Beckham, l’uomo che ha rivoluzionato il calcio

by Claudio Botta

Ha lavorato di sottrazione ma ha centrato l’obiettivo Fisher Stevens, regista della docuserie su David Beckham, il primo calciatore a diventare icona planetaria e fenomeno di costume e che avrebbe ispirato milioni di emuli, colleghi e non. Certo, c’era stato il ‘quinto Beatle’ George Best vincitore della Coppa dei Campioni e del Pallone d’Oro con la maglia rossa numero 7 del Manchester United nel 1968, capelli lunghi, un talento immenso espresso a intermittenza perché alcol e donne avevano la priorità in una vita tutt’altro che da atleta.

Ma il ragazzino biondo dai lineamenti perfetti e delicati, cresciuto con la passione sfrenata per il calcio e allenato dal padre in maniera ossessiva in particolare sui calci da fermo, è andato ben oltre fuori dal campo, al punto che anche l’essere stato una leggenda del football, l’aver vinto sei Premier League, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Liga spagnola, una Ligue 1, una MSL nordamericana, l’essere stato capitano per 59 volte della nazionale inglese, sono dati per addetti ai lavori e appassionati, semplici basi di una popolarità diffusa in ogni angolo di mondo. Amplificata da una bellezza che ancora oggi, a 48 anni compiuti nello scorso maggio, rende impietoso il confronto con i compagni delle varie squadre in cui ha giocato (oltre ai Reds –Gary Neville, Roy Keane– il Real Madrid dei galacticos Luis Figo, Ronaldo, Roberto Carlos-, i Los Angeles Lakers, il Milan, il Paris Saint Germain) che hanno avuto il fegato di far riprendere i loro primi piani prima e dopo il suo. Da tagli di capelli immediatamente imitati ovunque e iconici: biondi ossigenati, lunghi, corti con ciuffo davanti, rasati a zero, ciuffo a banana, alla mohicana, abbinati a look sempre ricercati e sempre lanciando mode, mai seguendo la moda. Dai tatuaggi, dai primissimi di grande impatto all’intero corpo ricoperto in ogni centimetro di pelle, mani comprese: lo sdoganamento più vistoso che dal mondo del calcio ha attecchito ovunque, in ogni strato sociale, nonostante risultati estetici discutibili (su altri). I contratti pubblicitari uno dopo l’altro, addirittura più consistenti, molto più consistenti anche degli ingaggi dorati dei club. E, ovviamente, dalla relazione con Victoria Adams, la Posh delle Spice Girls, il gruppo che negli anni Novanta ha dominato la scena britpop al femminile: il loro incontro è avvenuto ovviamente in un campo di calcio (lei madrina di un evento in cui giocava lui), immediato il colpo di fulmine (lui aveva detto a un amico che un giorno l’avrebbe sposata, dopo averla vista in tv per la prima volta) e naturale la sovraesposizione mediatica di entrambi, secondi solo a Carlo e Diana nella classifica delle coppie reali inglesi, indipendentemente da titoli e corone.

Tutta la serie che lo stesso Beckham ha fortemente voluto procede su un doppio binario lungo i quattro episodi in cui è stata articolata: la carriera, che viene celebrata nei suoi picchi (il gol da centrocampo contro il Wimbledon, agosto 1996; il primo scudetto vinto con lo United dopo una lunghissima astinenza del club; l’incredibile finale di Champions League al Camp Nou di Barcellona del maggio 1999, con il Bayern Monaco in vantaggio di una rete rimontato e beffato negli ultimissimi minuti, per citare quelli più emozionanti e intensi) e la famiglia, quella d’origine, quella cementata negli spogliatoi dell’Old Trafford, e sir Alex Ferguson per lui non è mai stato un semplice allenatore che lo ha visto allenarsi bambino, ma un punto di riferimento preziosissimo e imprescindibile, e quella con Victoria che non sorride mai (sembra per prevenire le rughe), che non è una semplice popstar accanto a un divo del calcio ma ha con lui un rapporto almeno paritario.

Un rapporto vivisezionato ogni giorno per anni, e che ha rischiato di implodere quando il News of the World, la rivista di Rupert Murdoch, nel 2003 ha raccontato la relazione extraconiugale di David con la sua assistente Rebecca Loos. Lei a Londra per permettere ai loro due bambini di non stravolgere il loro percorso scolastico, lui a Madrid con la camiseta blanca del Real perché scaricato dal suo mentore e per la prima volta nella sua vita senza un riferimento affettivo accanto. Una bufera che ha travolto entrambi e dalla quale sono riusciti incredibilmente a riemergere, “non so come” ha confessato David per la prima volta, ammettendo il tradimento con i suoi silenzi imbarazzati e la voce spezzata da chissà quanti e quali ricordi. Mentre lei, la donna ritenuta algida ma capace di perdonare, andare avanti e concepire altri due figli con quello stesso uomo, diventa gigantesca quando racconta che “io e lui abbiamo sempre avuto il mondo contro ma eravamo in due, questa volta non lo eravamo più”, e non ci potrebbero parole più chiare per raccontare giorni e mesi inseguiti dai paparazzi momento per momento, i disagi provati dai figli e la loro difficile permanenza nella capitale spagnola (dopo l’uscita della serie si sono scatenati in rete i commenti contro di lui, con un’intensità che ricorda quella registrata dopo l’espulsione contro l’Argentina ai Mondiali in Francia nel 1988, un lunghissimo periodo vissuto come un incubo).

L’ultimo dei galacticos, quello che ha fatto lievitare il fatturato del club di Florentino Perez del 167 per cento. Il campione europeo che più è riuscito a lasciare la sua traccia nel campionato nordamericano, nel quale ha deciso di investire al punto da acquistare un club (l’Inter Miami) che per le prossime stagioni si è assicurato un certo Leo Messi: anche la seconda vita da ricchissimo imprenditore di Beckham non ha nulla da invidiare alla prima. Ma fama e successo non riescono a cancellare timidezza e autoironia, e il contrasto tra questi aspetti in contraddizione solo apparente rendono l’ex Space Boy un unicum nel panorama mondiale, capace di sfruttare come nessun altro prima la sua immagine (il giornalista Mark Simpson ha inventato per lui nel 1994 il neologismo ‘metrosexual’, per indicare una nuova generazioni di uomini che vivono nelle grandi città e hanno una grande attenzione per il loro aspetto), ma di andare ben oltre quella stessa immagine.

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