Walter il buonista a Musica Civica. La comunità possibile secondo Veltroni

by Enrico Ciccarelli

Direttore dell’Unità, Sindaco di Roma, vicepresidente del Consiglio, fondatore del Partito Democratico, scrittore, saggista, documentarista, regista, giallista e narratore. Walter Veltroni, neanche settant’anni, ha già vissuto diverse vite, attraversandole tutte nel segno di una mitezza priva di increspature, che ne ha fatto l’archetipo del «buonismo», il profeta disarmato della «Bella politica», come venne titolato il libro-intervista che nel 1995, secoli fa, gli dedicò Stefano Del Re.

Venuto a Foggia per Musica Civica a parlare di «Solitudine e comunità», Veltroni non è invecchiato male. Certo, disillusioni e sconfitte pesano sul suo dire e sul suo argomentare, le sue incursioni nel «come eravamo» (tenero e commovente, il ricordo del duplex, con la strenua difesa delle fluviali conversazioni dell’adolescenza dalla protervia del vicino-cotitolare) rischiano ogni tanto una deriva gozzaniana e dolciastra. D’altronde una vena ad alto tasso glicemico era presente già ai tempi degli album Panini in anastatica e dei film in videocassetta vhs.

La lucidità, però, è quella di sempre, e in nessun punto le nostalgie veltroniane cedono all’invettiva contro la modernità, alla laudatio temporis acti di sapore sallustiano (occhio: si parla di Sallustio, non di Sallusti). Certo, è venuta meno l’idea (profondamente «de sinistra») delle magnifiche sorti e progressive, dell’inesorabile procedere del mondo verso il meglio: molte certezze sono state demolite, molte speranze frustrate; ma in qualche modo permane un’opzione di fiducia nell’umano, in quei «we can» e «I care» che sono stati l’ultimo squillo di tromba del progressismo in Occidente.

Non è casuale che la riflessione veltroniana non si agganci a contraltari di comodo, ma punti alla devastazione antropologica indotta dalla pandemia, ai due anni di esilio emozionale a cui sono stati condannati i nostri adolescenti (i più esposti), alla fatica della ripresa (testimoniata anche dalla tuttora presente contrazione del numero di persone che rispondono alle diverse occasioni teatrali e di spettacolo). L’idea, alla fine, è sempre quella di noi buonisti: tenere insieme il pane e le rose, il duro sasso della realtà e la potenza del sogno. Un’idea fondata sulla suggestione, forse puerile, che provarci sia più importante che riuscirci. Ecco la breve intervista che un cortesissimo Veltroni ha rilasciato al vostro cronista.

Nell’età dei social abbiamo un tasso di socialità davvero deficitario. Come se ne esce?

«Abbiamo un tasso di comunità deficitario e siamo convinti al tempo stesso di vivere in mezzo a un sistema di relazioni infinito con i tanti “amici” su facebook, la quantità di comunicazione che abbiamo ad ogni istante con tutti… Figurarsi, va benissimo, è un segno del tempo che viviamo; però è diventato sostitutivo del resto. È diventato cioè sostitutivo  della bellezza, della socialità, del rapporto umano, della scoperta dell’altro.»

Lei è un frequentatore dell’immaginario, dei grandi miti popolari, dal cinema al calcio. Quali potranno essere nel Terzo Millennio i personaggi del nostro immaginario collettivo?

«Eh, bella domanda. Mi verrebbe da dire “noi stessi”, nel senso che dobbiamo ripristinare un sistema di relazioni fra noi che si sta interrompendo. Io sono particolarmente preoccupato per ciò che riguarda gli adolescenti, in particolare dopo il Covid. Hanno sofferto molto, si sono un po’ chiusi in se stessi. E sappiamo che la possibilità di vivere in relazione è anche la possibilità di vivere meglio la propria vita.»

C’è stato un tempo in cui la politica era l’orizzonte, l’obiettivo, l’ideale. Adesso sembra non sia più così.

«È uno dei grandi elementi di socializzazione che sono venuti in crisi. Al pari di altri, dalla Chiesa alla famiglia alla scuola. Il rischio è quello di avere una società in cui ciascuno sta a casa propria, scrive le sue invettive sui social ed è convinto così di partecipare alla vita pubblica, e non è così. La politica dovrebbe quindi avere la pazienza di ricucire il rapporto con la vita delle persone.»

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