Il Testori di Silvio Barbiero ai Limoni per Giallo coraggioso

by Enrico Ciccarelli

«Edipus», assai libera riscrittura della tragedia di Sofocle, è il terzo tassello (dopo «Ableto» e «Macbetto»)della Trilogia degli Scarrozzanti, che Giovanni Testori  scrisse fra il 1972 e il 1976 su misura della mostruosa capacità attoriale di Franco Parenti.

Tre omaggi palpitanti al teatro (gli scarrozzanti sono gli attori girovaghi della scalcagnata compagnia che al modo della Commedia dell’Arte portano in scena i capolavori shakespeariani e sofoclei), tre testi di caustica dissacrazione emancipatrice nel decennio del più grande fermento eversivo e rivoluzionario della società italiana, poi infrantosi sugli scogli della funebre e sanguinaria liturgia degli anni di piombo.

L’attore patavino Silvio Barbiero, esibitosi al Teatro dei Limoni nell’ambito della stagione «Giallo coraggioso», giunta alla sua quattordicesima edizione (scusate se è poco), arricchisce il trascinante, ilare e amarissimo monologo di Testori (della compagnia degli Scarrozzanti rimane in quest’ultimo atto il solo e ramingo capocomico) di intelligenti ed esilaranti stilemi cabarettistici mutuati dalla stand-up comedy, che gli conquistano immediatamente la simpatia del pubblico (due serate sold-out, in via Giardino; non era scontato).

Il resto lo fa la scintillante bellezza del grammelot veneto condito di manzoniano latinorumche Testori consegna al testo, nel quale con elegante perizia Barbiero passa da interpretare il despota Laio alla caliente Giocasta all’eroe eponimo, un Edipo che, lungi dallo sfuggire il destino ed esserne schiantato, lo proclama e rivendica.

Felice di avere sodomizzato, evirato ed ucciso il padre tiranno, Edipo si congiunge con la madre come amante soddisfatto, non come mostro incestuoso. E il castigo non è il flagello divino della peste, ma la raffica di mitra del potere.

Satira radicale e sanguigna, violentemente avversa all’ordine costituito e alle sue mitologie, libertaria e anticlericale. Ma anche atto d’amore per il teatro. già mezzo secolo fa percepito come a rischio  d’estinzione, affidato a un ultimo interprete abbandonato da tutti e irriducibile, saldamente intenzionato a procedere in direzione ostinata e contraria (cit.). Un teatro dei reietti, degli ultimi, degli esclusi, cui bastano pochi costumi di scena, un improbabile datore di luci (nella finzione scenica il fratello –ma adottato- dell’interprete) e un’indomita voglia di narrare per essere vivo.

Gran bella cosa, e gran fortuna avere assistito a uno spettacolo dal testo mirabile, ottimamente reso da un attore brillante e appassionato. Che ha anche ricordato, a noi abitanti lamentosi e pigri della Città Sprofondante, che privilegio sia avere una struttura come quella di via Giardino (e –pensate- non è nemmeno l’unica!) dove rendere omaggio ai numi che, dal Carro di Tespi in poi, proteggono la magia del teatro e la trasferiscono dal passato al futuro (rendere presente è l’esatto significato della parola rappresentazione).

Lunga vita, quindi, a Silvio Barbiero, a Roberto Galano&c. e a tutti i provvidi e segreti Scarrozzanti d’Italia e del mondo.

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