Le Merende da Favola di Via Giardino. Fra Disney, Halloween e cultura pop con Maggie Salice e i suoi danzatori

by Enrico Ciccarelli

Malgrado la lunga amicizia e frequentazione, non mi è mai capitato di chiedere a Roberto Galano perché la loro compagnia si chiami «Teatro dei Limoni». A guardare le loro produzioni, quasi sempre contraddistinte dall’ibridazione, si sarebbe tentati di chiamarli «Teatro dei mandaranci» o «del Pomelo».

Nel loro lavoro si rinviene costantemente una componente ludica, a tratti persino goliardica, che però camuffa il desiderio di uscire dalle camicie di Nesso soffocanti e oppressive dei generi e dei canoni. Per questo, anche nel più spensierato degli spettacoli messi in scena nel bello spazio di via Giardino, si vede la filigrana di un lavorìo di ricerca e di sperimentazione mai gratuito o dilettantesco, per quanto dilettevole.

Una caratteristica che si è notevolmente accentuata da quando, alle attività teatrali «tradizionali» (come diverse altre benemerite realtà foggiane, anche i Limoni associano alle rappresentazioni l’attività laboratoriale e didattica) la tenacia di Maggie Salice (che per rispetto dell’etnia chiameremo «capatostaggine») ha aggiunto quella di teatro-danza.

Lo si comprende in modo evidente anche assistendo a quegli spettacoli, a torto considerati di minor rilievo, dedicati ai bambini. In realtà qualunque teatrante vi dirà che nulla è più vivificante, duro e pericoloso che sfidare una platea di men che decenni e ottenere la loro attenzione. Perché sono attentissimi, esigentissimi e del tutto privi di buona creanza (è così che chiamiamo l’ipocrisia). A differenza di noi «sono abbastanza giovani da sapere tutto», come dice il loro grande conoscitore James Matthew Barrie.

Per questi severi ed esigenti spettatori in via Giardino si allestisce una stagione ad hoc, denominata «Merende da favola», che ha fatto il suo esordio giovedì scorso con «Fantasia 100», ideato e diretto dalla citata Maggie. Non un balletto, ma un testo danzato, una narrazione resa con movimenti anziché con parole. In scena sei danzattori, come è giusto chiamarli: al fianco di Salice, le deliziose e bravissime Graziana Cifarelli e Nicole Piemontese. Con loro, non meno pregevoli, Tommaso Bevilacqua, Raul Lannunziata e Luigi Schiavone, in rigoroso ordine alfabetico. La scarna crew è completata da Cristiano Russo alle luci e all’audio (perfetto).

Il celebre cartoon del 1940 (un clamoroso flop nell’immediato, prima di diventare uno dei titoli più redditizi del vasto palmarès di zio Walt) è citato in più luoghi, dal celeberrimo Apprendista stregone di Dusak, con Topolino (sapete che fu con quel cartoon che Mickey Mouse ottenne le fattezze che a tutt’oggi possiede?) maldestro incantatore, al meraviglioso valzer dello Schiaccianoci al primo movimento della Quinta Sinfonia di Beethoven (che in realtà fa parte del sequel del 1999).

Lo spettacolo è celebrativo, fin dal suo titolo, del «secolo disneyano»: The Walt Disney Company fu infatti fondata il 16 ottobre 1923 a Burbank, in California. Coerentemente, solo la prima parte dello spettacolo riprende le performance di Leopold Stokowsky; poi si passa nel vasto continente paperopolesco, con un’azzeccatissima performance dei tre danzattori in veste di Banda Bassotti, Cifarelli e Lannunziata che rinverdiscono il perenne duello di Zio Paperone e di Amelia, la fattucchiera che ammalia, per il possesso della leggendaria Numero Uno, la prima moneta dei futuri tre ettari cubici di danaro del plutocrate in tuba.

Ma se ci fermassimo qui, alla soave leggiadria di Nicole Piemontese in veste di Campanellino, al fascino di Schiavone-Topolino e Bevilacqua-potente stregone, non saremmo nel regno dell’ibridazione. Di talché appare del tutto naturale che ci si sposti rapidamente dalle parti di Halloween e degli zombie di Thriller (Salice non teme il proibitivo confronto con Sua Snodatezza Michael Jackson). Si penserebbe che ai piccoli spettatori pesino le atmosfere dark, ma è il timore di un matusa che non frequenta i cartoni animati di cui i pargoli si cibano quotidianamente. Rispetto ad essi la delicata coreografia delle ombre che danzano tenendo in mano luci spettrali è robetta parrocchiale.

Anche la mancanza delle parole non sembra di grande impaccio. Vuoi perché le movenze sono eloquenti, vuoi perché danzattrici e danzattori non risparmiano squittii in fumettese, tanto che non ci si stupirebbe se la talentuosa Cifarelli tirasse fuori uno «Sberequack!» di sorpresa o di indignazione.

Il finale è poi da apoteosi, con i tre maschi che si propongono come (improbabile) epitome della una e trina Christina Aguilera in uno dei videoclip più famosi di ogni tempo. Esplode la musica di «Candy Man» e arrivano le ragazze in tenuta «rock&roll girls». Fantastico (non stiamo parlando di fantasia?). In tutta sincerità, difficile trovare un difetto. E benché chi scriva capisca ben poco di balli, alcuni movimenti sono sembrati tutt’altro che facili anche sul piano tecnico. Va dato credito alla regista di avere reso invisibili le differenze di preparazione e di capacità del team. Insomma, cento di queste merende. E di questa fantasia.

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