Anatra all’arancia con contorno di cime di rape e carciofi alla Giuda. Lo scintillante debutto della stagione di prosa al «Giordano»

by Enrico Ciccarelli

Scintillante. Non sapremmo trovare un altro termine per definire «L’anatra all’arancia», la produzione della Compagnia Molère in collaborazione con il Teatro Stabile di Verona che ha aperto la stagione di prosa 2024 del Teatro Comunale «Giordano» a Foggia. Scinrillante a partire dalle lussuose scene di Fabiana Di Marco, gli eleganti costumi di Alessandra Beneduce le raffinate tessiture di luce di Massimo Gresia.  

Scintillante nel testo. un esemplare impasto di britannici meccanismi ad orologeria e brio francese da vaudeville (la commedia è stata scritta dallo scozzese William Douglas Home e rivista e riproposta con l’attuale titolo dal francese Marc-Gilbert Sauvajon). Ma scintillante soprattutto nella straripante bravura e simpatia dei due attori protagonisti: la superlativa Carlotta Natoli, che il grande pubblico conosce soprattutto come interprete ironica e intelligente di diverse fiction televisive (fra le quali chi scrive preferisce «Tutti pazzi per amore») e il portentoso Emilio Solfrizzi, gran mattatore del palcoscenico, delle pellicole e dell’etere, che ha come il Bartali di Paolo Conte, «quel naso triste come una salita e l’occhio allegro da italiano in gita».

Corifei di prim’ordine, quelli al fianco dei protagonisti, coppia sposata in via di separazione per repentino innamoramento di lei: un ottimo Ruben Rigillo nel ruolo del riccone aristocratico Serravalle Scrivia (ma anche «coniglio con le bretelle») di cui Natoli si è innamorata; la fresca e brillante Beatrice Schiaffino, giovane attrice ligure di sicuro avvenire, nel ruolo di Patrizia, segretaria di piccola virtù grazie alla quale Solfrizzi ridesterà la gelosia e il desiderio della moglie. Il cast è completato dalla brava caratterista napoletana Antonella Piccolo, che presta al personaggio della cameriera Teresa qualche reminiscenza di Tina Pica.

Cinque attori perfettamente organizzati nei movimenti dalla regia, inapparente ma sostanziale di Claudio Greg Gregori. In particolare i movimenti di Natoli e Solfrizzi sono a volte simili a passi di danza. Lei è perfetta nel ruolo di donna sull’orlo di una crisi di nervi, alla ricerca di un dorato sogno d’amore come fuga da un mènage caduto nella ritualità e nell’abitudine. Lui, che interpreta un autore televisivo di successo, esprime sagacia ed ironia mentre tende al malcapitato rivale la trappola di un’accoglienza ospitale ed amichevole. Sapientemente il testo non è stato attualizzato: gli anni Sessanta del secolo scorso erano obiettivamente più eleganti, anche se probabilmente saranno in pochi a ricordarsi chi diavolo fosse Scaramacai.

Il raffronto, improponibile per ragioni di medium, è con il film diretto da Luciano Salce nel 1975, protagonisti –scusate se è poco- Ugo Tognazzi e Monica Vitti, tuttavia, benchè si stia parlando di Dei dell’Olimpo, il confronto non è impietoso per Solfrizzi e Natoli. Lui, benché dalle parti di casa, concede non più di qualche inflessione saporita al dialetto barese. Ma la risata chioccia che punteggia il secondo atto ci sembra presa pari pari dal monumentale Carmelo Meglio di Tele Durazzo International.

Spettacolo divertentissimo e leggero, memoriale di un’epoca in cui òa rappresentazione di persone agiate non scatenava il rancore degli haters e il sobbollire dell’invidia sociale e social. Un tempo nel quale saper cucinare l’anatra all’arancia serviva a preparare una bella cena, non come biglietto d’ingresso a Masterchef.

Certo, considerato il cast, più che l’anatra all’arancia il menù avrebbe dovuto  prevedere casatiello, trenette al pesto, carciofi alla giudìa e soprattutto orecchiette alle cime di rapa. Ma cosa volete che ne sappiano i franco-britannici?

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