Ryuichi Sakamoto, addio a un talento che ha riempito il mondo di bellezza e coraggio

by Claudio Botta

E’ morto di cancro, come il suo amico e collega David Bowie, insieme a lui straordinario protagonista di Merry Christmas Mr. Lawrence (nell’edizione italiana Furyo, traducibile dal giapponese come ‘prigioniero di guerra’), cult movie uscito nelle sale di tutto il mondo quaranta anni fa diretto da Nagisa Oshima, liberamente tratto dal romanzo Il seme e il seminatore, il racconto dell’esperienza del suo autore, Laurence van der Post, in un campo di concentramento  giapponese durante la seconda guerra mondiale. Ma, a differenza della star inglese, che aveva informato della sua malattia pochissime persone, e la cui morte è stata uno choc per milioni di fans in tutto il mondo, Ryuichi Sakamoto aveva pubblicamente annunciato la prima diagnosi nel 2014 (alla faringe) e il ritorno alla normalità e alla musica dopo un anno di terapie; e la recidiva della malattia (stavolta estesa al retto) nel gennaio 2021, con una toccante lettera nella quale la tristezza e la paura lasciavano comunque un timido spiraglio alla speranza e all’ottimismo, alla luce del positivo precedente. Nel giugno dello scorso anno altri aggiornamenti drammatici, attraverso un articolo scritto per la rivista giapponese Shincho, dal titolo ‘Vivere con il cancro’: due interventi chirurgici ai polmoni, nell’ottobre e nel dicembre precedenti, e nonostante quelli la diffusione arrivata al quarto stadio, con metastasi diffuse e aspettativa di vita ridotta ai minimi termini. La consapevolezza di essere arrivato al termine del suo meraviglioso viaggio terreno, la sua arte come fedele compagna (altro parallelo con Bowie): «Dato che sono arrivato così lontano nella vita, spero di poter fare musica fino al mio ultimo momento, come Bach e Debussy che adoro».

La notizia non è stata quindi un fulmine a ciel sereno, ma ha avuto comunque un impatto enorme perché ci ha lasciato uno dei protagonisti della seconda metà del Novecento, sempre e solo proiettato verso il futuro, pioniere e anima dell’incontro tra la cultura orientale e quella occidentale, della fusione tra la musica etnica e quella elettronica, in grado di coniugare e superare generi lontani solo in apparenza come pop, ambient, bossa nova, word music, musica neoclassica per riplasmarli a sua immagine e somiglianza, ma sempre evitando di ripetersi e con standard qualitativi stratosferici, nonostante una produzione sterminata, che ha impreziosito ogni attimo dei suoi 71 anni.

L’album d’esordio solista (Thousand Knives) nel lontanissimo 1978, dopo gli studi al pianoforte e la laurea in composizione al Museo delle Arti di Tokyo. L’ingresso e il ruolo determinante nella Yellow Magic Orchestra, band di pop elettronico che ha ispirato la scena techno ed house dei decenni successivi, pionieri nell’uso e nell’ applicazione di sintetizzatori, campionatori, sequencer, drum machine computer e tecnologie digitali coniugate però alla musica popolare; e bandiere dell’J-Pop che ha affascinato e conquistato gli Stati Uniti e l’Inghilterra, raggiungendo un equilibrio impossibile soltanto da immaginare, Tokyo come riferimento della pura avanguardia e laboratorio di sperimentazioni intriganti, epicentro di una rivoluzione culturale epocale. Lui eclettico, versatile, pronto a contaminare il nuovo e l’antico, Bach e Kraftwerk, i Beatles e John Cage, le corde del pianoforte e lo spettro sonoro dei synth.

 L’esplosione nel già citato film di Oshima, alla sua prima prova attoriale e come autore della splendida colonna sonora (premiata ai Bafta, gli Oscar inglesi, l’anno successivo), la cui perla è costituita da Forbidden Colours cantata da David Sylvian (l’inizio di una lunga collaborazione e solida amicizia). Un doppio ruolo replicato in un altro successo internazionale, ne L’Ultimo Imperatore, capolavoro di Bernardo Bertolucci, premio Oscar per la colonna sonora composta con David Byrne e la cinese Cong Su. Per il regista italiano realizzò le musiche anche per i successivi Il tè nel deserto e Piccolo Buddha, ma la sua creatività ha impreziosito opere di registi del calibro di Pedro Almodovar (Tacchi a spillo), Brian De Palma (Omicidio in diretta e Femme fatal), Francois Girard (Seta, dal romanzo di Alessandro Baricco), Alejandro Gonzales Inarritu (Revenant), per citarne solo alcuni.

Per apprezzare e conoscere ancora di più l’artista e l’uomo, è vivamente consigliata la visione in streaming del film documentario Coda, presentato fuori concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2017 (su Raiplay è possibile rivedere anche la conferenza stampa): diretto da Stephen Nomura Schible,  è un ritratto sincero, intimo e collettivo al tempo stesso, di un attivista che ha visto gli incubi propri e della sua generazione avverarsi con il disastro nucleare di Fukushima, l’11 marzo del 2011 (e che l’anno successivo ha organizzato una nuova edizione di No Nukes, per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sui pericoli derivanti dall’energia atomica e dal nucleare), le cui immagini d’apertura presentano devastazioni e orrore ovunque, squarciati dalla speranza: un pianoforte a coda sommerso dallo tsunami e che miracolosamente riappare. E di un musicista che ha attraversato un devastante percorso terapeutico e psicologico aggrappandosi alla ricerca di nuovi suoni e note, e alla scrittura di un nuovo album, Async, una delle sue vette creative più alte. La musica come salvezza, come ricerca, come contatto con la natura, non come ossessione da classifica e da copertina (nonostante fama e celebrità planetarie già raggiunte e consolidate). Come armonia, equilibrio, pace con sé stessi. Un prodigio ma di un’umiltà e semplicità disarmanti, che ha cercato un confronto continuo con altri grandi artisti (le collaborazioni sono state un’altra cifra stilistica marcata della carriera di Sakamoto: quelle già ricordate e quelle con Iggy Pop, Caetano Veloso, Cesaria Evora, Yossou N’Dour, Alva Nova, Jacques Morelenbaum e sua moglie Paula, per citarne solo alcune: «Mi interessa conoscere persone con talenti, idee e visioni diversi dalle mie. Perché dovrei lavorare con qualcuno di troppo simile a me? Voglio creare un’opposizione. Voglio differenze»).

Mancherà tantissimo la sua creatività, la sua personalità così marcata e ricca di sfumature, il suo essere contemporaneo ma lontano dalla sovraesposizione e dall’ossessione da social, schivo, riservato e zen, ma pronto a esporsi per battaglie sentite come giuste, come sacre. L’artista che ha saputo celebrare, far conoscere e apprezzare il suo Giappone come nessun altro, ma rendendo quel suo universo di partenza universale, e di una commovente bellezza.

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