«La signora del martedì», il noir di Carlotto diventa una gemma teatrale in due atti con gli strepitosi Giuliana De Sio e Alessandro Haber

by Enrico Ciccarelli

«La signora del martedì» l’allestimento che Gli Ipocriti Melina Balsamo, Goldenart Production e Teatro della Toscana hanno ricavato dall’omonimo romanzo che Massimo Carlotto, autore noir di grande prolificità e successo, ha dato alle stampe nel 2020, è uno spettacolo godibilissimo ed emozionante.

Merito delle agili scene di Francesco Ghisu, degli azeccati costumi di Katerina Vukcevic, della regia incisiva di Pierpaolo Sepe, ma soprattutto di un quartetto di interpreti magistrali (ce n’è anche un quinto, Paolo Persi, ma si limita a ballare magnificamente un tango).

Chi abbia letto il libro (e/o Edizioni) si troverà di fronte a un plot smagrito e totalmente rimaneggiato, che oltre a impedirgli qualsiasi forma di spoiler gli permetterà di essere coinvolto in una storia sfaccettata e cangiante, che in due ore o poco meno mette lo spettatore in un otto volante di allegria e commozione, di ironia e palpiti, con un finale imprevedibile e splendido.

Nello scenario della piccola, dismessa e lievemente sordida Pensione Lisbona, nelle adiacenze del Cupolone, gestita dalla «signora» Alfredo Gustini (transessuale in disarmo consegnata alla confezione di ciambelloni da tè e all’accudimento del suo unico pensionante), una donna riservata e avara di parole giunge tutti i martedì e si trattiene dalle 15 alle 16 in punto per usufruire dei servigi da gigolò dell’attore porno in declino Buonamente Fanzago, romantico e tontolone che della sua unica cliente è innamorato confesso. Una routine fra il burocratico e il lussurioso che scorre placida per anni, fino all’arrivo del torbido e laido giornalista Pietro Emilio Belli, rimestatore di immondezzai che conosce l’identità e il terribile segreto della signora Alfonsina Malacrida, detta Nanà (è questo il nome della signora del martedì).

Il rimescolamento delle posizioni e delle relazioni fra i quattro personaggi è scandito in modo perfetto dai tempi registici, che ci sembra inseriscano anche dei contrappunti grotteschi di sicuro effetto tutte le volte che la cupa materia della narrazione rischia di opprimere lo spettatore. Né si può omettere di citare gli splendidi intarsi musicali, che spaziano dalla Patty Pravo di «Tutt’al più» al Fred Bongusto di «Amore, baciami» passando per il Johnny Dorelli de «L’immensità» e per «La notte», che Haber interpreta magistralmente a cappella. Posto d’onore per Carlitos Gardel e l’immortale tango di «Volver» («es un soplo la vida…»), che si scoprirà avere un ruolo non decorativo nella trama.

Ma sono gli attori il segreto di questa rappresentazione che ha incantato, ultimi in ordine di tempo, gli spettatori del Teatro «Giordano» di Foggia nel cartellone allestito dal Comune in collaborazione con il Teatro Pubblico pugliese. Riccardo Festa è perfetto nell’interpretare lo stallone melenso e malmesso che insegue un amore impossibile. Paolo Sassanelli è un’Alfredo delizioso e prismatico, né manca di prestargli più di una venatura di dialetto barese.

Non sapremmo definire Alessandro Haber, nel ruolo del giornalista ricattatore, se non come titanico. Non stupisce la mostruosa capacità attoriale di uno che ha una carriera ultracinquantennale su ogni tipo di set, né la varietà di registri emotivi in cui sa esprimersi. Ma la vitalità con cui riesce a far sembrare la sedia a rotelle su cui è costretto un artificio scenico noi sinceramente non l’abbiamo mai vista.

Non meno sorprendente e affascinante Giuliana De Sio, che in età non proprio verdissima fornisce ad Alfonsina non solo un fisico asciutto ed in perfetta forma, con impecccabili movenze da ballerina, ma anche una nudità d’anima e un’intensità ormai rarissime sui palcoscenici italiani. Gran teatro, insomma, che ha tenuto avvinti gli spettatori anche nella replica di domenica, dove c’è stato un po’ di trambusto necessario a soccorrere una persona colpita da malore (per fortuna senza conseguenze). Scelta azzeccatissima, di un altro pianeta per qualità e professionalità rispetto ai troppi pressappochismi che si vedono in giro. Da applausi a scena aperta (e ce ne sono stati).

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