Francesco Marcone, un santo laico a teatro

by Enrico Ciccarelli

Edificante e didascalico, ma anche intenso e appassionato questo Le mani che vorrei, lo spin off che Vincenzo Russo ha realizzato liberamente ispirandosi all’intelligente e creativo cortometraggio dell’adolescente Giandomenico Balta. Francesco Marcone, il direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia assassinato il 31 marzo del 1995 trasumana a santo laico, il suo vestito diviene bandiera di coraggio, forza positiva, simbolo di riscossa e di speranza.

Narrazione utopica e ingenua quanto si vuole, ma che risponde all’urgente necessità di contrapporre figure e narrazioni positive agli eroi foschi e sanguinari della mafia. La forza delle vittime viene contrapposta alla brutale potenza senza scopo degli assassini. Un’idea resa teatralmente con buona efficacia dal serrato snodarsi del dialogo fra i due fratelli Salvatore e Lorenzo, il primo virtuoso e umile lavoratore e l’altro malavitoso; una vicenda e un contrasto di caratteri che si snodano nel box adibito ad abitazione dove risiedono, condito di riflessioni sullo stato della città e dell’ingiustizia sociale, fino al tragico epilogo. Dino La Cecilia presta tutto il suo talento al personaggio dell’aspirante boss, mentre Vincenzo Russo è un Salvatore persuasivo al di là dell’oleografia.

Importante la presenza musicale di Guido Paolo Longo, le cui note sottolineano e accompagnano l’azione. Il sommesso suggerimento è di farlo con qualche decibel in meno, perché a volte si fatica a comprendere appieno quel che dice La Cecilia. Testo ben scritto e interpretato, per una inconsueta serata di teatro civile che ha visto una bella coda con la presenza sul palco di Daniela e Paolo Marcone e di Giandomenico Balta. Nella speranza che un domani Foggia possa far propria la celebre massima di Bertolt Brecht Beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi. Oggi più che mai, noi ne abbiamo invece un estremo bisogno.

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