Umberto Orsini e Franco Branciaroli «Ragazzi irresistibili» di nome e di fatto. Gli assenti al «Giordano» hanno perso davvero molto

by Enrico Ciccarelli

Da «A piedi nudi nel parco» a «La strana coppia», da «Appartamento al Plaza» a «California Suite», Neil Simon, longevo e prolifico commediografo statunitense, è un autentico monumento di Broadway e di Hollywood. Fra le gemme più luminose del suo diadema c’è questo «I ragazzi irresistibili», discutibile traduzione italiana dell’originale              «The Sunshine Boys», scritto nel 1972 (ma l’azione scenica si svolge nel 1959) e portato sul grande schermo tre anni dopo per la regia di Herbert Ross, con Walter Matthau e George Burns come protagonisti.

La stagione di prosa del Teatro «Giordano», allestita dal Comune di Foggia in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese, ne ha fornito una versione extralusso grazie al Teatro degli Incamminati, la Compagnia Orsini e il Teatro Biondo di Palermo. E grazie a una coppia di attori che non è esagerato definire stellare, come quella formata da Franco Branciaroli e Umberto Orsini. Due vispi giovanotti (Branciaroli compirà 77 anni a maggio, Orsini 90 martedì dopo Pasqua) che fanno letteralmente cantare un testo esemplare di quell’umorismo agrodolce, quei dialoghi serrati ed esilaranti, quelle venature di nostalgia e di malinconia yiddish che sono tipiche della scrittura di Simon.

La storia, scoppiettante, è di quelle antichissime: un duo comico (composto da Willy Clark e Al Lewis, e ispirato agli attori reali Joe Smith e Charles Dale) sopravvissuto al suo successo, con un’amicizia pluriennale trasformatasi in avversione, è da tempo sul viale del tramonto, con uno (Lewis) ormai pensionato e l’altro che cerca di restare sulla breccia con crescente insuccesso. I «ragazzi irresistibili» hanno l’insperata occasione di essere invitati da un grande network televisivo a una serata commemorativa del vaudeville, il genere che li aveva resi celebri, reintepretando per l’ultima volta lo sketch migliore del loro repertorio. Ma le reciproche idiosincrasie, il tempo passato, la ruggine degli anni impediranno questo passo d’addio, consegnando i vecchi attori a un comune declino.

Delizioso negli intarsi con cui Simon spiega cosa «funziona» o no nella comicità, il testo illustra come già nel 1972, ben prima di Techetecheté, la televisione avesse una vocazione alle operazioni-nostalgia. La regia di Massimo Popolizio è puntuale e filologica, e si avvale delle scene di Maurizio Balò e dei costumi di Gianluca Sbicca, con Carlo Pediani alle luci e Alessandro Saviozzi al suono. Di buon livello anche il cast dei comprimari, che annovera Flavio Francucci (il nipote di Willy), Chiara Stoppa (la proterva infermiera McIntosh), Eros Pascale ed Emanuela Saccardi.

Che dire di Branciaroli e Orsini? Diciamo che non è un caso che il primo abbia recitato –fra gli altri- con Carmelo Bene, sia stato diretto da gente come Luca Ronconi e Maurizio Scaparro e sia stato l’inteprete prediletto da Giovanni Testori. Ed è ancora meno casuale che il secondo abbia esordito con Romolo Valli e poi abbia recitato –in teatro, a cinema, in tv- con Paolo Stoppa e altri mostri sacri della scena italiana. Annotiamo che Orsini, nella sua interpretazione del candido e un po’ rimbambito Al Lewis, gli presta una vocina stridula che è una trasparente citazione di Stan Laurel (anche loro, Stanilio e Ollio, combatterono contro il declino e la senescenza dopo aver fatto ridere folle planetarie). Considerata l’età veneranda, si sarebbe potuto credere che fosse quella la sua voce vera, ma non è così: Orsini, insieme a una bellezza e a un magnetismo straordinari, conserva anche la sua bella voce baritonale.

Meritatissimi, quindi, gli applausi scroscianti degli spettatori. Assai meno meritato e piacevole il fatto che il teatro presentasse larghi vuoti. Certo, uno spettacolo nel bel mezzo della settimana pone agli spettatori qualche problema; forse, malgrado l’encomiabile lavoro dell’Ufficio Stampa del Comune, si potrebbe fare qualche sforzo di pubblicizzazione in più; magari si potrebbe inaugurare una politica di prezzi ridotti più audace, anche per favorire gli spettatori più giovani o quelli delle scuole di teatro. Resta comunque indiscutibile che mai come in questa circostanza, gli assenti hanno avuto torto. Spiace sinceramente per loro.

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