Hogar o Dov’è la tua casa? Successo, carriera e possesso intrisi di invidia sociale su Netflix

by Nicola Signorile

Tensione. Spagna. Netflix. No, non parliamo del fenomeno La casa di carta, autentico mistero nel panorama dell’audiovisivo degli ultimi anni. Un successo globale per un prodotto non all’altezza, soprattutto nelle ultime due deludenti stagioni, degli standard qualitativi a cui ci ha abituati la serialità internazionale, spesso di casa dalle parti del colosso dello streaming.

Ma forse anche a causa di quell’enorme successo, il catalogo Netflix è ricco di film e serie tv di produzione iberica, da Contrattempo a 7 años, da Élite a Toy Boy e Vis a Vis. Questa volta parliamo di Dov’è la tua casa? (Hogar il titolo originale, The Occupant quello inglese) un thriller psicologico morboso, con sfumature horror, diretto dai fratelli catalani David e Alex Pastor, disponibile sulla piattaforma streaming dal 25 marzo.

L’ossessione è al centro della pellicola. Il successo, la carriera, il possesso. La casa grande e lussuosa, l’auto alla moda, gli abiti. Gli status symbol sono lì a confermare che Javier ce l’ha fatta, che è arrivato all’apice. Javier (Javier Gutiérrez) è un pubblicitario dal passato glorioso con campagne di successo che qualcuno ancora ricorda. Come suggerisce il titolo spagnolo Hogar, la casa in un bel quartiere centrale di Barcellona è il simbolo dei traguardi raggiunti.

Il mondo della pubblicità corre veloce. Così Javier si ritrova a rincorrere con idee considerate vecchie o troppo costose. Si trascina da un colloquio all’altro, cercando di aggrapparsi a una vita passata che dovrà ridimensionare. È costretto a trasferirsi in un appartamento meno costoso in periferia mentre la moglie Marga (Ruth Díaz) deve trovarsi un lavoro per aiutare la famiglia.

La perdita di status diventa un’ossessione per Javier, un pensiero costante che lo porta ad appostarsi sotto la sua vecchia casa ogni notte. La giovane famiglia che ci vive ora diventa l’oggetto delle sue malsane attenzioni. Entra in contatto con Tomàs e Lara, ne ruba i segreti, ne viola il privato. Mette tutte le sue capacità di persuasione e affabulazione al servizio di un diabolico piano con un bersaglio ben preciso: l’ignaro padre di famiglia nuovo inquilino della casa che Javier non ritiene meritevole di prendere, idealmente, il suo posto. Gli è stato rubato un sogno, renderà l’esistenza di Tomàs un incubo.

Il pubblico segue da vicino le azioni terribili del protagonista senza poter mai empatizzare con un personaggio privo di scrupoli, insensibile persino alle vessazioni subite dal figlio, tormentato dai bulli, causa pinguedine. In un’escalation di efferatezze Javier distrugge, passo dopo passo, la vita del malcapitato senza battere ciglio. Morbosa è anche la regia nel continuo spiare quello che accade da dietro un angolo o dall’abitacolo della berlina di Javier, ultimo caposaldo della sua vita passata, a cui rinuncerà solo per farne un prezioso strumento della vendetta nei confronti del destino.

La scalata sociale, frutto di macchinazioni sempre più elaborate, non può che far pensare al film dell’anno, Parasite di Bong Joon-Ho. Anche in Hogar la casa è oggetto del contendere e rappresentazione plastica delle differenze di classe, evidenti nella società spagnola così come in quella sudcoreana. Simili sono le distanze sociali ed economiche tra il lussuoso loft e la periferia dove si trasferiscono Javier e famiglia, differente la scelta degli autori catalani di concentrarsi sul folle progetto del pubblicitario e su dinamiche da thriller puro, con accelerate horror, senza avere l’originalità stilistica e narrativa di Parasite.

Tutto è strumentale al suo piano, compresi moglie e figlia di Tomàs, corteggiati, circuiti. Un gioco di seduzione mortifero in cui vediamo giganteggiare l’ottimo attore spagnolo Javier Gutierrez, già vincitore di due premi Goya per  La isla mínima, thriller di grande successo del 2014, e Il movente (2017), tratto dall’omonimo primo romanzo di Javier Cercas e volto dell’inquisitore Torquemada nel blockbuster, da videogame, Assassin’s Creed di Justin Kurzel.

Nei panni della vittima predestinata uno dei giovani attori più noti del cinema iberico, Mario Casas, protagonista di Contrattempo e nel cast degli ultimi film di Alex De La Iglesia, Le streghe sono tornate e El Bar. Molto interessante, nella prima parte della pellicola, l’accenno alle dinamiche del lavoro moderno imputate di lasciare al palo la generazione dei cinquantenni. Professionalità di livello che però non riescono a tenere il passo dell’evoluzione della tecnologia, mal si adattano all’immediatezza della comunicazione ai tempi del web e dei social media. Vengono lasciati indietro, con conseguente sperpero di un capitale di competenze ed esperienze.

Anche se il cuore tematico di Dov’è la tua casa? risiede nell’invidia sociale, la pandemia sommersa (fino a un certo punto) di questi anni. Il cinema se ne occupa sempre più spesso, con risultati altalenanti. La sclerotizzazione delle dinamiche  capitalistiche ha fatto del profitto e del possesso i motori principali delle nostre vite. E quindi anche delle loro disturbanti degenerazioni. Dov’è la tua casa? non dice nulla di nuovo sul tema: resta un discreto thriller senza picchi che si lascia guardare piacevolmente. Ha la giusta tensione, atmosfere ben costruite e attori  in parte.

Il film arriva su Netflix in pieno lockdown. Curiosa coincidenza: i due registi Alex e David Pastor hanno affrontato la questione epidemie nelle due opere precedenti, due horror fantascientifici, l’esordio girato negli Stati Uniti, Carriers – Contagio letale (2009), con Chris Pine e Piper Perabo, incentrato sulla fuga e sui tentativi di un gruppo di ragazzi di sopravvivere a una pandemia virale e, nel 2013, l’ottimo The Last days (Los ùltimos dìas) in cui immaginavano una strana epidemia, battezzata “il Panico”, una sorta di agorafobia globale che uccide all’istante tutti coloro che escono all’aperto, costringendo i protagonisti a muoversi nel sottosuolo.

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