Luca Zingaretti regala all’Anfiteatro di Lucera l’odore magico del mare di Sicilia e la voce chiara d’amore de La sirena

by Antonella Soccio

Dopo uno spettacolo teatrale all’Anfiteatro Augusteo di Lucera, in una commovente notte di luna, con le luci rosse del secondo portale a scavare un fossato nell’anima, si viene colti dallo stesso “ascetismo di vita” dell’anziano protagonista, professore, grecista e senatore Rosario la Ciura del racconto lungo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Lighea, da cui Luca Zingaretti ha tratto il suo splendido “La sirena”, in scena ieri nell’ambito della mini rassegna PrimaVera al Garibaldi curata da Fabrizio Gifuni e dal Teatro Pubblico Pugliese.

L’ascetismo culturale e spirituale, apollineo e dionisiaco insieme, nasce “non dalla rinunzia, ma dalla impossibilità di accettare piaceri inferiori”.

L’attore e regista Luca Zingaretti, innamorato ormai da più di 20 anni della Sicilia di Andrea Camilleri e non solo, accompagnato dalle musiche del Maestro Germano Mazzocchetti alla fisarmonica (indimenticabile la sua La passeggiata su via Etnea), per la Produzione Zocotoco srl, ha dato corpo possente e voce chiara- così come nel significato mitologico del nome Lighea (colei che ha la voce chiara)- ad un racconto straordinario dell’autore del Gattopardo, che mescola la carnalità del Presente con il misticismo pagano dell’Antichità, la ricchezza della poesia della terra siciliana e di una lingua elegantissima e multiforme con la filosofia dell’esistenza.

Zingaretti, che dello spettacolo è interprete, regista e curatore dell’adattamento drammaturgico, riesce con la sua lettura scenica a restituire tutti i registri del racconto, che è un trionfo di raffinatissime scelte semantiche, che vanno dall’italiano colto al vulcanico dialetto più truce della zona dell’Etna.

Si spazia dal narrativo, al colloquiale, al comico fino al sublime, che è voluttà erotica e candida, esistenziale, negli abissi del mare. Per finire al dramma del ritorno all’amore primigenio, alla spuma archetipica, nel tuffo suicida dal piroscafo.

La scaltrezza mai manierista della voce del grande attore romano, nell’alternare i due personaggi, il giovane e modesto giornalista Paolo Corbera di Salina, di nobili natali e dell’ellenista geniale, ha ricreato, come per incanto, nell’anfiteatro svevo l’atmosfera marina dell’isola. Il pubblico era come immerso nell’odore della salsedine, evocato dai due inediti amici incontratisi negli inferi di Via Po della fredda Torino.

“Il mare di Sicilia è il più colorito che io conosca ed è l’unica cosa che non riuscirete a guastare”, dice l’accademico.

La loro nostalgia per la Sicilia si attacca alla pelle, come il sapore dei ricci di mare, il profumo di rosmarino sui Nèbrodi, il gusto del miele di Melilli, le raffiche di profumo degli agrumeti, “l’incanto di Castellammare, quando le stelle si specchiano nel mare che dorme e lo spirito di chi è coricato riverso fra i lentischi si perde nel vortice del cielo mentre il corpo, teso e all’erta, teme l’avvicinarsi dei demoni”.

Ritornano alle mente le suggestioni di certe immagini e della lingua di Camilleri, ma anche le recenti soluzioni cinematografiche del bellissimo bestseller di Stefania Auci.

Si ride di gusto di fronte agli sputi di La Ciura, “segno di salute mentale”.

“Io non ho nessun catarro, non tossisco, io sputo per disgusto per quello che sto leggendo. Sputi simbolici e altamente culturali”.

Si ride di fronte ai ricci di mare, simulacri di organi femminili, che il professore mangia senza limone, per poi farsi scivolare da sotto le palpebre avvizzite due lacrime.

“Voialtri, sempre con i vostri sapori accoppiati! Il riccio deve sapere anche di limone, lo zucchero anche di cioccolata, l’amore anche di paradiso!”.

È una ricerca minuziosa, attenta, scrupolosa per ogni parola del testo, quella che conduce Zingaretti al racconto dentro al racconto e alla rimembranza dell’antico amore giovanile per la sirena da parte del suo protagonista.

La sedicenne Immortale sirena dalla “bestiale gioia di esistere, una quasi divina letizia”. Dal “profumo mai sentito, un odore magico di mare”. Dalla voce che pare un canto. Il canto delle sirene della classicità non è altro che la loro voce, confida la Ciura.

Non c’è nessun artificio nella lettura di Zingaretti, nessun videomapping, nessuna scenografia. Non servirebbero. Solo un leggio e il fondale della notte. Bastano le sue emozioni, la sua voce. E il contesto eccezionale dell’anfiteatro a far vivere l’amore tra i due giovani, il mortale studioso di greco e l’amante millenaria di marinai, naufraghi, principi.

Al termine di una serata magica, Luca Zingaretti ha voluto omaggiare tutte le donne con una delle liriche più conosciute di Eugenio Montale, dedicata alla moglie Drusilla Tanzi, affettuosamente soprannominata Mosca, deceduta nel 1963, “Ho sceso, dandoti il braccio”, scritta nel 1967 e che fa parte della sezione Xenia II della raccolta Satura.

“Grazie per questa meravigliosa serata, grazie agli organizzatori, grazie alla luna, che ci ha dato una mano a creare una magia. Ogni volta che leggo questa storia, che è una storia d’amore, mi faccio un regalo e il regalo è leggere una poesia d’amore, la mia preferita- ha concluso- Andrà particolarmente bene perché è un periodo in cui tutti quanti siamo bisognosi di un po’ d’amore. È anche un modo per congedarvi da voi, perché causa Covid non potrò ricevere chi vorrà venirmi a salutare in camerino. La poesia ci sta bene per un congedo da voi, è il tributo di un uomo alla propria donna che gli è stata accanto tutta la vita”.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

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