“Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello”: il restyling a scena aperta della stanza degli specchi al Teatro Kismet

by Fabrizio Stagnani

Quando Strada S. Giorgio Martire la si trova affollata di macchine, non appena si è superato il ponticello che scavalca la linea ferroviaria, è un buon segno, soprattutto se in cartellone c’è la replica di uno spettacolo, neanche facendo riferimento al fatto che tutto questo possa capitare in un periodo di panico collettivo globale da crisi epidemiologica.

Sabato 28 febbraio, così come il giorno precedente, all’appena da poco finito di ristrutturare Teatro Kismet era in programma “Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello”.

Si, il titolo è proprio tutto quello compreso fra le virgolette. Tocca fare una precisazione anche sul contenitore che ospitava l’opera. In genere agli assidui frequentatori di un luogo, specie se di cultura, oltre che di forchetta, gli ammodernamenti non piacciono, ci si affeziona anche e soprattutto ai difetti, ma in questo caso si può parlare di un restyling veramente ben fatto.

Niente più improvvisate panche di legno allineate davanti le prime file, niente più seggiolini cigolanti sulla gradinata, un ambiente addirittura all’apparenza più voluminoso, confortevole e contemporaneo, in grado anche di accogliere dinamiche sceniche più moderne, esattamente come accaduto per lo spettacolo realizzato dall’Elsinor Centro di Produzione Teatrale.

Pure se il suo nome è diventato parte integrante del titolo, di lui, Pirandello, resta giusto la lisca, soprattutto i concetti e qualche stralcio di testo originale. All’entrata scena aperta con parte degli attori già sul palco a gigioneggiare sino al rintocco del terzo scampanellio, come se fosse un salva schermo di un monitor, c’è chi finisce di cucire pezzi di scenografia e chi bricconeggia con il collega al tal punto da far partire scappellotti distensivi, nonché c’è chi seduto ad una scrivania armeggia su di un computer dal quale diffonde musica ed immagini proiettate sul telo bianco disteso sul fondale. Importante perno, quest’ultimo, del “matrioscale” sistema scenico. Non vanno giù le luci ed inizia. 

Un dietro le quinte di uno spettacolo che era già un dietro le quinte, impestato di altri livelli narrativi che rimandano allo stesso. Nuove stratificazioni su stratificazioni per dire quello che già benissimo diceva quasi cento anni fa il buon agrigentino Luigi in chiave moderna. L’impatto fra vero e reale, l'”uno e centomila”, il triangolo tra vita, forma e maschera, principi che vengono tutti sviscerati metateatralmente, quando prima li si doveva cogliere romanticamente nei sottotesti matrice.

Due i personaggi registi, quello del testo originale che incontra i sei in cerca d’autore e quello che guarda tutti loro nella nuova versione insieme al suo staff. All’epoca l’opera fece già scalpore, in quanto percepita come una rottura all’impostazione canonica di teatro, ora in questa rinnovata veste si va a scomporre quello che nel tempo è diventato un grande classico. Astioso manomettere un manifesto, ma qui di fatto ci si riesce in una formula che avvince e diverte. Concetti consolidati rapportati alla nuova realtà, quella digitale delle ancor più moltiplicate caleidoscopiche rappresentazioni del se. Nuovi linguaggi con i quali intraleggere le relazioni tra finzione, verità sfuggente e vita confrontata con l’arte. E quindi sul palco vanno a grande schermo le ricerche su Google di parole chiave pronunciate dagli attori, zoom di immagini che rimarcano stati d’animo, ma anche dirette social dello spettacolo stesso. Tutti escamotage utili a far entrare l’attonito pubblico in una stanza degli specchi, più livelli che ribadiscono lo stesso. Ragionando per assurdo, Pirandello a vedersi smorfato il suo lavoro da “Pontame” di Jenn Morel selezionato a tutto volume su YouTube probabilmente avrebbe avuto un sussulto, ma, chi lo sa, si sarebbe potuto divertire a veder entrare in scena altri sei personaggi per rapportarsi a quelli già lì in cerca d’autore, per non parlare di del passaggio tra le ultime quinte delle gambe di due mastodontici pupi che amoreggiano. Gli attori sul palco prima sette, con quelli a gironzolare fra il pubblico dieci, poi dodici, per arrivare ai diciotto in fila a stingersi le mani per gli inchini agli applausi finali. Le luci cambiano due volte, dallo sparato in tutta la passano a metà per sottolineare la disperazione di un personaggio e poi tutte giù per un’eccentrica esibizione canora. Quasi usati tutti gli strumenti possibili per arrivare ad un ribadito mantra, “Finzione, realtà…fanculo!”.

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