“Un borghese piccolo piccolo” di Massimo Dapporto. “Racconto molto di me con Giovanni Vivaldi”

by Antonella Soccio

Giovanni Vivaldi è un italiano medio, che è pronto a tutto per favorire la carriera del figlio. Familismo, qualunquismo, egoismo e una giustizia fai da te sono al centro del celebre romanzo di Vincenzo Cerami “Un borghese piccolo piccolo”, il cui adattamento con Massimo Dapporto per la regia di Fabrizio Coniglio e le musiche di Nicola Piovani, sarà in scena stasera e domani al Teatro Umberto Giordano di Foggia per la stagione di prosa in collaborazione col Teatro Pubblico Pugliese.

A circa 45 anni dall’uscita del libro, un capolavoro di scrittura e di racconto del Paese, quegli stessi temi restano immutati. La voglia di emergere e di servire il potente di turno, la raccomandazione senza merito, la violenza brutale della vendetta.

C’è nello spettacolo la giornata di pesca al capanno e il ritorno con la macchinetta, la loro utilitaria.  

“La scena che è un vero muro dello spettacolo è l’uccisione del figlio. Fino a quel momento la storia suscita qualche risatina, qualche sorriso, fa ridere il rapporto di Vivaldi col ragazzo, fa ridere la sua ignoranza nei confronti della massoneria, ci sono tante cose che suscitano la risata, ma improvvisamente con gli spari e la morte del figlio, cambia il registro dello spettacolo, quello che poteva essere divertente, improvvisamente cambia. Non si sente più un fiato tra il pubblico, c’è un silenzio che colpisce”, spiega il grande attore italiano che dà il suo corpo a Vivaldi.  

Noi di bonculture lo abbiamo intervistato.

Massimo Dapporto, con Un borghese piccolo piccolo lei è in scena con grande successo ormai da più di 2 anni. C’è qualcosa che nel corso delle varie recite ha scoperto dello spettacolo e del personaggio che non aveva contemplato? C’è qualcosa che il pubblico le ha fatto rinvenire di Giovanni Vivaldi?

Quando si va in scena si deve arrivare abbastanza preparati, se non al 100%, al 90% si deve essere preparati. Noi ci siamo basati soprattutto sul romanzo di Vincenzo Cerami. Per chi conosce il romanzo e per me come attore c’è poco da scoprire dopo aver provato tanto il personaggio. L’unica cosa che posso scoprire è che ci sono delle affinità con me, delle emozioni che mi suscita il personaggio, facendolo. Mi metto nei panni di un padre, essendo padre anch’io, e mi rendo conto di come si muove questo personaggio per riscattare la morte del figlio e mi son convinto che anch’io avrei fatto la stessa cosa, per cui non riesco a giudicarlo negativamente, pur essendo uno che ha commesso un delitto. Se si legge il testo di Cerami, il romanzo, ci si rende conto che l’Italia a distanza di più di 40 anni è rimasta la stessa. È attualissimo, sembra scritto ieri. Ecco perché questo spettacolo ha avuto tanti consensi da parte del pubblico, che rimane fino alla fine incollato alle poltrone e decreta un successo grosso tutte le volte. La storia è semplice da recepire, il pubblico si ritrova nei personaggi che vede sulla scena ed è di una attualità impressionante. La storia riguarda il pubblico in prima persona, è come se fosse entrato il pubblico in questa storia. Non si sente scollato dal periodo storico, i problemi che c’erano allora sono gli stessi che ci portiamo dietro ancora adesso, i vizi e i difetti degli italiani sono quelli. Giovanni Vivaldi non è un qualunquista, è un ometto che è capace di qualunque azione per favorire il lavoro del figlio, tant’è vero che entra nella massoneria, si fa massone pur non capendoci niente.

Nel 1975 ai tempi di Cerami era quasi rivoluzionario parlare di massoneria, solo dopo si scoprirà la P2. Oggi l’elemento massone come viene valutato dal pubblico?

Nei confronti della massoneria c’è silenzio adesso, come c’era negli anni Settanta. Ogni tanto può succedere qualcosa, ma non si parla di massoneria, come si parla di mafia o di corruzione o di camorra. La massoneria nasce come un sistema onesto, che presenta delle forti deviazioni. L’errore grosso della massoneria è che ci si debba aiutare l’un l’altro, fino a favorire gente che non ha qualità.

Per molti lettori del romanzo di Cerami, il padre Giovanni Vivaldi ha le sue stesse sembianze fisiche. Quanto ha sentito cucito addosso nel corpo questo ruolo? E come riesce a rendere gli aspetti brutali e violenti che lo caratterizzano?

Con lo studio. Non sono uno che si esalta nel fare questo mestiere, assolutamente. Mi dispiace, alcune volte deludo il pubblico perché pensano che io debba dire delle cose fantastiche per quel che riguarda il lavoro dell’attore, ma invece è un lavoro come un altro, anche se poi non è vero che è un lavoro come un altro. Mi applico in questo lavoro come mi applicherei per fare l’avvocato in un processo o per fare un intervento chirurgico. Lo affronto con la stessa serietà. I problemi non nascono in scena, mai. Io vado in scena tranquillamente, perché io e il personaggio per fortuna mia aderiamo molto. Non ho nessuna difficoltà ad interpretare Giovanni Vivaldi. E neanche mi stanco, mi piace fare questo personaggio perché in effetti racconto molto di me. Ma non perché l’ho stravolto, ma perché ho riconosciuto nel personaggio tante mie caratteristiche. Sono molto onesto nei confronti del pubblico, raccontando me stesso nel personaggio. È una fortuna. 

È questa una domanda che odierà: quanto si è distanziato dalla interpretazione di Alberto Sordi nel film di Mario Monicelli e come valuta quel film?

Se io avessi fatto Vivaldi al cinema, non ci sarebbe stato paragone, Sordi mi avrebbe distrutto. In scena in teatro, me la cavo discretamente, forse sono superiore a Sordi.

Il personaggio di Sordi mantiene un carattere cialtronesco, che nel libro c’è poco.

Sì, Sordi ha fatto un bel lavoro su se stesso, poteva rischiare di lasciarsi andare alla comicità invece ha contenuto tutto molto, anche se ci sono un paio di volte che ha dei cedimenti verso il comico.

Il grande pubblico la conosce per personaggi positivi, eroi buoni. Cosa significa raccontare un antieroe?

La gamma dei caratteri che c’è in ognuno di noi, che facciamo questo mestiere, ci aiuta. Io posso fare il prete e il giorno dopo l’assassino. Non è che la cosa mi sconvolga tanto, non rimango con i personaggi appiccicati addosso. Nel momento in cui lo spettacolo è finito, quando si chiude il sipario o quando dicono stop, si finisce di girare, per me è tutto cancellato. Ritorno ad essere me stesso, io non penso proprio al personaggio.

Lei ha parlato della raccomandazione come di un espediente tutto italiano. Negli ultimi anni sono nati molti fenomeni politici che si sono scagliati contro il posto fisso, lo spreco di denaro pubblico, la mancanza del merito, la corruzione. Che ne pensa?

È facile scagliarsi, si scagliano, a parole si scagliano, ma nella realtà dei fatti cosa fanno per assicurare quella poltrona a quest’amico o a quell’altro? È facile parlare, bisogna agire alla luce del sole. Però ci stanno prendendo in giro come vogliono, ci si lascia prendere in giro anche con le belle parole. Ci si fa prendere in giro da politici che parlano, parlano, ma poi non mantengono. Fanno le campagne elettorali, ma non mantengono le cose che dicono. Sono pochi quelli che credono alle loro parole e sono spesso soffocati da chi invece è la parte marcia di questo Paese.  

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