Tre ragazze irresistibili. La Bottega dell’Attore rivisita Dario Fo

by Enrico Ciccarelli

Sapientemente cuciti sui talenti attoriali e mattatoriali di Franca Rame, i monologhi di Tutta casa, letto e chiesa, scritti a partire da quella specie di sequel del Sessantotto che fu il 1977, sono stati una pietra miliare sia per il teatro italiano (sono stati a lungo e forse sono tuttora l’opera di Dario Fo più rappresentata, sia in Italia che all’estero) che per il movimento femminista, che in quegli anni combatteva nel nostro Paese battaglie decisive per l’emancipazione e la parità di genere.

La scommessa di Pino Bruno e della foggiana Bottega dell’Attore è stata quella di scegliere tre testi che hanno resistito all’usura del tempo, ripulirli dai tic linguistici della loro epoca e affidarli a tre ragazze irresistibili, diverse per età, esperienza teatrale, stile interpretativo, ma tutte pienamente all’altezza del compito.

Apre le danze Marina Savino, che dà corpo, voce e spigliatezza alla protagonista di «Abbiamo tutte la stessa storia», riflessione a cuore aperto sulla sessualità, la maternità consapevole, il diritto all’aborto. Impressiona la strettissima attualità del monologo. Lo slogan «Io sono mia» che echeggiava nei cortei di quel tempo è ben lontano dall’essersi realizzato, malgrado l’apparente liberazione del costume. È ancora la donna a doversi occupare delle precauzioni, a dover ridurre le ansie di prestazione del maschio, a dover tacere, sfumare, accantonare le proprie esigenze. Savino ce lo racconta con brillante diversità di registri, dall’ironico al caustico (il copione bandisce qualsiasi piagnoneria).

Nel secondo monologo Carine Bizimana, burundese di nascita e foggiana d’adozione, al debutto assoluto su un palcoscenico, ha fornito una performance sbalorditiva per espressività e padronanza ne «Il risveglio», confusionario e caotico ridestarsi di una giovane madre operaia che soggiace al doppio sfruttamento lavorativo e domestico nell’affannosa rincorsa alle piccole e grandi incombenze del quotidiano. Si ride molto, per il perfetto ingegno del testo e l’azzeccata interpretazione, ma il retrogusto è amaro, perché in realtà quell’affannarsi è una scena quotidiana fin troppo frequente nella vita di troppe donne.

A chiudere, il monologo più famoso di tutti, «Una donna sola», nel quale Fo, anche in trasparente omaggio al grande Eduardo, mette in scena una donna che, come il Pasquale Loiacono di «Questi fantasmi», parla con una invisibile dirimpettaia. Maurizia Pavarini è magistrale nel dipanare il progressivo impazzire di una casalinga borghese e della sua condizione segregata e oppressa, condizione che cerca di nascondere fra perbenismo e chiacchiera disinvolta, mentre il progressivo montare della sua rabbia porta al clamoroso scioglimento finale. Prova d’attore impegnativa, che Pavarini conduce in porto con maestria e sicurezza.

La regia di Pino Bruno è tanto poco appariscente quanto efficace. La collaudata esperienza dell’uomo di teatro, che immaginiamo indispensabile punto di riferimento per la prova delle tre attrici, specie dal punto di vista del ritmo narrativo, contribuisce al pieno successo di una serata che ha visto il Teatro del Fuoco pieno in ogni ordine di posti. Menzione d’onore per Giovanna Greco, che ha diretto il traffico preliminare, anche per illustrare le finalità benefiche della serata, con parte del ricavato destinato al popolo ucraino. Sugli scudi, comunque, Savino, Bizimana e Pavarini, in ordine di apparizione. Bene, brave, tris.

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