“The British Sound”: la Regina Elisabetta sarebbe orgogliosa dei “Suoni del Sud”

by Fabrizio Simone

Il pubblico foggiano non ha molta dimestichezza con la musica britannica (qualcuno ricorda almeno un’esecuzione delle Enigma Variations di Elgar o del suo magnifico concerto per violoncello e orchestra?), ma l’orchestra ICO (Istituzione Concertistica Orchestrale) “Suoni del Sud”, diretta dal M° Benedetto Montebello, è riuscita non solo a renderla familiare ma anche estremamente attraente, complice anche l’attenta scelta delle pagine proposte, nel concerto andato in scena il 6 ottobre al Teatro Giordano di Foggia. La serata, pensata come un omaggio alla defunta sovrana di casa Windsor, rientra nella prima stagione concertistica organizzata dalla neonata istituzione ed è destinata a restare nella memoria dei presenti (pochini, purtroppo) per la splendida resa di un mondo solo apparentemente lontano dal nostro, in cui il folklore ha il giusto peso e la tradizione non sembra rappresentare un ostacolo al progresso.

La scelta del programma non poteva che ricadere – com’è giusto che sia – su alcuni grandi nomi della tradizione britannica: Edward Elgar (1857-1934), Gustav Holst (1874-1934), Frederick Delius (1862-1934) e Benjamin Britten (1913-1974). Nomi che, purtroppo, dicono pochissimo anche agli habitué e ai fedelissimi che frequentano con dedizione e amore il teatro del capoluogo dauno, a cui bisogna continuare a proporre quantomeno le partiture migliori prodotte oltremanica (i tempi sono abbastanza maturi per il War Requiem di Britten o per la Sinfonia celtica di Bantock?). I compositori britannici hanno sempre mostrato una grande predilezione per l’orchestra d’archi perciò non è stato difficile pescare in quell’abbondante mare alcune tra le migliori perle disponibili: pensiamo soltanto al cattolico Elgar, che per questo organico ha composto la sempreverde Serenata op.20, dal lirismo raffinato, e la malinconica Elegia op.58, un classico della musica meditativa, in cui l’autore s’abbandona al dolore con grande garbo, evitando accenti estremamente dolenti (la supplica intima si nutre di schemi tardoromantici prediligendo una dimensione autonoma ed equilibrata).

Però è con la vivacissima St Paul’s Suite, che Holst scrisse per le sue allieve (dirigeva la St. Paul’s Girls’ School, tuttora attiva e non molto distante dal celebre Natural History Museum di Londra), che si è rivelata davvero l’anima di questo fantastico popolo: tra danze energiche e melodie popolari (nel finale Holst cita anche Greensleves), il pubblico non ha saputo resistere al fascino british, applaudendo fragorosamente l’intera composizione, che ha messo ancora una volta in risalto il talento di questa compagine orchestrale totalmente made in Foggia. Siamo sicuri che la compianta regina, dall’alto cieli, abbia apprezzato il graditissimo omaggio (del resto amava moltissimo la musica) e si sia unita al clamore generale col solito garbo con cui ci ha abituato in 70 anni di regno. Un bis con God save the Queen (pardon,King) non sarebbe stato fuori luogo, ma si può perdonare tutto (o quasi).

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