Leonardo e il Codice del Volo, l’anima respira col bello e la leggerezza di Flavio Albanese

by Antonella Soccio

Il moto dei sensi. Il sogno e l’illusione. I bambini lucerini, nella magia del Teatro Garibaldi e della stagione PrimaVera, si sono trovati immersi nel genio di Leonardo in un matinée di studio e di incanto con “Il codice del volo”, scritto, diretto ed interpretato da Flavio Albanese con la collaborazione artistica di Marinella Anaclerio, l’impianto scenico dello stesso Flavio Albanese, il disegno luci di Valerio Varresi.

Lo spettacolo è un multiforme e assai fisico monologo a due voci, in un rapporto costante, allievo/maestro, tra Leonardo da Vinci e Tommaso Masini, lo Zoroastro, il suo allievo, il suo giovane di bottega, assistente e suo amico fedele, colui che ha sperimentato una delle più ardite invenzioni del Maestro: la “macchina per volare”, il vascello alato.

I giovani spettatori hanno conosciuto aspetti bizzarri della vita del genio. Gli inizi gastronomici con Sandro Botticelli, i suoi errori, i suoi mille progetti, i suoi fallimenti, le sue idee che anticipano di secoli Newton e le macchine moderne, l’affresco tridimensionale dell’Ultima Cena, le sue associazioni di idee assolutamente fuori norma. L’occhio e la gallina.

Si ride tanto nello spettacolo e si sogna, grazie alla maestria di Albanese, che riesce a toccare tutti i registri.  Dal didattico al poetico, passando per il comico puro sino al teatro nel teatro. Si rimane rapiti dalla sua tecnica e dalla profondità del testo.

“L’amore e la conoscenza creano il bello. E col bello l’anima respira”, fa dire Albanese ai suoi due personaggi in volo dentro l’infinito buio.

Il celeste è solo una gradazione del buio infinito, da cui nasce il famoso sfumato.

Alla fine dello spettacolo, l’attore si è fermato molto con i ragazzi, rapiti dalla storia del genio vissuto a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. Il primo umanista.

Noi di BonCulture lo abbiamo intervistato dopo le tante domande dei giovani spettatori.

Amore e conoscenza, il bello deriva da questi due concetti. Dove hai pescato la filosofia del pensiero leonardesco?

Leonardo diceva una cosa bellissima a cui ne ho aggiunto un’altra di un mio amico sufi: l’amore per le cose nasce dalla conoscenza che hai di esse. Se una cosa non la conosci è più probabile che la odi, ma se la conosci l’amerai sicuramente. Quando lo riferii al mio amico sufi Attilio Castronuovo, un personaggio straordinario con cui spesso mi confronto, lui mi ha detto: sai quando amore e conoscenza stanno insieme nasce il bello. E se si pensa a Leonardo questo è vero, davanti ad una grande opera d’arte, si ha la sensazione di respirare. Si ha leggerezza, l’anima respira.

Tutto lo spettacolo è sulla leggerezza e sul volo, ovviamente. Quanto cambia il tuo monologo in rapporto agli spettatori? Tu hai citato spesso Paolo Rossi per dire che il teatro non si fa per il pubblico, ma con il pubblico. Il pubblico dei bambini come cambia la tua prova attoriale?

La cambiano tanto, i bambini hanno dei tempi di percezione diversi, un ritmo diverso. Il pubblico serale percepisce con un ritmo pacato e più lento. Tutti i punti più poetici li allargo, a volte aggiungo delle battute, altre volte le levo.

Quale parte dello spettacolo funziona di più coi bambini?

Tutta la prima parte io la uso per catturare l’attenzione dei bambini, è molto narrativa e leggera, li faccio ridere, per poi entrare nella seconda parte che è più teatrale e poetica, c’è più una densità del pensiero di Leonardo. Li catturo, è come se dicessi loro: state tranquilli, non state a scuola, non vi faccio la lezione. La fiducia non si ha, la fiducia si dà. Si è creato un ponte: Jerzy Grotowski, un vecchio maestro di teatro, disse che il teatro è l’arcobaleno che si crea tra il pubblico e l’attore. Quando si crea quell’arcobaleno, l’attore e il pubblico sono insieme, siamo un unico sistema. Quello cerchiamo quando facciamo teatro, non sempre riesce.

Nel Codice del Volo riesce stupendamente, nonostante una scenografia basica. Avresti potuto proiettare tantissimo e invece la scena è quasi nuda.

Apposta, è nel levare l’arte, non nel mettere. Anche nei testi, con gli anni ho levato copione. Ciò che è rimasto ha una densità maggiore, perché non è nelle parole che dico quello che deve passare, è in quello che non dico. Lì c’è il teatro. Quando hai meno cose da dire e più intenzioni, le cose che dici hanno un volume più ampio.

Sei a Bari con “Alla moda del varietà”, uno spettacolo sul comico di Petrolini e degli altri grandi. Quanto è difficile oggi, nella cultura di massa, far ridere senza volgarità e trash?

C’è una differenza tra buffo e comico. Col buffo non si crea un rapporto di intelligenza, si ride per una situazione che fa ridere. Uno che casca a terra, uno che fa la pernacchia, con qualcosa di basso e farsesco. In commedia si ride perché si crea un rapporto di intelligenza col pubblico, per cui il pubblico ride per qualcosa che l’attore non ha detto e non ha fatto. Il vero segreto del comico è nelle pause. Mentre il segreto del volgare è nella battuta, quando vedi ridere nelle pause siamo vicini alla commedia. Questo spettacolo è un recupero della comicità del Quartetto Cetra, di Petrolini, di Totò e Peppino, che fanno ridere grandi e bambini. La scommessa è stata che riprendendo quelle stesse gag, quelle stesse situazioni, ridono i bambini, ridono gli adulti, gli intellettuali e ridono quelli che ridono col volgare.

Si rideva di più nel Dopoguerra?

Sì, si rideva in maniera più intelligente. Non c’era la volgarità inutile che c’è adesso, la volgarità nasce dalla mancanza di conoscenza e di riflessione. Se fai ridere su una battuta che non ha profondità, non crei qualcosa altro. Paolo Rossi ti fa ridere invitandoti a riflettere, crea un rapporto di intelligenza. Non cedere alla volgarità significa rispettare il pubblico. Ai ragazzi è rimasta la scuola e il teatro.

Leghi sempre i miti, da Platone al Miles Gloriosus, alla risata, alla commedia. Perché pensi che sia il riso la chiave per raccontare una storia sul palco?

Perché il ridere crea una porta verso la conoscenza, perché ridere, ma anche il pianto, hanno lo stesso ritmo, è una specie di blackout che ha la mente. Nel momento in cui la mente ha il blackout si crea un altro livello di intuizione e allora puoi far passare tante cose importanti. Non a caso la commedia non piaceva tantissimo a chi aveva il potere. Oppure chi ha un certo tipo di potere cerca di accaparrarsi un certo tipo di commedia, molti comici hanno fatto brutta fini. A Petrolini arrivò ai tempi un premio di Mussolini e lui disse la famosa battuta, prendendo il premio: Me ne fregio! È bellissima.

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