Nicola Lagioia e Gidon Kremer Trio per un’altra serata-gemma di Musica Civica. La bellezza rende migliori

by Enrico Ciccarelli

Volendo trovare un difetto al nono appuntamento di Musica Civica 2023, che domenica 3 dicembre ha offerto al pubblico del «Giordano» di Foggia la conversazione con Nicola Lagioia su «Dove nascono le storie» e il concerto del Gudon Kremer Trio, l’unica cosa che ci viene da dire è che è un peccato che sia il penultimo. Anche se quest’anno la rassegna ideata da Gianna Fratta e Dino De Palma, con quest’ultimo che ne ha curato la direzione artistica, ha avuto in questa edizione due appuntamenti più del solito, noi vorremmo durasse di più, tanto sono arricchenti e gradevoli le tappe di questa manifestazione che dal lontano 2009 rappresenta per la nostra città un motivo di orgoglio.

La comunicazione di Nicola Lagioia è stata davvero persuasiva e affascinante. Camicia bianca senza cravatta e giacca bordeax, gestualità meridionale e voce non impostata, lo scrittore pugliese ha fornito venticinque minuti abbondanti di colta, brillante, coinvolgente dichiarazione d’amore per la letteratura. Lagioia  è anche un provetto conduttore radiofonico (è uno degli animatori di «Pagina Tre», la rassegna di RadioTre dedicata alle pagine culturali ei quotidiani), nonché una delle più autorevoli figure del panorama editoriale italiano (vuoi per il settennato trascorso come direttore della Fiera del Libro di Torino, vuoi come curatore della collana «Nichel» di Minimum Fax. Non sorprende, quindi, né che il suo discorso sia stato di didascalica linearità e accessibilità, né che abbia spaziato da Ungaretti a Pessoa, da Borges ad Agostino d’Ippona a Roberto Calasso, lo scrittore che fu il geniale direttore di Adelphi.

Intrigante e non banale l’itinerario tracciato dal vincitore del premio Strega 2017 sul passaggio dall’oralità alla scrittura, con la conseguente separazione fra chi scive e chi legge e quello, ancora più tacito, dalla lettura a voce alta a quella silenziosa e meditabonda. Una letteratura che non cambia il mondo, che è intimamente antiplatonica, ossia parte sempre dal particolare e mai dalle idee pure. Letteratura che ha come caratteristica saliente la menzogna, come in una celebre osservazione di Nabokov, che vale la pena di riportare per intero: «La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzino corse via dalla valle di Neanderthal inseguito da un grande lupo grigio, gridando “Al lupo, al lupo”: è nata il giorno in cui un ragazzino, correndo, gridò “Al lupo, al lupo” senza avere nessun lupo alle calcagna. È del tutto incidentale che il poverino per aver mentito troppo spesso alla fine sia stato divorato da un lupo in carne e ossa. Il punto importante è che tra il lupo della prateria e il lupo della bugia esiste un intermediario scintillante: quell’intermediario, quel prisma, è l’arte della letteratura».

Come tutte le risposte acute, anche quelle fornite da Lagioia sul perché della letteratura sono un’esca per nuove domande. Se la letteratura serve a renderci migliori, ma solo per il ristretto intervallo di tempo in cui la pratichiamo, cioè solo mentre leggiamo, a che serve parlare di letteratura? Perché è così importante mettere in comune o in controversia quanto si è appreso in modo totalmente individuale ed effimero? Questione spinosa e degna di molte risposte. A parer nostro quell’effimera miglioria, quel supplemento di civiltà (e quindi di umanità) che la frequentazione degli scrittori, dei loro versi, dei loro romanzi, lascia in noi segni e semi: condividere, analizzare, lo si faccia nei gruppi di lettura, attraverso la mediazione di strumenti cartacei, televisivi radiofonici, oppure in un teatro a Musica Civica, è un tentativo di coltivazione di quei semi. Non  sempre fecondo, non sempre unificante, ma sempre prezioso. Quindi grazie, direttore.

A seguire, e meravigliosamente introdotto dallo stesso Lagioia, un concerto di livello eccelso: quello del Gidon Kremer Trio, un ensemble baltico capitanato dal 76enne violinista lettone Gidon Kremer, a giusto titolo considerato fra i migliori al mondo. Con lui il suo connazionale Georgijs Osokins, giovane ma già apprezzatissimo pianista, e la bravissima violoncelista lituana Giedre Dirvanauskaite. Musicisti di eccezionale talento, che hanno sciorinato, di fronte a un pubblico coinvolto ed entusiasta, brani di enorme fascino, fra i quali la Sonata in mi bemolle maggiore per violino e pianoforte K481 di Wolfgang Amadeus Mozart, opera della piena maturità del genio di Salisburgo (è della fine del 1785) che Kremer e Osokins hanno eseguito con maestria, passando dal brioso «molto allegro» al lirismo dell’«adagio» alla leggerezza del conclusivo «allegretto». Con l’arrivo della violoncellista si è passati al monumentale «Trio elegiaco» di Serghei Rachmaninov, seconda composizione con questo nome del grande pianista e musicista russo, che con questo brano ebbe in età giovanile la sua consacrazione (fu eseguto per la prima volta nel gennaio del 1894, quando il suo autore aveva solo vent’anni).

Spartiti ed esecuzioni sublimi che, forse anche a causa della precedente comunicazione letteraria, hanno comportato più di una suggestione. Bianco di antica saggezza appariva Kremer, quasi un maestro zen, intento a far vibrare il suo strumento con delicatezza e misura, in quella perfezione senza sforzo che solo i grandissimi posseggono. Di fronte a lui l’appassionata Dirvanauskaite gestiva il suo violoncello come una madre orgogliosa farebbe con suo figlio. E più sul fondo, il bel giovane Osokins volava con le mani sul pianoforte come intento ad un gioco, pienamente dimentico dello spazio e del tempo. Un quadro presepiale completato dalla figura ieratica e composta di Gianna Fratta, presente sul palco nell’umile ruolo di addetta a girare per il pianista i fogli dello spartito. Una lezione di umiltà di una delle maggiori direttrici d’orchestra italiane (che il prossimo dieci marzo dirigerà nientepopodimenoche alla Fenice di Venezia) che ci pare dica da sola perché e come l’arte, sia essa letteraria, visuale o musicale, ci renda migliori.

Ha collaborato Valentina Chiango

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