I danzatori da un altro pianeta e gli amanti coraggiosi di Barbara Alberti a Musica Civica

by Enrico Ciccarelli

Nella tradizionale gonna scarlatta, ma senza la treccia che ne ha reso celebre l’icona, Barbara Alberti è stata la protagonista, domenica 29 ottobre al «Giordano» di Foggia, del quinto appuntamento del cartellone della XIV edizione di Musica Civica. La scrittrice, di cui è particolarmente nota l’attività di curatrice per vari giornali di rubriche di posta del cuore ha tenuto una conversazione intitolata al suo aforisma più famoso: «L’amore è per i coraggiosi, tutto il resto è coppia». Suo molto amichevole sparring partner lo scrittore e giornalista foggiano Tony Di Corcia, che la conosce assai bene (Alberti è una delle persone che parlano di Mina e della sua leggenda nel libro di imminente pubblicazione da parte di Di Corcia per i tipi delle Edizioni Clichy) e che è stato come sempre preparato, affabile e competente. Ne è scaturita una conversazione cordialissima, a tratti persino troppo, in cui la scrittrice, affascinante e carismatica ad onta dell’età non proprio verdissima (ha compiuto ottant’anni lo scorso aprile), ha ribadito i temi forti della sua idea di amore, sempre anarchica, emozionale, tutt’altro che dolce. Un amore che non va d’accordo con i rimpianti, e meno ancora con i rimorsi: gli amori finiti non sono stati inutili né fallimentari, se hanno lasciato in eredità un modo di essere guardati che non si conosceva, se hanno comportato giorni e momenti felici. Riuscire a restare amanti senza divenire coppia (che nella sua definizione è «il legame che nasce fra due persone che hanno imparato a mentirsi»), a sorprendersi reciprocamente è il mantra di questa femminista autentica, votata allo scandalo e all’anticonformismo, irriverente e caustica. Una indipendenza e una libertà di giudizio che hanno anche, inevitabilmente, esiti non condivisibili da tutti. A parere di chi scrive, ad esempio, è fuorviante e ingeneroso bollare come «di cattivo gusto» la foto di copertina di un noto magazine che ritrae due persone in là con gli anni che si baciano appassionatamente. «E’ una foto che fa pensare più alla morte che al sesso», ha detto la Alberti.

Sarà. Ma potrebbe far pensare anche alla tenerezza, alla gioia di una vita affrontata insieme, all’indomita bellezza di chi morirà, ma intende restare fino all’ultimo giorno pienamente vivo. Sono dettagli, comunque. Non tolgono nulla alla spietata onestà di Barbara Alberti, al valore dei suoi trenta libri, delle sue venti sceneggiature cinematografiche e al suo stesso magnifico percorso di vita e di giornalismo, compresa la sorridente crudezza con cui irride quanti la vorrebbero «consigliera in amore». «Nessuno può dare consigli sull’amore, perché nessuno sa cos’è. E chi mi scrive non cerca consigli, ma solo una spalla su cui piangere». dice. Così come merita applausi scroscianti (e il pubblico di Foggia ne è stato prodigo) il suo finale indirizzo di saluto a coloro che vivono un amore impossibile, agli uomini sposati innamorati solo fuori di casa, alle loro amanti che vivono la loro precoce vedovanza con l’amore per un uomo che non avranno mai tutto per loro. «Mando il mio saluto appassionato all’uomo che ama l’uomo, alla donna che ama la donna. Un cenno d’intesa fra noi, creature dell’inferno, che non dormiamo da sei mesi, sperando che dopo la quarantena lei venga al bar, per una volta senza il marito, per poterle dire “Buongiorno, signora”»

Non meno coinvolgente e interessante la parte dedicata alla musica (la formula della rassegna è basata sulla giustapposizione fra musica e parole), consistente nell’occasione in un’esibizione di danza. Lo spettacolo «Velocità: Sok do» della compagnia coreana Modern table, famosa in tutto il mondo.

Un’esibizione di grande spettacolarità, con in scena nove ballerini, tutti maschi, che accompagnano lo spettatore attraverso tre stadi di velocità e tre collegati riflessi psicologici: la paura, la consuetudine, il rilassamento. Lo spettacolo, ideato nel 2019 dal fondatore della compagnia, il coreografo e musicista KIm Jae-Duk, si avvale dell’accompagnamento di Kim Soli e Lee Hyeongkyu agli ajaeng (tradizionale strumento coreano a corda) e della narrazione musicale pansori (anch’essa ripica della penisola asiatica) eseguita dalla cantante Yoon Sukgui. Le coreografie sono ardite e gradevoli, i ballerini bravissimi, la musica e il canto ipnotici come è spesso nelle arti orientali; siamo tuttavia molto lontani dagli alfabeti e dai linguaggi coreutici dell’Occidente. La lettura e la comprensione di quanto avviene sul palco hanno come premessa necessaria la disponibilità a confrontarsi con sensibilità, memorie e culture differenti. La bravura dei ballerini-cantori è di palmare evidenza, così come la grande eleganza dell’insieme. Traspare anche lo sforzo di internazionalizzazione del coreografo, con momenti di fusione fra la tradizione coreana e il più vasto panorama della danza contemporanea.

Ma un po’ di lost in translation è inevitabile. Poco male, in realtà: perché la scoperta di nuove sensibilità e nuove sintassi dentro linguaggi apparentemente universali come la musica e la danza è una bella avventura culturale, specialmente se come in questo caso si unisce alla piacevolezza dell’intrattenimento. Certo, si può pensare di conoscere la cultura coreana perché si è ascoltato Gnam Gnam Style. Oppure si può approfittare dell’opportunità offerta dal direttore artistico di Musica Civica DIno De Palma (che come Gianna Fratta a Seul ha anche insegnato) per capirci qualcosina di più. Perché anche la conoscenza, come l’amore, è per i coraggiosi. Tutto il resto è abitudine.

Ha collaborato Valentina Chiango

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