Cinema, fotografia e musica nella serie Netflix Zero: i dubbi, le perplessità e le problematiche dei “nuovi italiani di seconda generazione”

by Giuseppe Procino

Zero, ovvero un modo come un altro per identificare gli invisibili della società. Nel termine “zero” rientrano le ombre in movimento che non percepiamo, le figure che facciamo finta di non vedere, o, forse, siamo così abituati ad ignorare da non vederle sul serio. Ma il numero zero è anche il centro, tra un più e un meno che tendono entrambi all’infinito, come chi nel nostro paese non è né italiano né straniero, come chi vive la nostra cultura mantenendo le proprie radici. Lo sa bene Omar, il protagonista della nuova serie targata Netflix, cresciuto nel Barrio, un quartiere di una Milano non contagiata dalla lunga ombra del Duomo, dei grattacieli e dei luoghi della movida.

Omar vive in periferia ma si trova in posizione centrale rispetto a importanti decisioni, tra dovere e volere, inseguendo il suo sogno. Omar è eroe ancor prima di scoprire il suo potere, ancor prima di compiere grandi azioni, perché lotta ogni giorno per cambiare la propria vita. La sua è l’esistenza normale di un ragazzo di origini senegalesi nella nostra penisola ma anche la vita di un rider, alle prese con uno dei lavori creati dalla contemporaneità.

Tutto procede in maniera lineare: un sogno, un lavoro che gli permette di mettere da parte qualche soldo per poter raggiungere il proprio obiettivo, l’abitudine all’essere invisibile agli occhi della gente o, peggio, all’essere identificato come lo spacciatore delle feste. Un giorno, quasi per caso, Omar scopre che lui può davvero essere invisibile, un super potere quasi inutile per un ragazzo che è già trasparente agli occhi dei molti. Quello che il nostro protagonista non sa, è che il super potere coincide con una chiamata, la scoperta che crescere è anche prendersi le responsabilità del mondo, cercare di cambiarlo, questo mondo. Allora Omar entra nell’universo degli eroi in punta di piedi per fare delle scelte che potranno cambiare la sua destinazione. Attraverso questa dote Omar capisce anche che si può fare squadra, si può appartenere a qualcosa e quel qualcosa va tutelato e difeso.

Omar nasce dalle pagine di “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, diventa tridimensionale incontrando Menotti (il co-autore di “Lo chiamavano Jeeg Robot “ e fumettista con la F maiuscola) e si sposta dalla periferia di Ravenna a quella di Milano per diventare un personaggio “fantastico”. Gli dà un corpo il bravissimo esordiente Giuseppe Dave Seke, attore di origini straniere così come quasi tutto il cast della serie. Il romanzo (bellissimo) di Distefano è quanto di più lontano possa esistere da una storia irreale e finisce in maniera sconvolgente. Di quella storia sopravvivono fantasmi, figure e situazioni di rimando. Tratto ‘liberamente’, ma solo perché Distefano è uno scrittore che riesce a rendere bene la condizione degli “Zero” in quanto sia lui stesso figlio di angolani, sia, in aggiunta, dotato di una spiccata dote comunicativa. La scrittura di Distefano è scorrevole, dinamica, veloce ma profondamente coinvolgente, come qualcosa di importante e sconvolgente ma comunicato attraverso whatsapp, messenger e quelli che sono gli attuali mezzi di comunicazione.

Distefano è figlio della contemporaneità e di questa ne conosce i meccanismi e le dinamiche, tanto da riuscire a far entrare diversi media all’interno di una pagina scritta. Il cinema, la fotografia e soprattutto la musica, che rappresenta una costante perenne in tutto quello che crea. Tutto questo è presente anche in “Zero”, una serie che è figlia del nostro periodo storico ed è capace di esprimere i dubbi, le perplessità e le problematiche dei “nuovi italiani di seconda generazione”, spesso invisibili e sempre inconsistenti di fronte alla legge che non vuole dar loro una definizione. Nella nuova serie del colosso americano convivono così temi importantissimi legati alla nostra società, un importante coming of age e tanto, tantissimo fumetto.

Proprio dal mondo del fumetto “Zero” riesce a prendere in prestito l’iconografia e il linguaggio. Lo stesso Omar sogna di diventare un disegnatore di manga e così si dimostra che non esiste una cultura unica, ma che è bello quando le varie culture si fondono e confondono allontanandosi dagli stereotipi e dai luoghi comuni. Il Barrio, il quartiere che il nostro protagonista con i suoi amici deve difendere ad ogni costo da “la sirenetta” (la ditta che vuole eliminarlo) si mostra come un quasi idilliaco universo in cui convive umanità di diverse origini. Una favola a volte troppo semplificata – va bene – ma “Zero” non cerca il realismo. In questa serie è importante che si colgano i vari messaggi, che si possano sdoganare tematiche importanti. Così, passando per un’estetica che tanto deve al “Misfits” britannico e accompagnando il tutto con una colonna sonora molto attenta e curata (troviamo i Groove Armada, Madame e poi Alessandro Mahmood, che proprio nel Barrio ha ambientato uno dei suoi ultimi successi), le avventure del nostro eroe si dimostrano un prodotto interessante anche se a tratti un po’ incostante.

Il ritmo di ogni episodio scorre alla grande grazie ad un montaggio frenetico, evitando di dilungarsi troppo. Questo è un pregio che però crea un difetto strutturale a livello di scrittura: qualche buco narrativo dettato dalla fretta di mettere forse troppa carne al fuoco. Niente paura però, forse questa serie non sarà un capolavoro ma funziona comunque davvero bene. È un prodotto pensato per i più giovani, che parla il loro linguaggio e attraverso quel linguaggio sa cogliere la loro attenzione. Nonostante questo, noi speriamo che la guardino tutti, non fosse altro perché desideriamo a tutti i costi una seconda stagione.

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