Il teatro è sfavillante e maltrattata miriade. Ai Limoni lo splendido “Via Crudex- Il cantico della minaccia” di Rosario Palazzolo

by Enrico Ciccarelli

E se il controverso Ponte sullo Stretto esistesse già, e avesse la forma di un sipario? Ci pare di leggere questo in filigrana nelle produzioni teatrali del Teatro dei Tre Mestieri di Messina e del Teatro Primo di Reggio Calabria, che arrivano agli spettatori di Foggia grazie al Teatro dei Limoni e alla sua stagione “Giallo coraggioso”. Ultimo esempio in ordine di tempo è stato il magnifico “Via Crudex – Il cantico della minaccia”, di Rosario Palazzolo, un autore palermitano di vaglia che ha messo un testo di mirabile ingegno nelle affidabili mani di due attori reggini straordinari: Silvana Luppino e Stefano Cutrupi.

Il teatro ha sempre affascinato teatranti e drammaturghi: celeberrima la frase del Come vi piace di William Shakespeare secondo cui “Il mondo è un palcoscenico e gli uomini e le donne, tutti, non sono che attori”, per non parlare del fiammeggiante “Questa sera si recita a soggetto” di Luigi Pirandello. Né mancano riflessioni sul teatro e sulla sua collocazione nella società. Il capocomico Oreste Campese, nell’Arte della commedia di Eduardo De Filippo, spiega a un irritabile Prefetto il suo disappunto per non avere trovato il mestiere di attore fra quelli tradizionalmente elencati nel sillabario delle elementari; e sembra muoversi nello stesso solco l’avvincente testo di Palazzolo.

Luppino e Cutrupi sono due attori in cerca di scrittura chiamati a sottoporsi al giudizio di una invisibile commissione o autorità di fronte alla quale mostrare il loro talento di improvvisatori. Un pretesto narrativo diafano e fragile che diventa l’occasione per riaffermare che il teatro è miriade, flusso di coscienza che irride gli schemi, comunicazione allo stato puro, a cui basta un gesto, una luce, un’icona per attraversare Paesi e continenti senza muoversi da quattro assi spoglie. La scrittura di Palazzolo (Via Crudex ha avuto la sua genesi nel 2021, sulle arse macerie dello spettacolo dal vivo stroncato dalla pandemia) è versatile, acuminata, priva di sconti. Luppino e Cutrupi la rendono materia vivente e palpitante.

Perché si tratta di un’opera che richiede davvero interpreti molto bravi, a partire dalle labirintiche intersecazioni del dialogo iniziale, che muove da un personaggio all’altro frasi e concetti, trasforma il rispondente in interrogante e viceversa. E poi incursioni nel grand  guignol e nel burlesque, brani en travesti, teatro di parola e teatro iperfisico o addirittura ginnico, sprazzi di cabaret e immersioni di cupezza.

Evocato  il tristo mondo di internet e dei social network, la curva dell’attenzione labile che impedisce riflessioni e toglie spessore. Chiamata in causa la squallida e arrogante fauna di direttori e sovrintendenti, nonché la selva di burocrati di dubbia competenza che, manovrando i cordoni delle provvidenze pubbliche, decidono la vita e la morte dello spettacolo dal vivo. L’ansia da prestazione, l’incertezza sul proprio sé e il proprio ruolo, la precarietà del proprio destino non possono che tramutarsi a un certo punto in rabbia, in furia ubiqua che non risparmia nessuno e culmina nella mutua autodistruzione.

Il bello è che in questo buio crepuscolo degli Dei del teatro, in questa via crudele ed esacerbata lo spettatore non è abbandonato alla disperazione. Al contrario, questo manifesto di impraticabilità del teatro finisce per trasformarsi in un certificato della sua insostituibilità. Merito di un autore e regista come Palazzolo, che non cede mai alla trivialità dell’invettiva, e di due interpreti scatenati e misuratissimi, seminudi senza ammiccamenti, drammatici senza guitterie di sorta, divertiti e divertenti all’occorrenza.

Il monologo di Cutrupi su Antonella Clerici o le spettacolari intemerate di Luppino (confessiamo che dopo averla vista in Dora in avanti e in questo Via Crudex ne siamo letteeralmente innamorati) sul lessico valgono da sole il prezzo del biglietto di una rappresentazione che -come è giusto- lascia nel pubblico più di una domanda senza risposta, magari in forma di perplessità. Il buon teatro lo fa sempre. Grazie a “Giallo coraggioso” per avercene dato un ulteriore esempio.

Ha collaborato Valenrina Chiango, a cui si devono anche le foto

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