Il pubblico foggiano ha potuto gustare lo straordinario talento di Bessonov durante un concerto, organizzato dagli Amici della Musica di Foggia nell’ambito della sua cinquantesima stagione concertistica, andato in scena il 3 febbraio presso il Teatro Giordano del capoluogo dauno. Bessonov ha aperto la serata con un grande classico: le Kinderszenen di Schumann. Se il primo movimento della suite (Von fremden Ländern und Meuschen) appare interpretato molto à la manière de Chopin, con una delicatezza esasperata, il celebre ed incantevole Traumerei –  immancabile in ogni matrimonio che si rispetti – viene ricondotto ad una dimensione quasi ascetica, sfiorando intenti metafisici assenti nel disegno dell’autore, impregnato d’estetica romantica. Nei restanti movimenti, però, Bessonov ha tenuto fede al progetto schumanniano.

Dopo una breve parentesi incentrata su Debussy (Pour le piano), in cui alla tecnica bisogna abbinare un certo gusto per l’antico che torna di moda con molta fatica, Bessonov ha presentato due importanti opere della tradizione russa: la Suite da Lo schiaccianoci di Cajkovskij, arrangiata dal grande pianista e direttore d’orchestra  Michail  Pletnëv, e la Sonata n.7 di Prokofiev. Innanzitutto è bene specificare che la Suite nella versione di Pletnev non corrisponde alla tradizionale Suite orchestrale desunta dal balletto: Pletnev abolisce l’Ouverture miniature e il Valzer dei fiori (chi ha redatto il programma di sala, evidentemente, ignorava la cosa, presentando di fatto la Suite nella sua versione canonica) e rimpolpa il tutto inserendo la Tarantella del II° atto, un intermezzo e il Pas de deux del II° atto, la cui bellezza è stata esaltata da pellicole cinematografiche e cartoni animati (si veda il nono episodio della diciassettesima stagione dei Simpson). Bessonov, che di Cajkovskij è un già un ottimo intenditore (tra i suoi cavalli di battaglia c’è proprio il suo Primo concerto per pianoforte e orchestra), ha offerto un’esecuzione magnifica. Attento ad ogni sfumatura, ha preservato la magia che aleggia con grande intensità nella partitura del suo connazionale. Al termine de la Suite da Lo Schiaccianoci, il pubblico ha tributato al giovane artista un’ovazione lunga alcuni minuti. Meritatissima. Nessuno avrebbe potuto fare di meglio.

Per il finale, Bessonov si è affidato all’estenuante Sonata n.7 di Prokofiev, tecnicamente mostruosa ma priva di immagini di grande impatto, che il pubblico ha seguito con difficoltà per l’evidente dispersione del materiale sonoro messo insieme dall’autore di Romeo e Giulietta e di Pierino e il lupo, riconoscendo però il notevole sforzo compiuto dal pianista. La serata si è conclusa con due apprezzatissimi bis (gli energici applausi hanno richiamato sul palco diverse volte l’artista): il romantico Liebeslied di Fritz Kreisler e il Valzer op. 64 n.2 di Chopin. A passo di danza Bessonov è uscito di scena, consapevole d’essere annoverato già tra i migliori pianisti del futuro.

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