Vincere il malaffare con l’arte e la bellezza. L’esempio illuminante de «Il pirata Tarallino», lo spettacolo di Elena Gaiani andato in scena a Vico del Gargano

by Caterina Del Grande

Se l’arte e il teatro di figura riescono spesso a dipingere la realtà con leggerezza e profondità, e anche l’utilizzo di sottili metafore, è sintomatico il successo di uno spettacolo come «Il pirata Tarallino», andato in scena a Vico del Gargano a Palazzo Della Bella nella serata di domenica 9 agosto. Scritto dalla creativa bolognese Elena Gaiani per l’Opera dei Burattini, ed andato in scena per la prima volta nella cornice del festival «Voci per Vico» (con un pubblico entusiasta di bimbi e adulti), il pirata Tarallino è un personaggio che ha ricordato quanto il Gargano, negli ultimi anni, continui a essere una terra bellissima e poetica, ma spesso depredata senza ritegno da una classe politica inquisita, a tutti i livelli. Pensiamo al recente scioglimento del Comune di Foggia per mafia, la punta di un iceberg che continua a sgretolarsi. E non per il riscaldamento globale.

Ma il soggetto dello spettacolo scritto da Gaiani – produzione commissionata appositamente dall’edizione 2021 di «Voci per Vico», insieme allo spettacolo di danza «Credevo mi amasse» della compagnia «Altradanza», e a «La valigia delle illusioni», con la regia di Francesco Esposito – sembra una premonizione illuminata.

La storia, percorsa dalla levità e dalla forza espressiva del linguaggio dei burattini (tutti realizzati rigorosamente a mano da Elena), ma anche da felici «alternanze» in carne e ossa (come quella del soprano Debora Govoni), diverte e fa riflettere. La nave del temibile Tarallino si è arenata molto tempo fa al largo delle coste del Gargano, e da allora il pirata spadroneggia qua e là, facendo razzie tra le popolazioni costiere. Finché un bel giorno approda in quel tratto di costa una caravella straniera carica di teatranti, musici e giocolieri, guidata dal comandante Don Diego Carreras: il proposito è di portare in quei luoghi remoti e abbandonati, in balia dei pirati, la pace e l’armonia dell’arte. Tarallino cercherà di impedire in tutti i modi ai nuovi arrivati di far breccia tra la gente, ma con l’intelligenza, la perseveranza e un pizzico di magia, Don Diego e i suoi artisti avranno la meglio. Con un sorprendente outing finale, tra Tarallino e il suo nostromo Ciuk.

«Quest’ultimo, se vogliamo, è un espediente narrativo che si serve di una classica pozione magica», spiega Gaiani, che nel 2018 ha debuttato anche come costumista nell’opera per ragazzi «Il Castello incantato» al teatro “Verdi” di Trieste e al teatro “Pavarotti” di Modena. «Tarallino è il classico pirata burbero e costantemente arrabbiato, mentre Ciuk è il suo tuttofare sottomesso, e un po’ tontolone. Ma alla fine, auspice il magico intruglio, si rivelano il proprio amore. Persino questo ha a che fare con la realtà politica che ci circonda».

A loro fa da contraltare la figura di Don Diego Carreras.

«Sì, è il comandante e capocomico della caravella degli artisti. È il simbolo dell’arte che deve prevalere sull’ignominia, del bello che sopravanza il brutto, della speranza che deve vincere su tutto ciò che ha a che fare con ignoranza e malaffare».

Questa non è la sua prima esperienza con il teatro di figura. Cos’altro ha realizzato?

«Negli anni passati ho scritto per l’Opera dei Burattini adattamenti da «L’elisir d’amore» di Donizetti o dalla «Cenerentola» di Rossini, ma persino da quel capolavoro che è «La prova di un’opera seria» di Francesco Gnecco, bellissimo dramma giocoso in musica dei primi dell’800. E poi ho adattato con i burattini un grande classico come «Il gatto con gli stivali».

Anche in questi casi erano spettacoli di teatri di figura contenenti inserti «reali» di lirica?

«Sì, è una commistione che mi piace molto. I cantanti che si esibiscono dal vivo permettono di dare tridimensionalità al teatro di figura, oltre a consentire di essere apprezzati particolarmente da un pubblico davvero eterogeneo: sono spettacoli che attraggono i più piccoli, ma anche gli adulti, che spesso portano i propri figli a vederli. È accaduto pure questo con la pièce di Tarallino».

Per questo spettacolo si è esibito il giovane e talentuoso soprano bolognese Debora Govoni.

«Lei era la “diva” del manipolo degli artisti che sbarcano con la caravella. Si manifesta come una sorta di avatar umano, che si palesa in carne e ossa sorprendendo tutti. Nella finzione scenica è Violetta (che non ha alcun nesso con la Traviata di Verdi, ma si chiama così per i suoi costumi di scena) ed ha cantato il brano «Pensami» da «Il fantasma dell’opera», il celebre musical di Andrew Lloyd Webber e Charles Hart».

Dietro un teatrino di burattini si muovono tante professionalità. Le vogliamo citare?

«Oltre a me e Francesco Esposito, ci hanno lavorato Lina Monaco (burattinaia), con sua figlia Libera Cilenti, alla regia audio. Poi alle coreografie e all’assistenza di scena Camilla Monaco e Rita Monaco. Nel teatro di figura si è tutti una grande famiglia, questo costituisce anche il grande piacere nel realizzarli».

Come costruisce i suoi burattini?

«Utilizzo della pasta modellabile per le teste, che li rende un po’ più fragili del legno, ma anziché lavorare per intaglio, procedo per aggiunte e modellazioni. I vestitini e costumi li creo interamente da sola: nel mio studio sono piena di bottoni, nastri, stoffe di ogni tipo, che utilizzo alla bisogna. A Bologna, nella mia città, c’è sempre stata una grande tradizione legata ai burattini e al teatro di figura: forse è per questo motivo che una tale passione mi abbia coinvolto così da vicino. È un tipo di lavoro che ti consente di staccarti dal computer e di far “viaggiare” la tua manualità, qualcosa che inseguivo da tempo».

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