“Io, Don Chisciotte”, il palco del Piccinni è abitato da simboli metropolitani col Balletto di Roma

by Agnese Lieggi
Io don Chisciotte

Il Balletto di Roma ha inaugurato l’otto gennaio sul palco del Teatro Piccinni di Bari l’edizione 2020 della DAB (DanzaABari 2020), rassegna di danza contemporanea a cura del Teatro Pubblico Pugliese e del Comune di Bari, con lo spettacolo “Io, Don Chisciotte”, coreografia e regia di Fabrizio Monteverde, musiche Ludwig Minkus e AA.VV., direzione artistica Francesca Magnini e direttore generale Luciano Carratoni.

L’evento è stato presentato dalla Responsabile della Programmazione Danza del Teatro Pubblico Pugliese, Gemma Di Tullio e introdotto dal critico Carmelo Zapparrata, che in realtà ha inaugurato il ciclo di presentazioni della rassegna, una buona opportunità di avvicinamento del pubblico alla lettura più consapevole delle opere in programma. Infatti, attraverso le sue parole è stato possibile ripercorrere i molti adattamenti del Don Chisciotte in danza, dalla prima versione più celebre e acclamata, quella del coreografo Marius Petipa sulla musica di Aloisius Ludwig Minkus, rappresentato per la prima volta il 14 dicembre 1869 dal Balletto del Teatro Bol’šoj di Mosca,  fino alla più recente di Fabrizio Monteverde, presentata a Bari.
Ci spiega che una compagnia come il Balletto di Roma con  mezzo secolo di storia, fonde tradizione e innovazione degli stili e che  Fabrizio Monteverde porta in scena “El Ingenioso Hidalgo” spagnolo  con una visione del “Quijote” che rende omaggio alla filosofia della vita di strada, una sintesi originale fra coreografie e romanzo picaresco.

In sala c’è fermento e attesa, a sipario chiuso partono le musiche, subito dopo appare in scena il Don Chisciotte, che interpreta il bellissimo ed emozionante monologo del drammaturgo  Corrado D’Elia . Per il pubblico in sala, magari facilmente equivocabile l’associazione con il Prologo della più influente opera del Siglo de Oro. Di seguito il testo:

Ai pazzi per amore

A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.

ai visionari,

a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.

Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.

Agli uomini di cuore,

a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.

A tutti quelli che ancora si commuovono.

Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.

A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.

Ai poeti del quotidiano.

Ai “vincibili” dunque, e anche

agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.

Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.

A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali,

ancora si sente invincibile.

A chi non ha paura di dire quello che pensa.

A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.

A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.

A tutti i cavalieri erranti.

In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…

a tutti i teatranti.”



Lo spazio del palco è abitato da molti simboli, e la danza dal suo punto di vista semantico diventa un’ iperbole di tutti i principali temi  in chiave coreografica, del capolavoro di Cervantes. Dapprima una torre di libri in scena, un passeggino pieno di libri, un’ auto abbandonata che potrebbe rappresentare il “ronzino” che cambia colore a seconda delle scene e diventa rossa quando il furore della danza rimanda (a mio avviso) ad episodi di tauromachia di antica provenienza, in cui le giacche diventano  muletas ovvero bandiere di stoffa che i toreri sventolano davanti al tori.


In queste elaborazioni stilistiche e drammaturgiche cresce la figura dell’eroe contemporaneo, in cui alle metriche di Minkus si giustappongono dispari, il clacson delle auto, le sirene di ambulanze, ovvero le principali colonne sonore metropolitane. 


La scena dei mulini a vento vede il cavaliere errante come personaggio vero, le sue paure e i suoi timori diventano universali, ed è accompagnato dal suo fedele cavaliere, interpretato da una donna. 


Il pubblico è sembrato entusiasta, soprattutto sulla scena finale fatta di passione e di rosso, è stato uno spettacolo che ha colpito per il suo grande fascino, per l’eccellenza di quel particolare sguardo che quando si posa, ti rende nudo, distante dalle ovvietà.

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