Intervista a Licia Lanera prima de Il Gabbiano. “Mi porto dentro l’amore per i classici russi”

by Francesca Limongelli

È carica, molto carica Licia Lanera. L’attrice e regista barese, premio UBU, premio Eleonora Duse, premio Reiter e tanto altro ancora, vive un periodo particolarmente denso e l’entusiasmo per quanto l’aspetta e aspetta il suo pubblico si percepisce già dall’intonazione della voce. Eccitata quando, prima di una prova costumi, ci racconta del suo amore per la letteratura russa ed emozionata quando, pochi giorni fa, seduta accanto al sindaco di Bari Antonio Decaro ha presentato quanto accadrà con la sua regia tra il 5 e il 6 dicembre in occasione della tanto attesa riapertura del Teatro comunale Piccinni.

Prima però di questo  importante e significativo appuntamento la Lanera si prepara al debutto con il nuovo spettacolo Il Gabbiano di Cechov, secondo pezzo di un unico lungo lavoro intitolato Guarda come nevica, iniziato l’anno scorso con Cuore di cane di Bulgakov e che terminerà poi con una terza parte dedicata al poeta Vladimir Majakovskij. Venerdì 29 e sabato 30 novembre Licia Lanera sarà allora sul palco del Petruzzelli per la stagione di prosa del Comune, impegnata con un classico della drammaturgia e insieme a un nutrito cast di attori: Vittorio Continelli, Mino Decataldo, Alessandra Di Lernia, Jozef Gjura, Marco Grossi,  Fabio Mascagni, Giulia Mazzarino.

Sei prossima a un debutto importante per diverse ragioni: lavori dopo tempo con numerosi attori, su un testo cardine della drammaturgia europea e su un palcoscenico che forse un po’ di paura potrebbe inculcarla. Come ti senti?

Tanto emozionata quanto lucida proprio rispetto al luogo dove andrò a debuttare. Anzi a riguardo più che essere il Petruzzelli a creare dentro di me una certa aspettativa è piuttosto il fatto che la mia città mi riconosca finalmente una maturità, che altrove ho conquistato da tempo. Per anni il mio lavoro è stato considerato come “giovane e di ricerca”, ma io ormai non sono più né giovane né Werther e il fatto che Bari si sia accorta che sono diventata grande non può che farmi piacere. Premesso ciò, rispetto allo spettacolo, è un po’ tutta l’operazione che mi trasmette della sana ansia: dopo diversi anni lavoro con tanti attori, in una produzione impegnativa, su quello che è il testo dei testi del teatro europeo.

Come è nata questa fascinazione per la letteratura e la drammaturgie russe?

Mi porto questo amore per i russi da quando ero giovanissima. Basti pensare che il primissimo spettacolo di Fibre Parallele è stato Zio Vanja,  prima ancora di Mangiami l’anima. Era un amore però poco strutturato diciamo, una passione che mi portava a leggere i grandi classici della letteratura russe, ma senza un ordine ben preciso. Poi nel 2017 Radio 3 mi ha chiesto una lettura per Tutto esaurito!: era il centenario della Rivoluzione russa, avevo da poco esplorato Bulgakov con Il maestro e margherita e stavo archiviando le esperienze di Orgia e Black tales che per me hanno rappresentato un momento cruciale nella delicata e dolorosa fase di passaggio da Fibre Parallele a Compagnia Licia Lanera. Avevo il freddo nel cuore e a Bari, incredibilmente nevicava, nevicava tantissimo, come mai ricordavo. Ed ecco nascere così la trilogia “Guarda come nevica”, una riflessione sul freddo dell’anima, ma anche sul teatro, qualcosa che proprio Bulgakov, Cechov e Majakovskij hanno saputo descrivere e trasmettere alla perfezione. Si tratta, per me, di un modo per riacchiappare le fila, per interrogarmi su dove sono e per riflettere sul senso del teatro.

Dove senti di essere allora? E cosa ti senti di essere?

Sono una regista, pedagoga, votata al lavoro con gli attori, che siano giovani o adulti, che sta nel presente e che cerca attraverso i grandi testi di ritrovare connessioni con l’attualità. Lavoro moltissimo sulla drammaturgia con i miei allievi, cercando di capire come i grandi testi si incastrano nell’oggi. 

Il tuo curriculum è notevole: premi, produzioni importanti, Ronconi e molto altro. Non hai mai avuto la tentazione di lasciare una città, Bari, che per quanto in grande fermento e in fase di cambiamento, rappresenta per tanti aspetti ancora una periferia?

Dai tempi di Fibre Parallele, l’ho avuta a più riprese, però questo per me è un luogo di grande protezione, ho la mia famiglia, i miei amici, ho il mare e mi sento lontana da un meccanismo di chiacchiere teatrali poco edificante. Qui ho costruito qualcosa di prezioso: i laboratori, lo spazio, gli amici che sono corazze e poi la compagnia Licia Lanera è nata qui e si alimenta qui. È un gruppo di dieci persone che lavorano in maniera fissa quotidianamente fra formatori, organizzatori, musicisti, tecnici, attori. Certo a volte c’è l’avvilimento e penso di abdicare la questione impresa, ma comunque se dovessi un giorno lavorare altrove, non lascerei questa città e non perderei mai il mio percorso di formazione con i miei allievi. Certo lavorare in una città con difficoltà di spazi e contributi a volte può avvilire specie laddove abbiamo il Ministero che esige tanto, ma per ora voglio essere ottimista e confidare nel futuro. Mi do un tempo, poi vedremo.

Il 2019 è stato per te anche l’anno del cinema: il tuo primo film. Di cosa si tratta?

Si tratta del nuovo film dei fratelli De Serio, Spaccapietre. Mi è venuta a cercare un agente che mi aveva già cercata in altre occasioni, ma io in quei momenti non avevo tempo e un po’ neanche voglia. Volevo mantenere la mia libertà e comunque aspettavo “la cosa giusta” che alla fine è arrivata. Un ruolo fortissimo (interpreto una bracciante che si fa carico di un bambino incontrato nei campi), bellissimo, appagante, con accanto un nome come quello di Salvatore Esposito e con due registi eccezionali. Insomma situazione perfetta.

Come è andato l’incontro ravvicinato con la settima arte?

Chiaramente è stato qualcosa di diversissimo rispetto a quello cui ero abituata, ma ho deciso di mettermi letteralmente nelle mani di Gianluca e Massimiliano De Serio, “i miei registi”, espressione che mai avrei pensato di usare. E ho scoperto che per fare il cinema ci vuole un fisico bestiale ancora più che per fare il teatro.  E poi tutta quella realtà, quella verità, che ti permettono di entrare in una dimensione reale e fortissima con il personaggio sono stati per me una specie di illuminazione. Insomma…il cinema mi è piaciuto moltissimo e ormai la porta l’ho aperta, vedremo cosa succederà in futuro.

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