«Con gli adolescenti si costruisce un coro multiforme, multicolore e imperfetto che muove le montagne e allevia le ferite». Pace, il teatro diffuso de La Bottega degli Apocrifi

by Antonella Soccio

Si chiama “Pace”, la nuova produzione di comunità della Bottega degli Apocrifi – una riscrittura da Aristofane di Stefania Marrone e Cosimo Severo con le musiche originali dal vivo di Fabio Trimigno – in programma oggi venerdì 28 e sabato 29 luglio alle 21.00 nella Nuova piazza di Comunità (adiacente al Teatro Comunale Lucio Dalla) a Manfredonia.

Lo spettacolo – realizzato grazie alla collaborazione e al sostegno di Teatro Pubblico Pugliese, Ministero della Cultura e Regione Puglia – aprirà la rassegna “Mille di queste notti” organizzata con il Teatro Pubblico Pugliese in sinergia col Comune di Manfredonia e inserita all’interno del cartellone estivo Manfredonia Festival.

In scena con gli attori Salvatore Marci, Rosalba Mondelli e Giovanni Antonio Salvemini ci saranno 90 adolescenti e bambini di Manfredonia. Come già con Uccelli, i ragazzi e le ragazze saranno al centro della scena.

Noi di Bonculture abbiamo intervistato il regista, Cosimo Severo.

Pace è una nuova esperienza di teatro diffuso. Quanta consapevolezza c’è da parte dei ragazzi del gesto teatrale? Qual è la difficoltà di portare tanti corpi in scena? Non si rischia di abdicare alla perfezione delle linee e della recitazione creando un eterno presente di improvvisazione?

Il teatro con gli adolescenti è prima di ogni cosa la costruzione di un coro. Un coro multiforme, multicolore e imperfetto. L’opera d’arte perfetta mi richiama quel desiderio un po’ infantile e consolatorio di coloro che faticano ad accettare la vita come un continuo inciampo. Quanto teatro perfetto è del tutto estraneo alla vita? Quanto lo è sia nelle parole, che in quelle stesse linee così ricercate e magari del tutto lontane dal vitale? Non saprei se io abbia mai volontariamente deciso di abdicare alla perfezione, so che mi ritrovo uomo imperfetto in una vita imperfetta, in un teatro imperfetto fatto di donne e uomini talentosi, grandi artisti straordinariamente imperfetti. Improvvisazione, cos’è? Un esercizio di intelligenza, di sapienza scenica, l’arte antica che genera innovazione sia nell’arte stessa che nella capacità dell’umanità di sapersi reinventare. Potrei dire che l’improvvisazione richiede tanta precisione e conoscenza.

Questo lavoro è un ritorno ai ragazzi, è un mettersi in ascolto, lasciarsi travolgere senza abdicare alla mia età. Essere un adulto con finestre e porte spalancate, con muri pieni di squarci. Questo lavoro è un ritorno ad Aristofane, dopo Uccelli del 2019, perché potessimo in questo tempo distratto tornare a mettere in mezzo a noi la Pace. Volevamo farlo senza la retorica delle buone maniere. Abbandonando il desiderio delle belle immagini, delle rose nei cannoni confortanti ma poco pertinenti ai nostri istinti, ai nostri più profondi sentimenti. Aristofane muove da un desiderio viscerale di pace, la vorrebbe sbattere in prima pagina e renderla dominante. La desidera con tutto sé stesso quando scrive questa commedia, durante il lungo ventennio di guerra tra Sparta e Atene.

Gli dei di Aristofane si vergognano dell’umanità….oggi chi dovrebbe provare vergogna della guerra degli uomini? Sono i ragazzi gli dei cui scusarci?

Lo dice De Andrè nella sua “Girotondo” della guerra… anche Dio se n’è andato. Sarà che sappiamo bene quel che facciamo e lo abbiamo capito così tanto che non ci aspettiamo, come umanità, neppure la comprensione degli dèi. Io non chiederei scusa ai ragazzi, proverei ad ascoltarli, soprattutto quando sembrano distratti, o silenziosi. A noi adulti spetta il ruolo difficile di guidare. Nel laboratorio teatrale la guida è colui o colei che accende le micce, presta continuamente ascolto, guida appunto il lavoro senza per questo diventarne l’artefice assoluto. Credo sia questo che come adulti dobbiamo loro, credo valga più delle scuse.

Nel teatro greco e nelle festività di Dioniso lunghe sessioni teatrali si susseguivano nella città in templi civili. Quanto sopravvive di quello spirito?

Non so, forse poco o nulla. Le feste più popolari sono delle adunanze di spettatori, processioni cattoliche in cui mettersi ai lati e osservare, le stesse sfilate di carnevale sono sempre più spesso una esibizione di forma e sfilate di eccentrici costumi, ma il viscerale, il capovolgimento dei ruoli, l’autoironia viene accuratamente nascosta sotto le stoffe colorate.

Forse, Dioniso lo ritroviamo nei concerti rock, fatto di folle che non sono mai solo spettatori, diventano parte integrante del concerto, di quel canto collettivo. Nel teatro lo vedo invece più raramente, e sempre nelle esperienze di teatralità diffusa, solitamente periferiche, dove i cittadini diventano parte del lavoro di creazione, coro di una comunità che si ritrova assieme. Non per sedersi e osservare, ma per alzarsi, ridere e scavare fessure nei muri della forma, essere bellezza.

Come è stato affrontato un tema così complesso dai ragazzi?

Tra le cose che ho imparato dai ragazzi è che con loro attraverso il teatro si può affrontare qualunque tema.
Quali vissuti sprigiona nei ragazzi e nelle ragazze una esperienza così immersiva e totalizzante?

Non saprei, o non vorrei sostituirmi a loro rispondendo a questa domanda. Andrebbe rivolta a loro. Sarebbero felici di rispondere.

Il teatro classico per parlare dell’oggi. Il mito attualizzato. Hai mai pensato di utilizzare la stessa formula di teatro collettivo per una nuova drammaturgia che parli alla Manfredonia di oggi?

Il teatro classico inteso come opera immobile è del tutto inutile all’umanità. Non lo si attualizza, sarebbe un artificio. Piuttosto lo si restituisce alla vita. Non so proprio come potesse essere davvero Pace al suo debutto. Leggo le parole, tradotte. Leggo i cori, ma non ci è arrivata la musica. Leggo qualche sparuta didascalia, immaginando cosa potesse essere davvero. A noi capire se quella commedia o quella tragedia è ancora lì viva a parlare agli uomini di oggi. È già un gran lavoro di drammaturgia collettiva contemporanea, usando le parole del regista Marco Martinelli, quello di “mettere in vita” commedie scritte migliaia di anni fa.

Manfredonia? Non saprei, certo è che è proprio Aristofane che a mio avviso parla esattamente alla Manfredonia di oggi… purtroppo direi, visti i vizi, le guerre della malavita, la fatica di essere comunità, la continua difficoltà di ricostruire una classe dirigente in grado di grandi sogni, di profonda intelligenza d’animo.

Che tipo di dinamiche di gruppo si creano sul palco tra i giovani attori? E soprattutto che tipo di catarsi vive il pubblico dinanzi a tanta energia?

Non li definirei giovani attori, per evitare strane associazioni tra ciò che sono e ciò che troppo spesso i talent, le gare di talenti allo sbaraglio ci presentano. Sono giovani cittadini che restituiscono vita al teatro. Questo sono per me. Sono un coro che muove le montagne e allevia le ferite. Sono un coro che non è venuto al mondo così, ma lo è diventato lavorando assieme. È un lavoro senza fine, perché coro lo si è ma non lo si guadagna come un premio, bisogna lavorarci ogni giorno.

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