Nel segno di Kanun. Lo spettacolo crossmediale della Compagnia Chierici Cicolella al Teatro della Polvere

by Enrico Ciccarelli

Molto ardito e molto impegnativo l’esperimento crossmediale di «Showtime», lo spettacolo che il foggiano Luca Cicolella e il genovese Igor Chierici hanno portato in scena nel piccolo e accogliente spazio del Teatro della Polvere di via Nicola Parisi. I due attori concludono in teatro una vicenda che si è snodata per le cinque puntate di una miniserie trasmessa dall’emittente genovese Primocanale e visibile anche su YouTube. La produzione della Compagnia Chierici-Cicolella è infatti sostenuta dal Teatro Nazionale di Genova e dalla citata Primocanale.

Un tentativo ambizioso che si muove fra modernità e tradizione quanto ai veicoli di diffusione utilizzati e che non casualmente propone un plot in cui la contraddizione fra contemporaneo e arcaico, fra smarrimento valoriale e radicamento etnico, è centrale e ineludibile. Cicolella e Chierici, accomunati dall’età (sono entrambi classe 1987) e da un duraturo sodalizio artistico, hanno concepito «Showtime» in tempo di pandemia, e il testo è anche documento della lunga sofferenza che l’età del Covid ha riservato a tutto il mondo del teatro e dello spettacolo dal vivo. L’urto fra il giovane albanese Adrian (interpretato da Cicolella) e l’influencer e conduttore radiofonico Filippo è anche, in controluce, l’esilio degli attori costretti a recitare in smart working.

La trama, ispirata anche ad alcuni fatti di cronaca, partecipa del thriller e del film d’azione. C’è un delitto, un sequestro, la ricerca di una colpa e di una verità; ma c’è soprattutto un conflitto di civiltà, tra la prospera e fatua realtà dei social network e delle loro relazioni virtuali e il vincolo del Kanun, l’arcaico diritto consuetudinario dell’interno montuoso dell’Albania, il più impermeabile alle dominazioni straniere, con i suoi foschi rituali di vendetta e di sangue.

Adrian è sospeso tra l’amicizia e la consuetudine con Filippo, l’amore per la sua patria di adozione e il richiamo dell’onore, che gli impone di vendicare nel sangue la morte di suo fratello Ander, colpendo i parenti dell’assassino fino al terzo grado di parentela.

È la Besa, l’onore degli uomini che impone loro di tener fede alla parola data, pena la perdita di autorevolezza individuale e il disdoro della sua famiglia. Una coerenza che deve tenere conto della giustizia, che non può procedere come una semplice faida di sangue ma trovare equilibrio e proporzione. Per questo la ricerca di Adrian sull’esatta dinamica e la reale motivazione della morte di Ander (ufficialmente ucciso durante una rapina) è fondamentale e non ammette deroghe.

L’atto unico che conclude la vicenda è caratterizzato da un finale aperto, quindi non c’è rischio di spoiler; ma l’atto drammaturgico è interamente costruito sull’urto di civiltà, sul tormento di due amici che realizzano, ciascuno per il proprio verso, l’impossibilità di comprendersi per l’eccessiva distanza dei rispettivi codici concettuali e lessicali.

Nella nostra umile opinione, l’inizio della pièce è leggermente sopra le righe, con un eccesso di volume e di concitazione da parte di entrambi (forse adusi a spazi scenici più ampi); poi, però, prese le misure, sia Cicolella che Chierici sono molto efficaci nel disegnare luci e ombre di personaggi ugualmente anche se assai diversamente tormentati. L’assoluta originalità della formula comporta necessariamente dei pedaggi: la parte teatrale è a grandi linee comprensibile anche se non si è vista la miniserie, ma in questo caso non si colgono snodi piuttosto importanti sia dal punto di vista della trama che da quello psicologico. La via tracciata, però, è davvero molto interessante. Siamo convinti che Cicolella e Chierici proseguiranno su questa strada dell’ibridazione dei generi. Immaginiamo che sia anche per loro una questione di Besa. Attendiamo con curiosità.

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