Sedotti e sconquassati dal Pandemonium di Vinicio Capossela

by Fabrizio Stagnani

Come dicono i minimalisti? Less is more! Abbandonati i fasti dei tour come il “Solo Show”, nonostante il titolo, o di “Marinai, profeti e balene”, durante i quali si faceva scortare da corazzate di musicisti, coristi e pirotecniche scenografie, il buon Vinicio per il “Pandemonium” s’è preso giusto sotto braccio Vincenzo Vasi, il suo uomo lupo preferito, e se n’è andato girando per l’Italia.

Nonostante questo, parola di fedele ma obbiettivo …per quanto si può… fanatico, nulla sembra mancare, anzi. Tolto l’affanno e la brama di uno spettacolo dedicato alla presentazione di un nuovo album, tolto, più o meno, un posto a sedere ogni due dalla platea viste le norme di contingentamento, tolta almeno la metà dei i suoi rituali ed affascinanti espedienti scenici, sottratti forse anche per bilanciare le spese di produzione, resta Lui, Capossela, e la traboccante collezione di brani maturati negli ultimi trent’anni. Di fatto, cosa c’è di meglio?     

D’altronde con quello che è stato il nostro quotidiano negli ultimi cinque mesi in relazione alla pandemia planetaria è come se ci fossimo abituati, ed istruiti, a pretendere meno. Ad accontentarci e a godere di esperienze più semplici. Lui, il Maestro, l’incantatore di note ed emozioni, non fa mai il nome scientifico della virulenta canaglia che ci ha sbattuti tutti ai domiciliari, pur se neanche passati dal giudizio, se non forse quello della Natura che probabilmente inizia ad essere stanca della nostra incoscienza, la chiama sempre e solo “esperienza”.

Nell’ora e mezza in compagnia dell’irpino nato ad Hannover, anche la durata del concerto ha subito restrizioni sociali rispetto alle consuete tre ore che si vedevano nei teatri o addirittura le maratoniche cinque e passa dell’ultimo Sponz Fest, è inevitabile farne riferimento, se ne vanno ad analizzare i postumi, ma sempre con velato snobismo, se non fosse altro per prenderne le distanze.  
Arrivati nell’olimpo non è che debbano dimostrare più niente a nessuno, ma Vinicio e Vincenzo, senza usare i cognomi come se si fosse compagni di desco, per lo meno musicale, da decadi, lì soli sul palco fanno totale sfoggio dell’essere dei fenomeni. “Per voi ci facciamo non in quattro, ma in otto. Il massimo sforzo per il massimo del risultato!” Di data in data, di sera in sera, di città in città, “… e porta l’orso!“, citando l’album “Ballate per uomini e bestie”, il duo riesce a cambiare scaletta.

Parola sempre dello stesso testimone fanatico di prima. Questo non vuole essere un’istigazione, se non un suggerimento, a seguirli su più tappe, ma un sottolineare la magistrale maestria padroneggiata. Come la coppia gol della Coppa Uefa ’89 e lo scudetto ’90, Maradona-Careca, sfoggiano simbiosi ad ogni passaggio, ad ogni improvvisata. Il bomber Capossela, passa dalle tastiere alle corde, il rumorista Vasi è marcato stretto a zona da una schiera di strumenti “pandemoniali”, dallo xilofono, allo spettrale theramin, rullanti, grancasse ed una miriade di macchine e macchinette a sintetizzare, in tutti i sensi, un’orchestra dei fantasmi. Si, lui stesso è l’orchestra che non c’è, “ …ma è lì per far sentire la mancanza dell’orchestra, non per colmarla“, spiega allegoricamente, come non ne riesce a farne a meno, il compagno di partita. Ad occhi chiusi pare di stare al cospetto di una filarmonica, o quanto meno innanzi alla buona e vecchia, non per età media, o forse si, Banda della Posta, formalmente ricostituita da Vinicio qualche tempo fa a Calitri.  

Solo i primi due brani e l’ultimo, che qui non riveleremo, risultano ripetersi da indagini condotte nella rete dei fanatici, il resto viene ispirato e fatto emergere dalle pareti naturali che vanno ad ospitare il Pandemonium. La locandina recita “Narrazioni, piano voce e strumenti pandemoniali”, promesse tutte mantenute fino ad ora, tocca parlare del parlato adesso. Il bello di questo spettacolo è che sembra di essere in amicizia con Lui a ripercorrere vicende che hanno coinvolto tutti. Come fatto nel corso della rubrica quarantennale, che Capossela pubblicava quotidianamente sui suoi canali, si lascia che notizie, più o meno euforiche, vadano a disegnare il filone narrativo del discorso. E poi i racconti sui retroscena di questo brano o quel concerto, che aiutano a comprenderlo sempre meglio. A tenere banco ovviamente è Lui, ma gli incisi fra una canzone e l’altra sono passati proprio come confidenze e riflessioni tra compagni di strada.  

Il pubblico è ancora intirizzito dal timore del contagio, è palesemente tangibile. E Vinicio detesta sentirsi solo sul palco come un pesce nella boccia. Rotto il vaso di Pandora per farne uscire tutti i demoni, presentato in note il dáimōn dei greci e “tutti i demoni che fanno la complessità della nostra natura, tutte le stanze di cui è composto il bordello del nostro cuore“, scesi a parole negli inferi, serve risorgere. Apposita omissione, c’è un altro brano che fa da fil rouge in questo tour, “L’uomo vivo”, l’inno alla gioia, deus ex machina dello spettacolo, cardine per esorcizzare il male che ci ha attanagliati, ora più che mai. Una sferzata di energia che non sempre ha dilagantemente attecchito fra la folla, è una magia che non sempre riesce, ma quando funzione… per qualche minuto d’incoscienza sociale si riesce a tornare a sentirsi vivi e sani. Una medicina, e tanto poi il balsamo sulle ferite lo mette “Ovunque proteggi” e se va bene anche il “Canto all’alba” dell’ultimo Bestiario d’Amore.

In Puglia, dal 7 al 9 agosto, il cantautore che suole coprire il suo capo coi cappelli più evocatici del panorama musicale conosciuto, ha baciato e sedotto tre festival, tre terre, tre incantevoli location en plein air, il Luce Music a Bitonto nella Lama Balice, il Locus a Fasano agli Scavi Archeologici di Egnazia ed il Sud Est Indipendent a Casto sul Molo della Marina. Ora è la rotta è quella per Diamante, Zaferana Etnea, Verona, Arco e Cividale del Fiuli.

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