Space Oddity, storia di un capolavoro in viaggio nello spazio e nel tempo. Per sempre

by Claudio Botta

Ground Control to Major Tom
Ground Control to Major Tom
Take your protein pills and put your helmet on…”

Ha compiuto 50 anni ‘Space Oddity’, il primo, iconico capolavoro di un David Bowie ancora alla ricerca di una sua identità, ma lanciato da quella canzone, per sempre, nello spazio infinito dell’arte, della musica, del costume, della cultura, della storia stessa di un pianeta osservato da lontano ma profondamente vissuto, cogliendone perfettamente i momenti, le contraddizioni, le lacerazioni, gli slanci, ma soprattutto anticipando e generando evoluzioni, correnti, mutamenti.

Impossibile quindi definirla una semplice canzone, perché ha segnato un ‘prima’ e un ’dopo’ non solo nella vita e nella carriera di David Robert Jones (Bowie venne scelto nel 1966 per evitare la confusione con David Jones dei Monkees), ma di milioni e milioni di persone. Il ‘prima’ era un adolescente nato a Brixton, alla periferia di Londra, che aveva esordito in alcuni gruppi beat, iniziato al teatro e al mimo nella compagnia di Lindsay Kemp, di cui faceva parte la danzatrice Hermione Farthingale, che divenne la sua compagna e componente, insieme al bassista John Hutchinson, di un trio folk-rock, i Feathers. Insieme girarono un corto promozionale di un ipotetico album, ‘Love You Till Tuesday’, di scarso successo. E il giorno precedente la prima registrazione del brano (che era stato costruito come un duetto), il 2 febbraio 1969, avvenne la rottura definitiva tra David ed Hermione. Il titolo (e l’ispirazione di partenza) deriva dal film cult ‘2001: Odissea nello Spazio’ di Stanley Kubrick, che alla sua uscita ebbe “un impatto sismico” su David, che lo vide più volte al cinema: “Per me è stata un’autentica rivelazione. E’ come se la canzone fosse sgorgata da lì”, spiegò poi.

Ma la ‘bizzarra canzoncina’ (‘odd ditty’) ambientata nello spazio risente anche della delusione sentimentale, il perdersi e lasciarsi andare personale prima che universale, lo sguardo triste, lontano e distaccato, l’accettazione passiva degli eventi e del destino. Così come l’ossessione per il ‘Control’ – parola ricorrente in altre celebri canzoni di Bowie, come ‘The Man Who Sold The World’ -, e la sua perdita, alimenta metafore sulle certezze che un giovane perde quando viene catapultato nella vita all’improvviso, sulle paure e sul senso di stordimento che prova, sulla mancanza di punti di riferimento, di ‘controllo’ appunto. E un’amara riflessione sulla celebrità, sul carattere transitorio e vano della fama (il passaggio nel testo in cui i giornalisti, del Major Tom, sono interessati unicamente al brand delle camicie indossate), anch’essa ricorrente in altri, celebri testi (su tutti ‘Fame’, cantata con John Lennon). Oppure, ulteriore sottotesto, il conto alla rovescia, il decollo e il fluttuare in una dimensione indefinita come metafora dell’effetto della droga.

Il demo acustico così registrato nei Morgan Studios di Willesden, con la prima versione completa di ‘Space Oddity’, ha un arrangiamento folk piuttosto acerbo – figlio anche dell’infatuazione di David per Bob Dylan -: permise però la firma di un contratto con la Mercury Records per un album, che sarebbe stato trainato dalla title track. Il produttore doveva essere Tony Visconti – poi storica spalla di Bowie per gran parte della sua produzione, fino alla fine, e uno dei suoi più cari amici – che però ritenne la canzone troppo commerciale e ne delegò la produzione al collega Gus Dudgeon, che invece ne rimase entusiasta. La nuova, celebre versione, venne incisa il 20 giugno 1969, e le modulazioni elettroniche introdotte derivano da un nuovo giocattolo musicale, lo stilofono, che David aveva conosciuto attraverso Marc Bolan, il precursore del glam-rock.

Il singolo, inciso in formato stereo – all’epoca un azzardo – per precisa volontà di David –  fu pubblicato dopo appena tre settimane, l’11 luglio, su entrambe le sponde dell’Atlantico, per anticipare lo sbarco sulla Luna e l’impresa di Neil Armstrong del 20 luglio. E fu scelto dalla BBC e da numerose altre emittenti come sottofondo e colonna sonora di numerosi servizi legati allo storico evento. Anche se “sono sicuro che non avevano ascoltato veramente bene il testo (con un astronauta che si perde nello spazio)” spiegò ironico Bowie in un’intervista del 2003. ‘Space Oddity’ ebbe così enorme popolarità, ma commercialmente arrivò al quinto posto della classifica inglese solo a novembre, mentre fu un flop negli Stati Uniti. Ne vennero poi registrate versioni alternative, quella italiana ‘Ragazzo solo, ragazza sola’ sempre ai Morgan Studios il 20 dicembre 1969, il testo tradotto da Mogol completamente slegato all’originale. Bernardo Bertolucci l’avrebbe poi utilizzata nella scena madre, struggente e dolcissima, e nei titoli di coda del suo ultimo film, Io e te, tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti. Ispirò anche altri capolavori, come ‘Rocket Man’ di Elton John (anch’essa prodotta da Gus Dudgeon).

Il ‘dopo’ è lo ‘Starman’ definitivamente esploso nel 1972 con il successo dell’album ‘The Rise and Fall of  Ziggy Stardust and the Spiders from Mars’, l’apparizione dell’alieno venuto dallo spazio, il primo personaggio che David avrebbe usato come alter ego, la prima maschera di una personalità troppo onnivora e straripante per essere ingabbiata in un’unica dimensione. E nel dicembre 1972, alla fine del tour americano e a poche ore dall’imbarco sulla Queen Elisabeth II per far rientro in Gran Bretagna, Mick Rock girò un nuovo videoclip di ‘Space Oddity’, con Bowie intento a suonare la chitarra in uno studio deserto della RCA di New York: di grande impatto visivo ed emotivo, divenne il traino della prima di tante riedizioni del disco, sia in America che nel resto del mondo.

Space Oddity’ è una canzone alla quale Bowie – sempre e solo proiettato e interessato al futuro, e mai legato al passato – è rimasto legato tutta la vita. Così come il suo protagonista, il Major Tom, che ricorre in altri brani e video celebri (come ‘Ashes to Ashes, e il suo testamento artistico, Blackstar’, pubblicato nel giorno del suo 69esimo e ultimo compleanno e due giorni prima della sua morte). E’ stata riprodotta in innumerevoli cover, e quella che l’autore ha apprezzato di più è stata filmata nel 2013 nello spazio, in assenza di gravità, dall’astronauta canadese Chris Hadfield durante il suo ultimo giorno di missione spaziale. E’ stata inserita nella track-list di gran parte dei suoi tour, e di tutti i suoi concerti più importanti. Tra le tante, meravigliose versioni dal vivo, imperdibili l’apertura del Sound + Vision Tour, del 1990, con David che arriva solitario sul palco accompagnato dalla sola chitarra acustica, e la chiusura del concerto per il suo 50esimo compleanno, nel 1997 al Madison Square Garden di New York.

La morte di Bowie il 10 gennaio del 2016, e il suo ingresso definitivo nella leggenda, hanno amplificato e non certo appannato il suo spessore. E quindi il 50esimo anniversario della missione dell’Apollo 11 e della canzone non potevano che essere celebrati dalla NASA al Kennedy Center di Washington, il 20 luglio, con la proiezione in anteprima di un nuovo video, e l’audio ricavato dal remix di ‘Space Oddity’ eseguito da Tony Visconti, che ha anche curato l’edizione del doppio vinile commemorativo distribuito dal 14 luglio in tutto il mondo. Un toccante omaggio all’amico scomparso, attraverso l’ammissione di un grande errore, l’unico di una carriera indimenticabile.

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