«Voci nella notte». Dopo l’Iliade, ancora quattordici fra attrici e attori in scena ai Limoni per le fantasmagorie drammaturgiche di Nicola Rignanese. Imperfetto, forse soverchio, ma teatro allo stato puro

by Enrico Ciccarelli

Fin da quando, nel 1916, la Westinghouse decise di produrre delle «scatole da musica» che avrebbero portato intrattenimento in tutte le case utilizzando la tecnologia brevettata da Guglielmo Marconi (che per i tempi fu un po’ come se oggi vi dicessero di usare la bomba all’idrogeno per produrre gli Smarties), la radio è stata un luogo di nostalgie, fascini e misteri. E, benché forse Nicola Rignanese sia troppo giovane per ricordarsene, a metà degli anni Settanta Radio Luna rivoluzionò l’oscurità dell’etere foggiano con la calda e suadente voce dell’Amico della notte. Dall’Alleniano Radio Days al capolavoro Good morning, Vietnam, dall’immortale Radio Ga Ga dei Queen alla domestica Radio Freccia di Ligabue, sono migliaia gli omaggi che le altre arti hanno reso al mondo dei suoni disincarnati, di quell’ascolto a occhi chiusi o in auto (quello in piazza, in cui il Duce lanciava i suoi proclami stentorei, non usa più, fortunatamente).

In questo «Voci nella notte», che segue l’Iliade di Baricco nel segmento «Nemo» del cartellone tripartito del Teatro dei Limoni, il già citato Nicola Rignanese si cimenta in un allestimento complesso, che prevede il governo di quattordici fra attrici e attori in scena (a volte contemporaneamente) e che riscrive l’esito di un workshop curato dall’ottimo Christian Di Furia secondo le fumiganti e irriverenti regole che l’attore foggiano, che rifiuta con un certo sprezzo l’etichetta di regista, segue con estro e passione, prima fra tutte l’imperativo categorico di valorizzare gli attori.

Obiettivo centrato: se nell’Iliade avevamo avuto modo di notare qualche cavallo zoppo o scosso, per usare il linguaggio del Palio di Siena, in questo allestimento le ragazze e i ragazzi del Corso Avanzato, con la non indifferente integrazione di quattro grossi calibri come Leonardo Losavio, Maggie Salice, Letizia Amoreo e Francesca De Sandoli (con quest’ultima davvero formidabile) hanno effettuato performance davvero pregevoli. Tanta policroma brillantezza, però, rischia di mettere l’attenzione dello spettatore sui cavalli di un carrousel, di una giostra luccicante e musicale capace di fargli smarrire il filo del discorso.

Imperfezione, d’altronde, fa rima con sperimentazione; e la tendenza all’happening dell’impianto testuale mantiene però nella sua traduzione scenica un rigore e un’applicazione di assoluto rispetto, al punto che la compagnia, con un effettivo in meno causa influenza, è riuscita a rimodellare in tempo record le battute del copione, rendendo quasi inavvertibile l’assenza. Al netto delle fantasmagorie drammaturgiche di Rignanese, il plot è credibile e compatto: alla vigilia del passaggio alla «radiovisione» il noto conduttore radiofonico Solieri gestisce alla men peggio con qualche inquietudine il circo della fauna che anima la sua notturna diretta telefonica e radiofonica.

Fra sciroccati e personaggi grotteschi si insinua Bruno (un eccellente Cristiano Russo), un possibile sequestratore che vuole estorcere visibilità (più precisamente audibilità). Ma è un pazzo criminale o solo l’autore di uno scherzo di pessimo gusto? Per saperlo dovrete aspettare l’ultimo istante dell’ultima scena. In compenso potrete godervi la plastica schizofrenia di Solieri, la cui parte è affidata a tre attrici e un attore (le citate Amoreo, Salice e De Sandoli e un Vincenzo Ficarelli magnificamente in parte), che viene chiamato, blandito, insultato e adorato dal suo popolo di sgangherati, con uno spassosissimo sindaco corrotto e in manette (e questo dettaglio fa capire che si tratta di un’opera di finzione) reso benissimo da Stefano Dragoni, all’anziana rintronata e sorda Carmela (la giovane e convincentissima Elisabetta Campanella); Nando, il pensionato in via di cecità, che ho apprezzato anche per ragioni autobiografiche, interpretato con il consueto garbo e l’abituale misura da Massimo Iannantuoni, l’invasata Fiammetta, Elèna Lombardo, che si è ben disimpegnata in una parte difficile proprio perché breve, il fluido Andrea, che con un fisico da machoman scopre la sua parte femminile e balla in sottoveste di seta nera e tacchi alti (colonna sonora «Tu mi fai volare» di Ornella Vanoni). Merita soffermarsi sulla splendida prova nel ruolo di Raul Lannunziata non per la particolare difficoltà della parte (i ruoli en travesti risalgono praticamente al carro di Tespi) ma per la capacità dell’interprete di stabilire un feedback con il pubblico, di divertire perché si diverte, di emozionare perché si emoziona (che credo sia l’essenza stessa del teatro). E c’è poi la fantastica Graziana Cifarelli, nella duplice parte di Sumatra (ma che cacchio di nomi scegliete, autori?) casalinga disperata sospesa fra preoccupazioni ecologiste e meditazioni yoga, e di Lilly, moglie lasciva intenta a sognare incontri orgiastici con Solieri. Un’attrice con i controfiocchi, che nell’incubatrice di via Giardino è cresciuta tantissimo e che probabilmente deve ora sfidare i propri limiti.

E poi ci sono gli interlocutori di Salieri «interni»: il ruvido Dante, proprietario e aspirante tiranno impersonato da Losavio; la sua «segretaria particolare» Linda, che è una brava e molto bella Nicole Piemontese; il fonico Ste di Stefano Graziani, puntuale e in parte. Cast di eccezionale efficacia, completato da Giovanni Russo all’audio editing, dai costumi di Vize Ruffo e da Roberto Galano alle luci. Alla regia malgrè soi Nicola Rignanese.

Imperfetto, a tratti forse ridondante o addirittura soverchio, ma mai banale, mai noioso o esibizionista. Nessun compiacimento, nessuna piccola vanità da filodrammatica. Teatro allo stato puro, che appassiona con intelligenza e ragiona con sentimento. Certo, partendo dall’idea che il teatro non debba essere specchio che riflette, ma lente che trasforma, come diceva uno in gamba qualche tempo fa. Avete ancora tre giorni di repliche per provare delle buone lenti in quel di via Giardino. Approfittatene.

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