Prima stagione di rilancio post Covid al Teatro dei Limoni contro l’isolamento. Galano: «Sul palco c’è un incontro, c’è complicità»

by Antonella Soccio

Prima stagione post Covid al Teatro dei Limoni di Foggia. Il primo appuntamento riporta in scena “L’isola di Kalpa”, scritto e diretto da Ts’ui Pen, uno spettacolo di avventura: di viaggi sottomarini, di amici, mappe e poteri soprannaturali, nei giorni 15 e 16 Ottobre. E c’è il ritorno alla scrittura di Leonardo Losavio con lo spettacolo “La strada”, che partirà per la tournée subito dopo il debutto. E come da tradizione, lo spettacolo di Natale sarà una produzione Teatro dei Limoni: “The place”, ispirato al film omonimo di Paolo Genovese, nell’adattamento e regia di Roberto Galano (dal 25 al 30 Dicembre e il 1 Gennaio).

C’è il gradito ritorno dell’amico Silvio Barbiero (Mare Alto Teatro di Padova) lo vedrà in scena con “Edipus” nei giorni 21 e 22 Gennaio. “Di un Ulisse, di una Penelope”, prodotto da Mutamenti / Civico 14 di Caserta, sarà in scena l’11 e il 12 Febbraio. E ci sarà in scena la compagnia calabrese Teatro Primo, direttamente da Villa San Giovanni, che porterà in Via Giardino lo spettacolo “Dora in avanti” nei giorni 25 e 26 Marzo. Aprile avrà un doppio appuntamento: l’1 e 2 sarà in scena lo spettacolo, selezionato al Roma Fringe Festival 2019, “Il signor Dopodomani – L’indicibile sproloquio di un condannato a vivere” prodotto dal Teatro dei 3 Mestieri di Messina; mentre, a chiudere la stagione sarà il Teatro dell’Osso di Napoli con le “Operette morali” di Leopardi nei giorni 15 e 16.

La stagione tocca tutta l’Italia con una rete di relazioni fra le varie compagnie dei teatri off. Esiste ancora la nuova drammaturgia, resiste ed è il meglio del teatro italiano secondo Galano.

«Quello che arriva nei teatri classici, nei comunali, è quello che è stato già inventato, masticato e commercializzato- spiega l’attore, regista e direttore artistico Roberto Galano a Bonculture- Lì nove volte su dieci arrivano le figurine, arriva qualche marchetta di grande attore che si siede e legge. Gran parte degli spettatori che frequentano quei teatri ha piacere ad indossare una calda pelliccia e a farsi la foto la star, ma non è quello il teatro, quello è intrattenimento».

«Il Covid ha dato una bella botta al teatro, al teatro nazionale in generale- continua Galano- poi noi siamo un teatro off e abbiamo sofferto molto di più. L’anno scorso abbiamo fatto degli spettacoli spot quando si poteva, una volta al mese, qualche mese è saltato e la cosa più difficile è che il pubblico un po’ si è disabituato. Quella sana abitudine di andare a vedere uno spettacolo, che è una cosa culturale, ma anche divertente che si fa per se stessi, è un po’ venuta meno. Abbiamo notato che d’estate all’aperto anche in periodo Covid si sentiva la voglia di tornare a teatro, d’inverno c’è titubanza, c’è una certa paura. Non a caso tanti spazi off in Italia hanno chiuso, noi abbiamo resistito, i nostri associati ci hanno sempre sostenuto, hanno lavorato tantissimo e questo inverno abbiamo pensato che questa doveva essere la stagione del rilancio. Sono 21 anni di Teatro dei Limoni. Abbiamo pensato ad una stagione sia per famiglie sia per adulti molto forte, da ripartenza».

Con il rialzo dei contagi non si può ripensare ad una nuova formula teatrale magari ispirata al teatro greco con spettacoli al pomeriggio e al mattino all’aperto? Perché rimanere ancorati al buio e al chiuso?

«Il buio è il teatro, il teatro si fa in teatro, è vero ci sono i site specific ed io ne sono appassionato. Ma il teatro estivo è intrattenimento, il vero teatro è il teatro invernale, al buio, sulle poltrone, con le luci, con la magia di un racconto teatrale. Se bloccano anche stavolta inutilmente le attività io prevedo una rivoluzione, anzi quasi la spero».

La vostra stagione è anche una rete di solidarietà con altri teatri italiani, non è così?

«Sì, si creato un giro di scambio in cui ognuno tiene il suo pubblico ma l’ospitalità resta fondamentale.

Il senso è quello di unire i nuovi drammaturghi e la sperimentazione dei nuovi linguaggi. Scambiarsi le esperienze e il tipo di pubblico per aiutarsi, sfruttando le date buco e avere il sostegno degli altri colleghi. Noi quando saremo in Sicilia, andremo anche a Crotone e Villa San Giovanni».

In questi anni, col Comune di Foggia sciolto per mafia, hai deciso di cavalcare poco l’onda legalitaria? Come mai? Non ti senti adatto al teatro civile e sociale?

«Abbiamo fatto qualcosa, come “Dichiarazione spontanea” di Cristian Di Furia, un monologo che prendeva un po’ per i fondelli in giro questo modo di fare attivismo delle fiaccolate e della retorica della legalità. Io non amo il teatro sociale credo che sia speculazione, questo non significa che non lo farei, ma lo vedo come un escamotage per attori mediocri per avere pubblico. È facile recitare gli eroi e portare il documentario sul palco. Se non sei Marco Paolini è un escamotage per non prendersi il rischio di una narrazione. Cosa differenzia il teatro dai documentari? Io ho recitato nello straordinario

Sulla mia pelle, lì ogni parola era estratta dai verbali. Ma per me il teatro deve essere fascinazione, affabulazione catarsi. Ben venga il teatro civile che scuote le coscienze, ma noi ci preoccupiamo delle anime. Il bello aiuta a diventare migliori».

Si diventa migliori da piccoli, qual è il vostro rapporto con le scuole?

«È buono, pochissime scuole hanno il teatro, ma alcune vogliono riprendere le uscite didattiche, con i matineè, il teatro va visto in teatro, alcune insegnanti si sono ringalluzzite e sono interessante a portare le scolaresche. Tornare a lavorare con i giovani e i giovanissimi è importante. L’isolamento ha ucciso la fantasia e ha fatto abituare tutti agli schermi, al catalogo. Il teatro è un un incontro c’è una complicità, nel catalogo si sceglie qualcosa che è già. L’intenzione è la chiave del teatro, e anche per un attore, per un artista sentirsi cercato sentirsi guardato è un un valore aggiunto».

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