Oscar Wilde in chiave pop in scena al Teatro Giordano

by redazione

Un’intuizione molto felice quella del Teatro dell’Elfo Puccini, di portare in scena uno dei migliori lavori di Oscar Wilde L’importanza di chiamarsi Ernesto.

Va detto, a onor del vero, che purtroppo lo spettatore italiano perde un po’ il senso del gioco linguistico insito nel nome Ernest, che ha la stessa pronuncia della parola inglese earnest, colpa del solito problema della traduzione. Tutta la commedia gira intorno all’importanza di un nome, perchè in esso vi è racchiuso il nostro destino il nostro essere. Wilde, sferzante e disubbidiente ai falsi dettami imposti dalla società del suo tempo, mette però in luce come in realtà nessuno dei protagonisti sia veramente earnest cioè onesto, ma in fondo, ciò non conta perchè è più importante apparire che essere.

L’allestimento scelto dalla compagnia è di grande impatto, anzi, potremmo dire che basterebbe assistere a quest’opera per affermare con decisione che sì, il teatro contemporaneo è pop ( trattasi questa di una discussione molto in voga tra i critici teatrali).

Lo spazio  teatrale è bianco, luminoso, ha pochi elementi tutti ispirati alla London anni settanta, decisamente forse il periodo storico più adatto a rappresentare l’essenza dandy dell’opera wildiana, i costumi sgargianti, la recitazione (godibilissima) sopra le righe e molto queer, come si usa dire adesso.

La regia è affidata a Ferdinando Bruni, storico fondatore del Teatro dell’Elfo poi Teattro dell’Elfo Puccini, ed a Francesco Frongia (suo marito ndr).

Bravi gli attori, al punto che nonostante la durata dello spettacolo sia lunga, 140 minuti, nessuno spettatore ha manifestato segni di insofferenza, ma tra tutti spiccano sicuramente i personaggi principali della commedia: il giovane aristocratico Algernon Moncrieff e il suo vecchio amico Jack Worthing. , interpretati rispettivamente da  Riccardo Buffonini e Giuseppe Lanino. Da segnalare anche la performance di Ida Marinelli, nei panni dell’autorevole  e temutissima Lady Bracknell.

La trama è aderente alla versione originale, anche se ovviamente riscritta in chiave surreal – pop: i due protagonisti Algernon e Jack, , per poter vivere una vita al di sopra di ogni sospetto, creano un alter ego, facendosi chiamare rispettivamente Bunbry ed Ernest

L’attenzione si  accende soprattutto su Worthing, che abita in campagna, dove vive una vita irreprensibile, essendo tutore della giovane Miss Cecily Cardew, finge però di avere uno scapestrato fratello a Londra, il cui nome è appunto Ernest, per poter condurre una vita di piaceri. Da qui si snodano una serie di equivoci e di sorprendenti meccanismi drammaturgici, compresa una gratificante e risolutrice agnizione finale, che svelano tutta l’ipocrisia di una società perbenista, falsa e bigotta.

Alessia Paragone

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