Il metodo Kominsky, ovvero “i consigli di chi non ce l’ha fatta”

by Gabriella Longo

Sandy Kominsky (Michael Douglas) è uno di quegli attori che, una volta acquisiti un bel po’ di capelli grigi, Hollywood non fa fatica a dimenticare: perduto oramai le physique du rôle, i suoi ingaggi si riducono a qualche triste spot di assicurazioni per la terza età. Ma se le luci della ribalta si spengono e la macchina dello spettacolo continua a muoversi anche senza di lui, per Sandy resta ancora una speranza dal punto di vista professionale: a Los Angeles è comunque conosciuto per essere un buon insegnante di recitazione in una scuola di sua proprietà, gestita assieme alla figlia Mindy (Sarah Baker).

Reduce da un torbido passato amoroso, Sandy affronta i suoi anni col placido umorismo di chi, in realtà, tace un profondo senso di frustrazione per tutti quei passaggi dinnanzi ai quali il tempo, inevitabilmente, lo fa ritrovare: come quando prova a ricordarsi come si fa il fidanzatino di Lisa (Nancy Travis) -una donna molto più giovane di lui che prende parte alle sue lezioni di recitazione- ma sempre con l’affacciarsi del timore che qualcosa ai piani bassi non funzioni più come dovrebbe.

Accanto a Sandy, c’è Norman Newlander (Alan Arkin), ovvero suo agente e migliore amico. Completamente agli antipodi, Norman non è un bad boy ribelle e in perenne contrasto con la vita, ma uno di quelli che ha saputo ben cogliere le occasioni che essa gli ha fornito, un pacato conservatore sempre impeccabilmente vestito, ricchissimo; insomma, l’altra faccia dell’industria del cinema.

Norman che, inoltre, rispetto a Sandy, è stato felicemente sposato per quasi cinquant’anni, e che, durante l’arco della sua vita, ha fatto del cinismo la sua arma prediletta, si ritrova, ad un certo punto, davanti ad uno di quegli ostacoli del tempo, completamente sprovvisto e impreparato: la terribile perdita della moglie a causa di un cancro. È a questo punto che il centro della geniale dramedy di Chuck Lorre, diviene proprio l’amicizia che lega (e legherà sempre più) Sandy e Norman, nonostante le loro divergenze apparentemente insanabili e la perenne altalenanza emotiva di accesi litigi e virile affetto. Sono, infatti, proprio le differenze fra questi personaggi a trasformare persino l’evento più tragico, in una situazione grottesca e mai compiaciuta di quella stessa tragedia: vedasi la reazione cinicamente poco meravigliata di Norman rispetto ai primi problemi di prostata dell’amico Sandy, il quale, al contrario, inizia, piuttosto preoccupato della cosa, una serie di accertamenti medici (e se finora sembra non siano stati forniti sufficienti motivi per guardare questa serie, basterà aggiungere che l’urologo di Kominsky è niente di meno che Danny De Vito, protagonista di un cameo davvero esilarante).

Già creatore di show di successo come Dharma & Greg, Due Uomini e Mezzo e The Big Bang Theory, Chuck Lorre si riconferma capace di una comicità intelligente, di storie dalla linearità spesso rassicurante, senza troppe deviazioni o colpi di scena, ma comunque caratterizzate da non pochi motivi di riflessione, come in questo caso lo è quello sulla terza età, difronte alla quale, però, viene ricordato quanto potente possa essere l’esorcismo del sorriso.

Disponibile su Netflix, Il Metodo Kominsky rappresenta alla perfezione quella porzione di piattaforma che non deve parlare necessariamente di supereroi, ragazzini o crimini per essere interessante: al centro della storia ci sono, in pratica, due vecchi arrugginiti, con un problema nuovo ogni giorno che passa, lo scarto di Hollywood, il ciarpame che non vuole più nessuno, ma che non ha ancora finito di dire la sua. E può esserci un cast davvero degno di nota a ruotare attorno ai due protagonisti (si pensi anche a Phoebe, la figlia drogata e alcolizzata di Norman interpretata da Lisa Edelestein), ma il polo d’attrazione resta su Douglas e Arkin, bravissimi e che non hanno certo bisogno di presentazioni.
“Essere umani è doloroso”, dice Norman ad un certo punto: Lasciatosi andare ad una insolita toccante confessione, consegna a Sandy tutta l’amarezza per la morte dell’amatissima consorte Eileen (Susan Sullivan). Ma se esiste un Metodo Stanislavskij…allora c’è anche un Metodo Kominsky, ovvero “i consigli di chi non ce l’ha fatta”.

Che provengano essi da chi sta sperimentando a pieno la decadenza del fisico – con tutto l’imbarazzo provocato dall’insorgere del “piscio a codice Morse” e del farsi affibbiare per questo il nomignolo di “Pipi boy”-, che siano essi rivolti a degli allievi di recitazione o ad un insopportabile vecchio ma irrinunciabile amico, saranno sempre e comunque, un meraviglioso e imperfetto inno alla normalità.
Anche se, a pensarci bene, l’idea di un funerale celebrato sulle note di Lady Marmelade, registrato in diretta su Twitter e con ospite una finta Barbra Streisand che si esibisce in The Way Were, non dà proprio l’idea di una cosa canonica.

Eppure, per essere un pessimo consiglio…non suona per niente male.

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