Uccelli, libertà e cambiamento sono nelle parole e nei gesti di ragazzi e ragazze con la Bottega degli Apocrifi

by Antonella Soccio

“Mentre c’è tanta gente che passeggia, noi siamo qui a costruire il paradiso. Amico vieni con me, ma non farmi fare brutta figura”.

Due ateniesi, Pisetero ed Evelpide, interpretati da Luigi Tagliente e Bakary Diaby, lasciano la patria per sempre, alla ricerca di un luogo dove sia possibile vivere senza l’incubo dei processi. L’evasione è il contrassegno di Uccelli, la commedia di Aristofane del 414 nel V secolo avanti Cristo, riportata in scena a Manfredonia, col lavoro attoriale di comunità della Bottega degli Apocrifi, per una anteprima della stagione teatrale del Teatro Lucio Dalla. L’adattamento, firmato da Stefania Marrone per la regia di Cosimo Severo, è di quelli molto ambiziosi ed ha già calcato le scene in Spagna, ricevendo moltissimi apprezzamenti.

All’indomani dello scioglimento del consiglio comunale della città del Golfo per infiltrazioni mafiose, lo spettacolo ha assunto una nuova forza con i 160 ragazzi e ragazze, bambini e bambine sul palco ad interpretare gli Uccelli, personificazione della libertà e al contempo della purezza dell’infanzia e dell’adolescenza.  

L’incomparabile fascino degli Uccelli, nell’originale greco, nasce soprattutto dalla fusione di una travolgente invenzione fantastica e di un’ispirazione lirica, che trasforma il canto delle creature alate nel simbolo stesso della poesia, dalla musicalità lieve e sublime. Nel testo greco Aristofane fa uso di onomatopee per evocare un’esistenza libera e beata. Scritta durante la spedizione in Sicilia, era già infatti l’epoca della disillusione. Occorreva rifugiarsi nell’utopia e nell’unico dono che gli dei hanno concesso all’umanità per salvarsi dai fantasmi, ossia la parola poetica.  

Nell’adattamento manfredoniano, resta la magia del canto degli Uccelli, che si muovono liberi e cantano una filastrocca africana, tribale e profondamente allegra. I ragazzi e le ragazze all’inizio dello spettacolo, quando i due ateniesi hanno fatto il loro incontro con l’Upupa (Mamadou Diakite), uno spassosissimo cantante rap in un night allucinato, irrompono da ogni lato del teatro per invadere lo spazio dei corridoi e il palco, sibilano il loro verso, vivono la felicità delle loro ali forate sulle magliette colorate, si muovono in maniera aggraziata, senza condizionamenti e regole, ma in una armonia collettiva che crea una fortissima energia vitale. Sembra di essere catapultati nell’atmosfera di Hair, un’età dell’Aquarius moderno, dove solo la pubertà innocente può davvero cambiare le cose. Let the Sunshine in. Il mondo degli uccelli è migliore. Aperto, plurale, accogliente, vivo.

Ma è un’illusione, Pisitero propone ai volatili la costruzione di un’immane città, a metà tra il cielo degli Dei e la terra degli uomini, fortificata da mura e isolata da documenti e regole assurde. Gli Uccelli si trasformano in esseri dark, indossano la felpa nera della paura. Da liberi, caotici e creativi, si scoprono irrigimentati, come una milizia. Diventano aggressivi, minacciosi, accusano gli altri e lanciano slogan. Uno su tutti: prima gli uccelli. Così simile a #primagliItaliani o #Americafirst.

In questa trasformazione, anche il pubblico rinviene dentro di sé la fascinazione che può derivare dall’ordine. È impercettibile, ma quando i nuovi uccelli, divenuti corvi sinistri sfilano militarescamente, si prova un brivido estetico. Il potere del capo, l’asservimento, la disciplina, la guerra che hanno in sé un loro incanto perverso ed eversivo. Le felpe nere marciano, la forza dell’uguaglianza demagogica, dell’omologazione seduce. È facile cadere, è questo quello che ci vogliono dire gli Uccelli. E quello che nel V secolo avanti Cristo scrisse già Aristofane. I tiranni sono sempre dietro l’angolo. La consapevolezza arriverà soltanto quando alla mancata libertà si unirà anche la perdita mortifera della vita. Pisitero, ormai un novello gerarca, dittatore che si crede Zeus, mangia un uccello.

Da qui, la ribellione. E lo stravolgimento della commedia di Aristofane. Nel laboratorio di comunità con i ragazzi, Cosimo Severo e Stefania Marrone si sono trovati dinanzi ad una decisione: come far finire lo spettacolo? Lo hanno deciso loro, i giovani interpreti, che hanno scelto un finale con rivoluzione pacifica: tutti insieme si tolgono la felpa nera gettandola in terra. Un gesto non violento di disubbidienza, per tornare a cantare la nenia composta da Bakary Diaby, in una esplosione di gioia e vitalità giovanile. Tornano il colore, la libertà, l’urgenza vitale, la casualità.

Noi di bonculture abbiamo rivolto qualche domanda a Stefania Marrone della Bottega degli Apocrifi alla fine dello spettacolo.

Come nasce il verso degli uccelli?

È una canzone di Bakary. “Mentre c’è tanta gente che passeggia, noi siamo qui a costruire il paradiso. Amico vieni con me, ma non farmi fare brutta figura”. Prima era la canzone del training del laboratorio, un pezzo alla volta è diventata il cuore del laboratorio, fino a diventare il senso dello spettacolo.

Cosa è rimasto del testo di Aristofane con un’attualizzazione così importante e forte?

Più che stravolto, abbiamo cercato di rendere più accessibili dei passaggi tagliando per esempio delle scene che si ripetevano, come l’arrivo dei messaggeri. Noi abbiamo cercato di tirare una linea drammaturgica di coerenza, lavorando sulla semplificazione. Lavorando con questo numero di ragazzi era necessario semplificare. Tutto il cuore del testo è Aristofane, le parole che rivolgono al pubblico, tranne due battute, sono di Aristofane. Prima gli uccelli è di Aristofane, ed è incredibile. Il finale è diverso. Noi ci siamo interrogati col gruppo di ragazzi e ci siamo detti: la facciamo finire col matrimonio di Pisitero con Ragione? Gli Uccelli come finiscono? Noi abbiamo voluto andar fino in fondo: mangiarsi gli uccelletti nella città degli uccelli significa mangiare uno di loro. Naturalmente il più debole, il più piccolo. Quella scena era molto forte anche per i ragazzi, quando l’hanno vista e recepita, è diventata una molla per reagire. Come rispondiamo a questa cosa? C’è stato un laboratorio nel laboratorio. Che fanno gli Uccelli? Lo ammazziamo? Ce ne andiamo. Una ragazza ha detto: lui odia la democrazia e noi dobbiamo essere il più possibile democratici fino a quando lui non se ne va, arrivando alla congettura dell’utopia. Alla fine decidono di riprendersi la libertà in quel modo: togliendosi il marchio.

Lo spettacolo ha tanti rimandi al sovranismo, li avete cercati?

Sì, ma è fondamentalmente Aristofane, soprattutto sul fronte della banalizzazione delle parole. È storia antica: Aristofane la dava come parodia, noi siamo andati oltre, noi l’abbiamo vista in scena.

Manfredonia ha vissuto decenni come una città partito, come la Nubicuculia di Aristofane. A metà tra gli uomini e gli dei della dirigenza partitocratica. Oggi vive la ferita dello scioglimento. Quanto questo spettacolo cambierà i destini dei ragazzi e delle ragazze?

Per certi versi, Manfredonia è una città dove mancano tante tipologie di presidi. Noi ci siamo e molto spesso ci occupiamo di fare incontri sul perché i giovani partono, sulla stagione di prosa. Proviamo a svolgere una funzione che va oltre la specifica teatrale. Però quella specifica, che ci guida, è la funzione teatrale. Siamo una compagnia teatrale e facciamo teatro coi ragazzi. Cercando di perseguire la qualità artistica, un pezzo alla volta ci accorgiamo che il nostro perseguire la qualità artistica corrisponde anche ad un bisogno sociale. Secondo me, questo spettacolo ha dato ai ragazzi degli strumenti. Sono tra gli 11 e i 19 anni tutti insieme, in strada insieme, quando si incontrano e si riconoscono, si vedono delle sinergie. Questo è il cambiamento che noi possiamo mettere in atto.

C’è una energia fortissima tra di loro, lo spettacolo è finito ma continuano a recitare, a stare qui a teatro…

Sì, loro stanno. È questa la parola. Presidiano questo posto insieme a noi. Credo che quello che noi possiamo fare per loro è questo, quello che loro possono fare per noi è meraviglia infinita.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.